MULTE PER VIOLAZIONE DELLE NORME EUROPEE ANTITRUST: VALVE, PROPRIETARIO DELLA PIATTAFORMA “STEAM” E CINQUE SVILUPPATORI SONO STATI MULTATI PER UN TOTALE DI OLTRE 7 MILIONI DI EURO PER PRATICHE DI GEOBLOCKING

08/02/2021

Secondo la Commissione europea, Valve e gli sviluppatori di giochi Bandai Namco, Capcom, Focus Home, Koch Media e ZeniMax hanno limitato le vendite transfrontaliere di circa 100 videogiochi, violando così il diritto della concorrenza UE. L’accordo era progettato per impedire ai consumatori di utilizzare giochi al di fuori di alcuni Stati membri, ripartendo così il mercato europeo. Le condotte contestate hanno avuto luogo in nove diversi Stati membri dell’UE tra marzo 2007 e novembre 2018.

 

Steam è una piattaforma online, accessibile in tutto il mondo, che offre videogiochi da scaricare o in streaming. Inoltre, i giochi acquistati tramite i tradizionali canali o online da terzi soggetti possono essere utilizzati anche sulla piattaforma in parola. Gli utenti ottengono dei codici che permettono loro di attivare i giochi e utilizzare la piattaforma. Tali chiavi di attivazione sono incluse nei videogiochi venduti dagli sviluppatori. La piattaforma Steam include una funzione di controllo del territorio: durante il processo di attivazione viene riconosciuta la posizione geografica dell’utente. L’utilizzo della funzione di controllo del territorio, da un lato, e l’utilizzo delle chiavi di attivazione, dall’altro, permettono il cosiddetto “geo-blocking”.
Dopo quasi quattro anni di indagini, la Commissione Europea (“Commissione”) ha accertato, per quanto riguarda il rapporto tra Valve e i cinque sviluppatori sopra citati: “Accordi bilaterali e/o pratiche concordate … attuati mediante chiavi di attivazione Steam geo-bloccate che impedivano l’attivazione di alcuni videogiochi per PC di questi sviluppatori, al di fuori dei territori della Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Romania, Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania. Queste pratiche sono durate da uno a cinque anni e sono state attuate, a seconda dei casi, tra settembre 2010 e ottobre 2015.”

Inoltre, per quanto riguarda gli i di videogiochi per PC Bandai, Focus Home, Koch Media e ZeniMax e alcuni dei loro rispettivi distributori di videogiochi (diversi da Valve) la Commissione ha accertato: “Pratiche di geo-blocco sotto forma di accordi di licenza e distribuzione … contenenti clausole che limitavano le vendite transfrontaliere (passive) dei videogiochi interessati all’interno del mercato comune, compresi i suddetti paesi dell’Europa centrale e orientale. Questi sono durati generalmente più a lungo, vale a dire tra tre e 11 anni e sono stati attuati, a seconda di ogni relazione bilaterale, tra marzo 2007 e novembre 2018”.
Mentre gli sviluppatori di giochi Bandai Namco, Capcom, Focus Home, Koch Media e ZeniMax hanno scelto di collaborare, Valve, il proprietario della piattaforma Steam, secondo la Commissione europea, si sarebbe rifiutato.

Le violazioni
Dal punto di vista legale, la decisione ancora non resa pubblica, così come riportata nel comunicato stampa della Commissione Europea, menzionerebbe due aspetti: da un lato, il cosiddetto ingiustificato geo-blocking e dall’altro le restrizioni verticali di vendita. Il regolamento UE n. 2018/302 sul “Geo-blocking” mira a prevenire pratiche commerciali discriminatorie “basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o di stabilimento dei clienti, compreso il geo-blocking ingiustificato, nelle operazioni transfrontaliere tra un professionista e un cliente relative alla vendita di beni e alla fornitura di servizi all’interno dell’Unione.” In particolare, “un professionista non deve, attraverso l’uso di misure tecnologiche o altro, “bloccare o limitare l’accesso di un cliente all’interfaccia online del professionista per motivi legati alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento del cliente”. Tuttavia, il regolamento è entrato in vigore solo il 3 dicembre 2018 e quindi dopo la fine delle pratiche accertate.
Mentre il comunicato stampa della Commissione europea cita ripetutamente l’aspetto del geo-blocking, la vera ratio giuridica è piuttosto da ricercare nell’art. 101 del TFUE che vieta la ripartizione dei mercati, essendo incompatibile con l’idea del mercato unico all’interno dell’Unione Europea: non sono ammessi accordi tra fornitori e distributori che limitano il territorio in cui beni o servizi possono essere venduti.

Le multe
La Commissione Europea ha emesso multe ridotte contro gli sviluppatori riconoscendo la collaborazione durante le indagini. Al contrario, la multa emessa contro il proprietario della piattaforma Valve non è stata ridotta: secondo la Commissione europea, Valve non avrebbe collaborato sufficientemente durante il procedimento. Valve, dal canto suo, ha annunciato di considerare di appellarsi alla decisione, e ciò anche per quanto riguarda il merito della questione. In passato, Valve aveva argomentato che non poteva essere considerata alla stregua di un “distributore di giochi”. Piuttosto, essa avrebbe fornito soltanto una piattaforma, essendo quindi un mero mediatore tra gli sviluppatori di giochi ed i consumatori. La Commissione non ha condiviso questo ragionamento: il ruolo di Valve è stato considerato cruciale nella pratica che, nella sua conseguenza ultima, ha portato alla ripartizione del mercato.

Conclusioni
Il caso esemplifica la stretta connessione tra le pratiche del geo-blocking e la fattispecie della ripartizione di mercato del diritto antitrust. Il regolamento sul geo-blocking si limita ad obbligare gli Stati membri di assicurare misure “efficaci, proporzionate e dissuasive” contro il geo-blocking. Tuttavia, come è dimostrato qui, quando il geo-blocking risulta in una spartizione illecita di mercati, anche i consumatori possono chiedere un risarcimento. Come la Commissione europea sottolinea nel suo comunicato stampa: “qualsiasi persona o società colpita da un comportamento anticoncorrenziale come quello descritto in questo caso può portare la questione davanti ai tribunali degli Stati membri e chiedere un risarcimento. La giurisprudenza della Corte e il regolamento del Consiglio 1/2003 confermano entrambi che nelle cause davanti ai tribunali nazionali, una decisione della Commissione costituisce una prova vincolante che il comportamento ha avuto luogo ed era illegale.”

Tankred Thiem


CGUE: LA REGISTRAZIONE TUTELA NON SOLO LA DENOMINAZIONE DI ORIGINE, MA ANCHE LE FORME E L’ASPETTO DEL PRODOTTO DOP

26/01/2021

Con la sentenza del 17 dicembre 2020, emessa all’esito della causa C-490/19 (“Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier contro Société Fromagère du Livradois SAS”), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata chiamata a pronunciarsi in tema di tutela della Denominazione di Origine Protetta (DOP), chiarendo in particolare che, ai sensi della normativa UE, è possibile vietare anche la ripresa di forme e aspetto di un prodotto DOP, qualora gli elementi imitati possano suscitare confusione nel consumatore.

 

Il fatto e le decisioni delle Corti francesi
Il “Morbier” è un formaggio prodotto nel massiccio del Giura (Francia) che beneficia dal 22 dicembre 2000 di una registrazione DOP ai sensi della normativa comunitaria. La Societè Fromagère du Livradois (in seguito “SFL”) non si colloca nella zona geografica cui è riservata la DOP “Morbier”, motivo per cui produce formaggio utilizzando la diversa denominazione “Montboissié du Haut Livradois”. Pur con denominazioni differenti, entrambi i prodotti caseari presentano la medesima caratteristica estetica, ossia una striscia nera orizzontale cingente interamente il formaggio, che peraltro figura esplicitamente nella descrizione del prodotto DOP “Morbier”.

La controversia in esame prende le mosse dal giudizio instaurato nel 2013 dal consorzio per la tutela del formaggio Morbier (Syndicat interprofessionel de défense du fromage Morbier) avverso la SFL affinché quest’ultima fosse condannata a cessare qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto della denominazione della DOP «Morbier» per prodotti da essa non protetti, ogni usurpazione, imitazione o evocazione della DOP, ogni altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto idonea a indurre in errore sull’origine del prodotto, ogni altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, e in particolare un qualsiasi uso di una striscia nera che separi due parti del formaggio. La domanda di inibitoria così formulata non ha trovato tuttavia accoglimento nei primi due gradi di giudizio. In particolare, con decisione del 2017, la Cour d’Appel de Paris affermava che la registrazione DOP non era volta a tutelare l’aspetto o le caratteristiche di un prodotto, bensì si limitava a proteggerne la denominazione, e che la fabbricazione di prodotti diversi per mezzo di medesime tecniche lavorative non era di per sé vietata.
Il consorzio, a seguito del mancato accoglimento delle proprie istanze di tutela, impugnava la decisione della Corte d’Appello avanti alla Corte di Cassazione francese. In detta circostanza la Cassation, mediante rinvio pregiudiziale, interrogava la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiedendo chiarimenti in merito non solo alla disciplina concernente l’utilizzo da parte di terzi di una denominazione registrata, ma anche relativamente alla possibilità di vietare, sulla base della normativa UE, la riproduzione di forme e caratteristiche proprie di un prodotto oggetto di denominazione di origine.
La decisione della CGUE
La Corte di Giustizia è così chiamata a pronunciarsi riguardo a tale prassi e, in particolare, a chiarire se la riproduzione delle forme e caratteristiche di un prodotto contraddistinti dal marchio DOP possa essere idonea a suscitare confusione nel consumatore circa la reale provenienza del prodotto. La CGUE chiarisce anzitutto l’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1 del Regolamento n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006, in vigore all’epoca dei fatti, e dell’articolo 13, paragrafo 1, del Regolamento n. 1151/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio, subentrato al primo regolamento in tema di regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, statuendo che “le denominazioni registrate sono tutelate contro […] qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti”. Secondo la Corte entrambe le norme devono essere interpretate estensivamente nel senso non solo di vietare l’utilizzo, da parte di terzi, della denominazione registrata, ma anche di precludere agli stessi la riproduzione di forma o aspetto caratterizzanti il prodotto DOP, laddove siffatta pratica possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di denominazione registrata. Pertanto, sebbene la tutela prevista dai regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 riguardi esplicitamente la denominazione registrata e non il prodotto oggetto di protezione e, nello specifico, le sue forme o il suo aspetto, le DOP sono di fatto tutelate in ragione proprio di quelle peculiari caratteristiche che contraddistinguono il prodotto. In ragione di ciò, a detta della CGUE, non è possibile escludere a priori che la riproduzione di dette caratteristiche riconducibili a un prodotto oggetto di denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto, possa rientrare nel campo di intervento delle norme in oggetto. La sentenza precisa, infine, che occorre accertare caso per caso se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo – tendenzialmente informato e avveduto –, avendo riguardo non solo alla rilevanza ed al carattere distintivo degli elementi oggetto di imitazione, ma anche a tutti i fattori del caso di specie (i.e., fra gli altri, modalità di presentazione al pubblico e commercializzazione del prodotto) che possano indurre in errore il consumatore.

Federica Gattillo


L’ECCEZIONE FRAND VERRÀ DISCUSSA NUOVAMENTE DI FRONTE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA: IL TRIBUNALE DI DÜSSELDORF RIMETTE ALCUNE DELLE QUESTIONI PIÙ DIBATTUTE IN CAMPO BREVETTUALE AI GIUDICI DI LUSSEMBURGO

09/12/2020

Nel procedimento che Nokia Technologies Oy ha promosso contro Daimler AG per violazione della parte tedesca di un brevetto europeo, il Tribunale di Düsseldorf (Germania) ha annunciato la scorsa settimana che non avrebbe emesso una ingiunzione contro Daimler. Il Tribunale si è invece rivolto alla Corte di Giustizia proponendo una serie di domande che riguardano l’ambito di applicazione della cosiddetta eccezione FRAND: il brevetto riguarda un metodo per l’invio di dati in un sistema di telecomunicazione, essendo il brevetto essenziale per lo standard LTE (4G). La battaglia tra la Nokia (ed altri proprietari di brevetti essenziali per lo standard) contro la Daimler ha già visto diverse decisioni dei tribunali di Mannheim e Monaco di Baviera che hanno escluso il rinvio alla Corte di Giustizia.

 

La controversia che interessa coloro che si occupano di brevetti riguarda la porzione tedesca del brevetto EP 2 087 629 B1. Il suo titolare, la società Nokia Technologies Oy ha richiesto una ingiunzione nei confronti della casa automobilistica Daimler AG. Il brevetto in parola è essenziale per lo standard LTE (4G) che prevede l’utilizzo di moduli abilitati LTE di vari fornitori, che vengono installati nelle macchine della casa Daimler. Questi moduli consentono servizi come lo streaming di musica o gli aggiornamenti via etere. Già nel settembre 2014, il predecessore dell’attrice aveva dichiarato di ritenere il proprio brevetto essenziale per lo standard LTE ed aveva rilasciato una dichiarazione FRAND, impegnandosi a concedere licenze a terzi a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie. Tuttavia, non solo la convenuta Daimler ma anche molti altri dei suoi fornitori avevano finora utilizzato lo standard (e quindi anche il brevetto in parola) senza aver ottenuto una licenza. Nel procedimento davanti al Tribunale di Düsseldorf, la convenuta Daimler sottolinea che, sulla base delle regole del mercato interno dell’UE e della dichiarazione FRAND del settembre 2014, l’attrice debba concedere una licenza ad ogni operatore che la richiede. Per quanto riguarda la portata, la licenza dovrebbe essere illimitata per tutti i tipi di utilizzo che lo standard permette. La procedura standard nell’industria automobilistica prevedrebbe che i fornitori debbano attivarsi per ottenere delle licenze. Un aspetto centrale della controversia tra Nokia e Daimler è, infatti, la concessione di licenze in articolate catene di fornitura, composte di vari livelli. Va sottolineato che sussistono prassi diverse a seconda dei settori: nel settore delle comunicazioni mobili, le licenze vengono tradizionalmente negoziate a livello del produttore del prodotto finale. Nell’industria automobilistica, invece, le licenze vengono tradizionalmente concesse ai fornitori, portando all’esaurimento dei diritti di licenza a valle lungo la catena di fornitura. Al contrario, l’attrice Nokia argomenta che la scelta del fornitore all’interno di una catena commerciale al quale concedere una licenza spetti unicamente ad essa stessa, in quanto titolare del brevetto essenziale per lo standard.
Il Tribunale non ha rigettato l’argomentazione della convenuta Daimler e ha sollevato la questione se l’iniziativa di Nokia possa considerarsi un abuso di una posizione dominante. Le domande sottoposte alla Corte di Giustizia appartengono a due macro-tematiche. La prima riguarda la questione se sussiste un obbligo del titolare di un brevetto essenziale per uno standard di concedere in via prioritaria licenze ai fornitori. La seconda concerne specificazioni degli incombenti formulati nella sentenza del 16 luglio 2015 della Corte di Giustizia nel procedimento Huawei ./. ZTE (C-170/13).
In merito all’eventuale obbligo di concedere licenze, in via prioritaria, ai fornitori (intesi come soggetti a monte nella catena commerciale), il Tribunale ha specificato la domanda come segue: può una società che nella catena commerciale si trovi a valle, invocare l’abuso di posizione dominante nel senso dell’art. 102 TFUE se il titolare del brevetto ha rifiutato di concedere una licenza ai fornitori che si trovano a monte nella catena commerciale?

Il Tribunale di Düsseldorf – forse avendo in mente quale fattore potrebbe essere decisivo per la risposta – ha poi formulato un’ulteriore domanda: è di rilevanza per la risposta la sussistenza di una prassi commerciale – nel settore del prodotto finale – secondo cui è il fornitore ad attivarsi per ottenere le licenze eventualmente necessarie per le componenti oggetti di fornitura? Sussiste tale priorità di concedere una licenza ai fornitori di ogni livello della catena commerciale o soltanto nei confronti dell’ultimo fornitore? È decisiva anche in questo caso la prassi del commercio?
Anche in quest’ultimo caso la formulazione delle domande lascia intendere una chiara tendenza del Tribunale tedesco.

Per quanto riguarda la seconda macro-tematica, il Tribunale di Düsseldorf ha sottoposto alla Corte di Giustizia anche questioni più generali relative alla difesa di FRAND: in primo luogo, il Tribunale di Düsseldorf chiede se gli incombenti previsti dalla sentenza nel procedimento Huawei ./. ZTE per entrambe le parti possono essere adempiuti anche dopo l’istaurazione di un procedimento giudiziale. In secondo luogo, il Tribunale chiede quali siano i presupposti per poter qualificare una proposta come sufficiente da chi ha intenzione di utilizzare un brevetto essenziale per uno standard nell’ambito del meccanismo della decisione citata.

La decisione del Tribunale di Düsseldorf di formulare una domanda di rinvio alla Corte di Giustizia da un lato alimenta la speranza di ottenere in futuro una maggiore chiarezza ed omogeneità di applicazione. Tuttavia, in vista dei procedimenti già in corso e/o instaurati prima dell’emanazione di una decisione definitiva, la sola pendenza del giudizio di fronte alla Corte di Giustizia comporta il rischio di ulteriori decisioni di sospensione, ragione per la quale non si può che sperare in una celere definizione definitiva.

Tankred Thiem


DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE PER ARTISTI INTERPRETI ESECUTORI EXTRA SEE: LA CGUE RICONOSCE IL DIRITTO ALL’EQUO COMPENSO

27/11/2020

Con decisione dell’8 settembre 2020 nella causa C-265/19, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito l’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 8 Direttiva 2006/115/CE relativamente al diritto di noleggio, prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in favore degli artisti interpreti ed esecutori delle opere fissate in fonogrammi e comunicate al pubblico dalle case produttrici. In particolare la Corte ha precisato che la provenienza territoriale dell’avente diritto non può costituire una scriminante rispetto al sorgere del diritto ad ottenere l’equo compenso previsto dalla direttiva in favore di artisti interpreti esecutori a fronte della radiodiffusione via etere o per una qualsiasi comunicazione al pubblico delle opere musicali protette all’interno del territorio dell’Unione.

 

La vicenda
La vicenda che è approdata sino alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea origina da una controversia sorta tra due società irlandesi di gestione collettiva dei diritti d’autore e connessi in relazione all’esigibilità del diritto all’equo compenso da parte di artisti interpreti ed esecutori provenienti da stati extra SEE (in particolare Stati Uniti d’America) a fronte della radiodiffusione via etere o per una qualsiasi comunicazione al pubblico delle opere musicali protette all’interno del territorio irlandese.
Nel dettaglio la Recorded Artists Actors Performers Ltd (“RAAP”) – che gestisce i diritti degli artisti interpreti ed esecutori in Irlanda – e la Phonographic Performance (Ireland) Ltd (“PPI”) – che gestisce i diritti dei produttori di fonogrammi in Irlanda – stipulavano un contratto per regolare le modalità di suddivisione dei diritti all’equo compenso esigibili dagli associati di RAAP a fronte dello sfruttamento delle opere protette da parte deli associati di PPI.
Sorgeva tuttavia una controversia in merito all’esigibilità di tali diritti da parte di soggetti provenienti da stati extra UE poiché, a detta della collecting dei produttori fonografici PPI, la legislazione nazionale irlandese in materia di diritto d’autore e diritti connessi renderebbe esigibile il diritto all’equo compenso solo in favore di un cittadino irlandese ovvero proveniente o domiciliato in uno stato dello spazio economico europeo (SEE) ovvero, infine, di un paese inserito nell’elenco degli stati con condizioni di reciprocità. Al contrario la collecting degli artisti interpreti ed esecutori RAAP riteneva che anche soggetti provenienti da territori extra SEE (come ad esempio Stati Uniti d’America) avrebbero maturato i diritti derivanti dall’equo compenso per lo sfruttamento delle opere protette poiché nel diritto dell’Unione (né in alcun trattato internazionale sottoscritto dall’Irlanda) vi sarebbe alcuna limitazione rispetto all’origine territoriale degli artisti interpreti ed esecutori.

La decisione della Corte
In prima battuta la Corte ha precisato che la definizione di “artisti interpreti o esecutori” contenuta all’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2006/115 deve essere interpretata in modo uniforme in tutta l’Unione in assenza di rinvio ai diritti nazionali per quanto riguarda la portata di tale definizione. Considerato che tale disposizione non precisa espressamente se i termini “artisti interpreti o esecutori” facciano riferimento ai soli artisti interpreti o esecutori che abbiano la cittadinanza di uno Stato nel cui territorio tale direttiva si applica, o se si riferiscano parimenti agli artisti interpreti o esecutori che abbiano la cittadinanza di un altro Stato, deve ritenersi esclusa qualsiasi limitazione di provenienza territoriale.
Il diritto all’equo compenso è infatti, secondo la Corte, un diritto di natura compensativa il cui fattore causale è la comunicazione al pubblico dell’interpretazione o dell’esecuzione dell’opera fissata su un fonogramma pubblicato a fini commerciali. Ne deriva che ciascuno stato membro dell’Unione dovrebbe garantire, da un lato, che una remunerazione equa e unica sia versata dall’utente allorché un fonogramma pubblicato a scopi commerciali, o una riproduzione del medesimo, è utilizzato per una radiodiffusione via etere o per una qualsiasi comunicazione al pubblico e, dall’altro, che detta remunerazione sia suddivisa tra l’artista interprete o esecutore e il produttore del fonogramma.

Nessuna limitazione di provenienza territoriale del soggetto che può esigere detto compenso è quindi prevista.
Tale conclusione sarebbe inoltre confermata dai trattati internazionali sottoscritti dagli stati europei tra cui la Convenzione di Roma del 26 ottobre 1961 in relazione alla protezione degli artisti interpreti o esecutori secondo cui ogni artista interprete o esecutore cittadino di uno Stato contraente di tale Convenzione deve beneficiare del trattamento nazionale accordato dagli altri Stati contraenti ai propri cittadini qualora l’esecuzione sia registrata su di un fonogramma protetto a norma della Convenzione stessa.
A detta della Corte il diritto a una remunerazione equa e unica, riconosciuto dall’articolo 8 direttiva 2006/115, non può essere riservato dal legislatore nazionale ai soli cittadini degli Stati membri del SEE, con conseguente disapplicazione di qualsiasi normativa nazionale (nel caso di specie quella irlandese) che contrasti con tale definizione armonizzata.

Alessandro Bura


CORTE DI GIUSTIZIA UE: LA TRASMISSIONE DI UNA COPIA DI UNA FOTOGRAFIA NELL’AMBITO DI UN PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO TRA PRIVATI NON COSTITUISCE UNA COMUNICAZIONE AL PUBBLICO

11/11/2020

Con sentenza del 28 ottobre 2020 la Corte di Giustizia si è pronunciata nell’ambito di una controversia (Causa C- 637/19) riguardante l’utilizzabilità di un’opera protetta dal diritto d’autore come elemento di prova all’interno di un procedimento giudiziario tra soggetti privati. La Corte, bilanciando il diritto d’autore con il diritto ad un ricorso effettivo garantito dalla Carta dei diritti fondamentali, ha sottolineato che il criterio della comunicazione “pubblica” non ricorre nell’ipotesi di un tale utilizzo in ambito giurisdizionale per fini difensivi.

 

Il fatto e il giudizio di primo grado:
Il caso qui richiamato riguarda due persone fisiche residenti in Svezia, entrambe gestori di un proprio sito internet. Nell’ambito del procedimento principale originariamente instaurato innanzi al giudice civile svedese, il convenuto era stato chiamato a rispondere della violazione del diritto d’autore del ricorrente su una fotografia: la trasmissione, al giudice adito in quel contesto, della copia della pagina di un testo estratto dal sito internet del ricorrente e contenente una fotografia sarebbe qualificabile come comunicazione al pubblico non autorizzata.
La trasmissione di tale contenuto, avvenuta mediante posta elettronica, era funzionale al suo utilizzo come elemento di prova nell’ambito del giudizio. Il ricorrente aveva contestato tale condotta, rivendicando la titolarità del proprio diritto d’autore sulla fotografia in questione, richiedendo la condanna al risarcimento dei danni per contraffazione del diritto d’autore e contestando anche la violazione della speciale normativa conferita alle fotografie dal diritto d’autore svedese. Sul punto, poiché la fotografia in questione era stata trasmessa ad un organo giurisdizionale come atto processuale, il giudice di primo grado aveva dapprima constatato che chiunque potesse richiederne la sua comunicazione. Il giudice aveva altresì qualificato l’azione posta in essere dal convenuto come una vera e propria “distribuzione al pubblico” di tale fotografia ai sensi del diritto svedese. In conclusione, quest’ultimo aveva però respinto la domanda del ricorrente, giudicando non provato il danno subito.

Le incertezze nel giudizio di appello:
A fronte di tale pronuncia, il ricorrente aveva interposto appello innanzi alla Corte d’Appello di Stoccolma. In questa sede venivano sollevati molteplici dubbi in merito alla corretta interpretazione, nell’ambito del diritto dell’Unione Europea, delle nozioni di “comunicazione al pubblico” e “distribuzione al pubblico” nello specifico caso di trasmissione di un’opera protetta dal diritto d’autore ad un organo giurisdizionale. La questione di principale rilevanza riguardava la possibilità di poter considerare un organo giurisdizionale quale rientrante, a tutti gli effetti, nella nozione di “pubblico” ai sensi della direttiva 2001/29 e se il termine “pubblico” avesse lo stesso significato ai fini dell’applicazione dell’art. 3, paragrafo 1 [1] e dell’art. 4, paragrafo 1 [2] di tale direttiva. La Corte d’Appello svedese ha rinviato le questioni alla Corte di Giustizia.

La decisione della CGUE:
La Corte di Giustizia ha sottolineato come la nozione di “comunicazione al pubblico” sia caratterizzata da un duplice elemento. Il primo elemento, ovvero la comunicazione, intesa come “qualsiasi atto con il quale un utilizzatore dia accesso a opere protette, con piena cognizione delle conseguenze del proprio comportamento” ricorre nel caso in esame, dove si è verificata la trasmissione di un’opera protetta ad un organo giurisdizionale mediante posta elettronica.
Lo stesso non può dirsi per il secondo elemento che richiede che le opere protette siano effettivamente comunicate alla c.d. “gente in generale”, ossia ad un numero indeterminato di destinatari, un numero di persone piuttosto considerevole nel loro ammontare: la comunicazione era destinata ad un gruppo definito e limitato di professionisti che esercitano le loro funzioni per soddisfare un interesse di carattere pubblico. Non si tratterebbe, pertanto, di una comunicazione ad un pubblico generalizzato ed indefinito bensì ad individui ben determinati. In tale contesto, le regole nazionali che permettono l’accesso ai documenti pubblici sono senza rilievo in quanto tale accesso non viene concesso dall’utilizzatore che ha trasmesso l’opera all’organo giurisdizionale, bensì da quest’ultima ai singoli che ne fanno domanda.
La Corte ha altresì sottolineato che tale interpretazione permette di garantire, nell’ambito digitale ed elettronico, un giusto equilibrio tra l’interesse dei titolari dei diritti d’autore e la protezione degli interessi di tutti coloro che utilizzano materiali protetti. In conclusione, pertanto, la Corte di Giustizia UE ha escluso che la trasmissione per via elettronica ad un organo giurisdizionale di un’opera protetta come elemento di prova in un procedimento giudiziario tra privati possa essere annoverata all’interno della nozione di “comunicazione al pubblico”, considerando anche il diritto fondamentale ad un ricorso effettivo dinanzi ad un Giudice garantito ai sensi dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

[1] L’art. 3, paragrafo 1 della Direttiva 2001/29 testualmente afferma che “Gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”.
[2] L’art. 4, paragrafo 1 della Direttiva 2001/29 testualmente afferma che “Gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi forma di distribuzione al pubblico dell’originale delle loro opere o di loro copie, attraverso la vendita o in altro modo”.

Paolo Rovera