LA SANIFICAZIONE AMBIENTALE AI TEMPI DEL COVID-19: COME RICOMINCIARE LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE NEL RISPETTO DELLA NORMATIVA VIGENTE

29/04/2020

Il settore della sanificazione ambientale è oggetto di una specifica regolamentazione nazionale ed europea. Di recente, a causa dell’epidemia Covid-19, è stato interessato da provvedimenti emergenziali specificamente diretti a disciplinare la sanificazione relativa al COVID-19.Tali provvedimenti, se non contraddistinti da chiarezza e univocità, rischiano di rendere la ripresa delle attività produttive nel rispetto della compliance aziendale un percorso ad ostacoli. La violazione delle norme espone infatti a rischi sia gli utenti dei servizi di sanificazione, sia le imprese stesse di sanificazione, che si espongono a sanzioni penali e amministrative, e possono anche commettere un illecito concorrenziale.

 

L’attuale contesto di emergenza Covid-19 ha portato sotto i riflettori i servizi di sanificazione, che nei prossimi mesi potranno interessare tutti (o quasi) i luoghi pubblici e privati ove si svolge la vita quotidiana del paese.
Sono moltissime le imprese che in questo periodo offrono servizi di igienizzazione, sanificazione e disinfezione ambientale. Attenzione però. Nell’attuale contesto emergenziale, in cui le direttive ministeriali e le poche informazioni scientifiche sul come affrontare il Coronavirus risultano spesso non univoche, molte aziende corrono il rischio di incorrere in sanzioni. Il settore della sanificazione è, infatti, oggetto di una specifica regolamentazione che riguarda sia i prodotti utilizzati [1] nella sanificazione, sia le aziende attive in questo settore, le quali devono possedere determinati requisiti [2].

Il primo problema che si pone è quello di comprendere quali siano le corrette pratiche di sanificazione da Covid-19 indicate dagli organi competenti e quali prodotti debbano essere usati a seconda della procedura richiesta. I termini igienizzazione, sanificazione e disinfezione, benché spesso utilizzati in modo indifferenziato, hanno significati diversi. L’attività di sanificazione riguarda il complesso di procedimenti e operazioni atti a rendere sani determinati ambienti mediante l’attività di pulizia e/o disinfezione e/o disinfestazione. La disinfezione è il processo attraverso cui vengono eliminati la maggior parte dei microrganismi patogeni su oggetti inanimati. Infine, la pulizia o detersione consiste nella rimozione del materiale organico e inorganico da oggetti e superfici e viene solitamente eseguita usando acqua e detergenti.

Una prima direttiva riguardante la corretta procedura di sanificazione da Covid-19 è pervenuta dal Ministero della Salute con la circolare n. 5443 del 22/2/2020 (infra, anche “la Circolare”), la quale distingue la sanificazione di ambienti sanitari da quelli non sanitari.

La sanificazione di ambienti sanitari
La Circolare considera gli ambienti sanitari luoghi ad alto rischio di infezione Covid-19 ed indica per questi ultimi una procedura di sanificazione che includa:
1) pulizia a mezzo di detergenti; seguita da
2) applicazione di disinfettanti di uso ospedaliero (suggeriti l’ipoclorito di sodio (0.1% -0,5%), etanolo (62-71%) o perossido di idrogeno (0.5%)).
La circolare, dunque, suggerisce alcuni materiali disinfettanti ma non esclude l’utilizzo di altre sostanze, purché abbiano un’efficacia disinfettante pari a quella delle sostanze indicate.

La sanificazione di ambienti non sanitari
La Circolare indica la seguente procedura per gli ambienti non sanitari in cui ha soggiornato un caso di Covid-19 accertato [3]:
1) pulizia con acqua e detergenti comuni;
2) decontaminazione con sostanze raccomandate quali ipoclorito di sodio 0,1% ed etanolo al 70% dopo pulizia con un detergente neutro.
In questo caso, la Circolare non impone espressamente la sanificazione a mezzo di disinfettanti (come nel caso degli ambienti sanitari), limitandosi a fare uso del termine più generico della “decontaminazione”.

È opportuno chiedersi se il differente wording utilizzato dalla Circolare (nonché l’espressa distinzione tra ambienti sanitari e non sanitari) implichi l’indicazione di una diversa procedura di sanificazione: nello specifico, se solo per i locali sanitari questa debba avvenire a mezzo di prodotti disinfettanti. Si tratta di un aspetto cruciale per l’operatore del servizio, giacché la qualifica di un prodotto come disinfettante richiede una serie di adempimenti.
Come è stato chiarito dal Ministero della Salute (cfr Comunicato 6/4/2020), tutti i prodotti che rivendicano un’azione disinfettante sono classificabili come biocidi e sono posti in commercio solo dopo aver ottenuto una specifica autorizzazione da parte del Ministero della Salute o della Commissione Europea [4]. I biocidi sono, infatti, sottoposti ad un controllo preventivo al fine di valutare la loro efficacia nonché la sicurezza per il consumatore e per l’ambiente. È opportuno precisare: i prodotti che rivendicano attività igienizzante e/o di rimozione di germi e batteri, se privi della suddetta autorizzazione, non sono da considerarsi come prodotti disinfettanti, bensì come prodotti detergenti. In quanto tali, questi ultimi sono immessi in commercio come prodotti di libera vendita [5] (cfr Comunicato del Ministero della Salute 20/2/2019).

Ne deriva che sembrerebbero astrattamente possibili due interpretazioni della Circolare.
Secondo la prima, più liberale, per la sanificazione da Covid-19 di ambienti non sanitari non sarebbe necessario utilizzare disinfettanti (nel senso di prodotti giuridicamente qualificabili come tali), con la conclusione che potrebbero essere impiegati prodotti privi dell’autorizzazione come biocidi/presidi medico chirurgici e riconducibili all’ambito dei detergenti/igienizzanti. Tuttavia, tenendo in debito conto alcune informazioni scientifiche rilasciate dagli organi competenti, sembra possibile un’altra interpretazione della Circolare, più rigorosa e prudenziale. In particolare, la Raccomandazione dell’Istituto superiore di sanità del 29 marzo 2020 afferma che per la sanificazione dei locali da Covid-19 devono essere impiegati prodotti aventi proprietà disinfettanti. Sembrerebbe logico dedurre, allora, che l’utilizzo del termine “decontaminazione” implichi comunque l’utilizzo di un quid pluris rispetto al prodotto detergente/igienizzante, e quindi – in particolare – di veri e propri disinfettanti (in quanto tali, appositamente autorizzati dalle autorità competenti).

Imprese di sanificazione e requisiti previsti dalla normativa vigente
Oltre alla conformità dei prodotti impiegati nella sanificazione alla normativa vigente, le imprese che offrono questo servizio devono essere in possesso dei requisiti previsti dall’ordinamento (cfr L. 25 gennaio 1994 n. 82 e D.M. 7 luglio 1997, n. 274).
Nello specifico, il regolamento ministeriale 7 luglio 1997, n. 274 individua per l’esercizio delle attività di sanificazione degli specifici requisiti di “capacità economico-finanziaria” e di “capacità tecnica e organizzativa”. Questi ultimi, in particolare, devono essere posseduti dal titolare, da un socio o da un soggetto preposto alla gestione tecnica dell’impresa ad esclusione di un consulente o professionista esterno. I requisiti di onorabilità (es. assenza di condanne penali, di misure di prevenzione, di contravvenzioni in materia di lavoro e previdenza) sono previsti direttamente all’art. 2 della L. 25 gennaio 1994 n. 82 e devono essere posseduti da soggetti diversi a seconda del tipo di impresa. Per le imprese di sanificazione prive dei suddetti requisiti sono previste sanzioni amministrative. A tale proposito, l’ANID (associazione nazionale delle imprese di disinfezione) ha annunciato azioni legali e segnalazioni alle autorità competenti nei confronti delle imprese non in regola.

In conclusione, l’impresa già qualificata a svolgere servizi di sanificazione si trova oggi in una posizione di vantaggio competitivo rispetto alle aziende che solo recentemente hanno deciso di operare in questo settore. Tale vantaggio è frutto di anni di investimenti, lavoro e adempimenti funzionali, tra l’altro, ad operare nel rispetto delle regole vigenti. L’attuale contesto di epidemia, sebbene dominato dall’esigenza di dare risposte rapide, non può comportare la liberalizzazione di un settore specificamente regolamentato. A tale proposito, è opportuno ricordare che l’esigenza di assicurare il rispetto delle norme e delle procedure – nonché di fornire agli operatori del settore gli strumenti necessari per una corretta esecuzione dei servizi di sanificazione da Covid-19 – si pone in questo caso a presidio della salute pubblica e dell’ambiente.
E’ evidente segnalare che le attività di sanificazione, come imposte dalla normativa vigente (in particolare per quanto riguarda gli ambienti ospedalieri, ma anche nel caso di uffici privati quando vi sia stato un contagio accertato), costituiscono un preciso obbligo per l’azienda, che è tenuto al rispetto di una serie di accorgimenti al fine di tutelare i propri dipendenti, collaboratori ed utenti. La violazione degli obblighi, oltre ad essere sanzionata in sede amministrativa ed in sede penale, potrebbe esporre a responsabilità risarcitorie nel caso in cui la sanificazione non sia effettuata ovvero sia effettuata in modo non corretto, e si verifichino ulteriori contagi.
È auspicabile, pertanto, un preciso e univoco utilizzo dei termini giuridici allo scopo di favorire la compliance aziendale scoraggiando eventuali comportamenti predatori sul mercato della sanificazione. A tale riguardo, si fa presente che la pubblicità ingannevole relativa ai propri prodotti/servizi o alle qualità possedute dall’imprenditore, potrebbe integrare, altresì, un illecito concorrenziale. In particolare, la concorrenza sleale per appropriazione dei pregi altrui (cfr Art. 2598 n. 2 cod. civ.) ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisce ai propri prodotti pregi qualità requisiti da essi non posseduti ma appartenenti ai prodotti o all’impresa di un concorrente, perturbando così la libera scelta dei consumatori. Ugualmente costituisce atto di concorrenza sleale svolgere attività in violazione di norme pubbliche, situazione che potrebbe verificarsi per il caso in cui l’impresa si proponesse per attività di sanificazione in violazione delle regole che disciplinano questo specifico settore e che sono state sopra indicate. La violazione delle norme concorrenziali potrebbe essere fatta valere in diversi ambiti, fra cui per esempio avanti all’antitrust (per quanto concerne le comunicazioni ingannevoli), ovvero il giudice civile, con la conseguente possibilità di applicazione di sanzioni come l’inibitoria, la pubblicazione, il risarcimento del danno.

[1] Tra gli altri, cfr il Regolamento UE 528/2012 sui Biocidi, il d.P.R.392/98 sui Presidi Medici Chirurgici.
[2] I requisiti che le aziende di sanificazione devono possedere sono previsti dalla L. 25 gennaio 1994 n. 82 e dal D.M. 7 luglio 1997, n. 274.
[3] In particolare, il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, del 14/3/2020, detta una serie di indicazioni per la pulizia e sanificazione delle aziende. Con riferimento all’ipotesi di casi accertati di Covid-19, il protocollo rinvia alle disposizioni previste dalla Circolare per la sanificazione di ambienti non sanitari (cfr punto 4. Del Protocollo condiviso).
[4] Nello specifico, i prodotti contenenti un principio attivo già approvato ai sensi del Regolamento UE 528/2012, sono regolamentati esclusivamente da tale Regolamento e immessi in commercio come biocidi. I prodotti contenenti un principio attivo in revisione in accordo al Regolamento UE 528/2012, invece, possono essere immessi sul mercato italiano ai sensi del d.P.R.392/98, come presidi medico chirurgici.
[5] Al contrario dei disinfettanti, i detergenti sono composti di sostanze chimiche che agiscono fisicamente o meccanicamente per la rimozione dello sporco (materiale organico o inorganico), esercitando un’azione di pulizia e/o di igienizzazione delle superfici.

Simona Lavagnini, Camilla Macrì