L’EQUILIBRIO FRA LA TUTELA DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E DELLA PRIVACY: INDIRIZZO EMAIL E INDIRIZZO IP DEI CONTRAFFATTORI SONO INFORMAZIONI CHE POSSONO ESSERE FORNITE AI TITOLARI DEI DIRITTI?

21/04/2020

Con parere del 2 aprile 2020, l’Avvocato Generale Saumandsgaard Øe, nella causa Constantin Film v YouTube, C-264/19 pendente davanti alla Corte di Giustizia, ha affermato che You Tube e Google non sono tenuti a fornire l’indirizzo e-mail e le informazioni relative all’indirizzo IP di un utente che viola i diritti di proprietà intellettuale ai sensi della direttiva Direttiva Enforcement.

 

La domanda pregiudiziale si inserisce nell’ambito di una controversia tra la Constantin Film Verleih GmbH, società tedesca distributrice di film, e le società statunitensi YouTube LLC e Google Inc. e verte sul rifiuto di queste ultime di fornire alla Constantin Film Verleih informazioni relative ad utenti che hanno pubblicato online diversi film in violazione dei suoi diritti esclusivi di sfruttamento ed in particolare, indirizzi e-mail, numeri di telefono e indirizzi IP utilizzati da detti utenti.

Il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) ha richiesto alla Corte di giustizia se siffatte informazioni rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48/CE (2), meglio nota come Direttiva Enforcement, ai sensi del quale l’autorità giudiziaria competente può ordinare la comunicazione del “nome e indirizzo” di talune categorie di persone aventi un rapporto con prodotti o servizi che violano un diritto di proprietà intellettuale.
Secondo le conclusioni dell’Avvocato Generale Henrik Saugmandsgaard Øe, presentate il 2 aprile 2020, le nozioni “nome e indirizzo” devono essere definite conformemente al loro senso abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto in cui esse sono utilizzate e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte. Nel dettaglio, la nozione “indirizzo” riguarderebbe il solo indirizzo postale e non anche il numero di telefono, l’indirizzo e-mail e l’indirizzo IP. Siffatta interpretazione sarebbe avvalorata dal fatto, quando il legislatore dell’Unione ha voluto riferirsi all’indirizzo e-mail o all’indirizzo, lo ha fatto espressamente, completando il termine “indirizzo” con i suffissi “email” e “IP”. Non esisterebbe infatti alcun esempio di atto normativo dell’Unione in cui i termini “nome e indirizzo”, utilizzati da soli e in un contesto generale, si riferiscano al numero di telefono, all’indirizzo IP o all’indirizzo e-mail.

Non sarebbe neppure possibile, secondo le conclusioni menzionate, un’interpretazione “dinamica” o teleologica di detta disposizione, considerando che i termini utilizzati all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48 non offrono un margine di interpretazione sufficiente a consentire siffatta interpretazione per includere le informazioni menzionate nelle questioni pregiudiziali.
Concludendo, l’Avvocato Generale ha chiarito che, benché sia incontestabile che la Direttiva Enforcement miri ad assicurare un livello elevato di protezione della proprietà intellettuale nel mercato interno, non vi è alcuna norma né alcuna sentenza della Corte che abbia sancito che il diritto di proprietà intellettuale sia intangibile e che la sua tutela debba quindi essere garantita in modo assoluto: l’interpretazione proposta dalla Constantin Film Verleih aumenterebbe pertanto ingiustificatamente il livello di protezione della proprietà intellettuale nel mercato interno e rimetterebbe in discussione, in senso favorevole agli interessi dei titolari di diritti di proprietà intellettuale, l’equilibrio stabilito dal legislatore dell’Unione fra appunto diritti di proprietà intellettuale e gli interessi e dei diritti fondamentali degli utenti di materiali protetti, compreso il diritto alla privacy.

La decisione finale della Corte, che potrebbe anche non allinearsi alle conclusioni dell’Avvocato Generale, è dunque molto attesa, considerando che l’accesso ai dati personali degli utenti colpevoli di violazioni di diritti di proprietà intellettuale ed industriale è un tema da molto tempo oggetto di discussione.

Nel nostro ordinamento, l’ostensione dei dati degli autori delle condotte illecite è di per sé ammissibile: gli articoli 156bis e 156ter l. 633/1941, introdotti proprio a seguito dell’attuazione della Direttiva Enforcement, prevedono infatti espressamente la possibilità per il titolare dei diritti di richiedere un ordine di discovery dei dati dei contraffattori (in particolare l’art. 156bis dispone, fra l’altro, che la parte abbia fornito seri elementi dai quali si possa ragionevolmente desumere la fondatezza delle proprie domande possa ottenere che il giudice ordini alla controparte di fornire gli elementi per l’identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono violazione dei diritti di cui alla presente legge). L’ordine del giudice può essere o meno subordinato a particolari misure di protezione della riservatezza.

In Italia, il tema è stato affrontato nel 2008 in relazione ai dati raccolti e processati dalle Telecoms in relazione agli utenti del P2P. Dopo la concessione di iniziali ordini cautelari di disclosure da parte del Tribunale di Roma, la giurisprudenza è radicalmente cambiata e si è pronunciata nel senso di una totale chiusura rispetto all’accesso agli indirizzi IP degli utenti, anche a seguito della posizione assunta dal Garante per la Tutela dei Dati Personali, che intervenne direttamente in alcuni giudizi sostenendo la natura di dati di traffico di tali indirizzi IP (v. il noto caso Peppermint).

La questione si è tuttavia riproposta alcuni anni dopo, e precisamente nel 2015, in relazione ai dati raccolti e processati dalle piattaforme online. Il Tribunale di Torino, Sezione Impresa, con ordinanza del 3 giugno nel caso Delta TV Programs contro Dailymotion, ha ordinato alla piattaforma di condivisione di video di fornire al titolare dei diritti i dati in suo possesso utili a identificare i responsabili delle violazioni commesse tramite uploading dei file delle opere protette, operando così un bilanciamento fra i diritti ed affermando che “il diritto comunitario non impone agli Stati membri di istituire un obbligo di comunicare dati personali per garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore nel contesto di un procedimento civile, ma neppure lo vieta”.

Tale linea era stata già delineata dal Tribunal de Grand Instance di Strasburgo il quale, in data 21 gennaio 2015, aveva ordinato a quattro fra i principali service provider di fornire ad un’associazione antipirateria “l’identità, l’indirizzo postale, l’indirizzo e-mail delle persone titolari degli indirizzi IP riportati nel processo verbale”.
Peraltro, la stessa Cassazione con sentenza n. 7783 del 3 aprile 2014 aveva affermato come l’interesse alla riservatezza dei dati personali dovesse cedere alle esigenze di difesa di altri interessi giuridicamente rilevanti, fra cui l’esercizio del diritto di difesa in giudizio, a condizione che la richiesta fosse pertinente con la tesi difensiva e non eccedente le sue finalità.

Più recentemente, nel 2019, il Tribunale di Milano, Sezione Impresa, nel corso di una serie di giudizi instaurati da titolari dei diriti nei confronti di hosting provider volti ad ottenere l’inibitoria all’accesso da parte dei destinatari dei loro servizi ad indirizzi IP e nomi a dominio relativi ad IPTV che trasmettevano contenuti del Campionato di Serie A senza autorizzazione, ha espressamente ordinato ad alcuni hosting provider di fornire al titolare dei diritti tutte le informazioni in loro possesso che consentissero l’identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui avevano accordi di memorizzazione dei dati, relativamente ai servizi IPTV oggetto di giudizio, quali nome, cognome, data di nascita, luogo di nascita e indirizzo di residenza, codice fiscale, ovvero ragione e sede sociale e numero di identificazione ai fini fiscali o di registrazione nel registro delle imprese, o analoghi, in caso di persona giuridica (peraltro con riferimento alle persone giuridiche il problema della tutela dei dati personali non si pone).

Nello stesso senso si veda anche Tribunale di Roma, emessa in data 13 marzo 2019, con cui è stato ordinato alla resistente, prestatore di un servizio della società dell’informazione, di fornire alla ricorrente, titolare dei diritti, i dati identificativi richiesti e nella sua disponibilità per l’identificazione dei gestori di portali che trasmettevano contenuti illeciti specificando che tale ordine era necessario per garantire una tutela efficace dei propri diritti di autore.
I recenti provvedimenti di Milano e Roma, fra l’altro, non hanno subordinato l’ostensione dei dati ad alcuna misura di sicurezza.

Si vuole infine ricordare come a livello comunitario esista un orientamento secondo cui, nel bilanciamento fra la tutela del diritto di autore e la tutela alla riservatezza dei dati, si debba consentire l’ostensione dei dati quando in mancanza il titolare dei diritti non abbia alcun alternativo strumento di protezione(sentenza Corte di Giustizia UE del 18 ottobre 2018 nella causa C-149/17 Bastei Lübbe GmbH & Co. KG / Michael Strotze). Nel caso di specie la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che il detentore di una connessione internet utilizzatabile da più componenti di uno stesso nucleo famigliare, attraverso la quale siano state commesse violazioni del diritto d’autore mediante una condivisione di file, non può esimersi dal comunicare chi abbia in concreto realizzato la violazione limitandosi ad allegare il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare, la cui tutela ricade nell’ambito dell’art. 7 CEDU, qualora la conseguenza sia la totale privazione di ogni mezzo di ricorso a favore del titolare dei diritti d’autore.

Alla luce della giurisprudenza sopra citata, le conclusioni dell’Avvocato Generale risultano quindi eccessivamente formalistiche. È infatti discutibile che il significato comune di “indirizzo” sia unicamente quello di indirizzo fisico e non anche quello di indirizzo elettronico. Se è vero che il Dictionnaire de l’Académie française citato nell’opinione qui commentata definisce l’indirizzo come “la designazione del luogo in cui si può raggiungere qualcuno”, è anche vero che secondo la nostra Treccani l’“indirizzo” è, fra l’altro, “l’insieme di dati alfanumerici tramite i quali è possibile inviare a una persona una e-mail”. Peraltro, nell’epoca digitale in cui ci troviamo, è anche ragionevole ritenere che in effetti il luogo in cui raggiungere un soggetto possa essere determinato anche dall’indirizzo email e dall’indirizzo IP.

Ci si auspica quindi che la decisione della Corte di Giustizia si discosti, almeno parzialmente, dalle rigide conclusioni dell’Avvocato Generale, e che sia quindi riconosciuto ai titolari dei diritti di poter ottenere quante più informazioni possibili per l’individuazione dei soggetti che hanno commesso violazioni, nel rispetto della tutela dei dati personali e dunque in modo pertinente e non eccedente la finalità del diritto di difesa.

Margherita Stucchi