IP WEEKLY UPDATES (HOT TOPICS)

16/05/2023

NUOVI SVILUPPI NELLE TRATTATIVE TRA SIAE E META: RAGGIUNTO UN ACCORDO PROVVISORIO SINO AL 6 OTTOBRE 2023

 

In questi giorni sono tornati disponibili i brani protetti da diritto d’autore che erano stati rimossi alcune settimane fa da Facebook e Instagram, quale conseguenza delle difficili trattative che stanno impegnando Meta e SIAE. La soluzione studiata dalle parti è provvisoria e consiste nella proroga delle medesime condizioni previste dal contratto di licenza scaduto nel 2022 – per il momento, solamente sino al 6 ottobre 2023.
La questione, dunque, non può ritenersi certamente risolta, ma l’accordo costituisce senza ombra di dubbio un passo importante nella definizione di una nuova intesa – oltre ad essere vantaggioso per entrambi i soggetti.
Infatti Meta, da un lato, potrà giovarsi ancora per qualche mese delle condizioni più favorevoli di cui al vecchio contratto di licenza – facendo peraltro dietrofront sul punto della rimozione dei brani, che era stato anche oggetto di istruttoria da parte dell’AGCM per abuso di dipendenza economica ai danni del mercato musicale – e SIAE, dall’altro lato, sarà messa in condizione di poter continuare a tutelare gli autori in modo efficace anche durante le trattative.


CASO LOUBOUTIN: INTERESSANTE DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DELLE PIATTAFORME DI SERVIZI E-COMMERCE PER USO DEL MARCHIO SENZA CONSENSO DEL TITOLARE

4/05/2023

La Corte di giustizia dell’UE ha statuito che il fornitore di servizi e-commerce che presenti in modo uniforme agli utenti le offerte sulla propria piattaforma, comunicando unitamente i propri annunci e quelli di venditori terzi aggiungendo i propri segni distintivi all’insieme delle inserzioni, offrendo inoltre a venditori terzi servizi di stoccaggio e spedizione dei prodotti, può essere considerato responsabile dell’uso illecito del marchio da parte di soggetti terzi, qualora l’utente mediamente informato e ragionevolmente attento possa essere indotto a ritenere che vi sia un collegamento tra i servizi offerti dal provider e il marchio.

 

Lo stilista francese Christian Louboutin, titolare del marchio dell’Unione Europea consistente nella celebre suola rossa presente in alcuni modelli di calzature, ha agito sia in Belgio che in Lussemburgo chiedendo ai giudici nazionali la liquidazione del danno e la cessazione dell’utilizzo illecito del segno da parte della piattaforma di e-commerce Amazon. Louboutin ha sostenuto che il colosso dell’e-commerce fosse responsabile della violazione del marchio, sebbene Amazon non avesse venduto direttamente le scarpe raffiguranti il marchio in questione, ma in quanto aveva ricoperto un ruolo attivo nell’uso commerciale del segno. I legali dello stilista hanno dimostrato come sulla piattaforma fossero presenti annunci di prodotti venduti da soggetti terzi raggruppati con quelli venduti da Amazon e che quest’ultima avesse inserito tutti gli annunci nella propria comunicazione commerciale. Secondo Loubotin, tale attività non può essere ritenuta classificabile come mera intermediazione di servizi online.
Al cuore della contestazione del titolare del marchio erano le modalità in cui si articola il servizio offerto da Amazon online, che presenta uniformemente sia le offerte dei propri prodotti, sia quelle di terzi, senza alcuna differenziazione in merito alla rispettiva provenienza. Inoltre, il servizio offre su richiesta dei soggetti terzi attività ulteriori che consistono, in particolare, nello stoccaggio e nella spedizione dei prodotti, informando i potenziali clienti che Amazon svolge tali servizi.
La fattispecie in parola va esaminata alla luce della disposizione normativa di cui all’art. 9 co. 2, lett. a) del Regolamento UE n. 2017/1001 sul marchio dell’Unione Europea, secondo cui il titolare del marchio dell’Unione Europea ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare a fini commerciali qualsiasi segno quando: “il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato”. Premesso ciò, i giudici nazionali hanno posto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea alcune questioni pregiudiziali, e in particolare se nella valutazione dell’applicabilità della norma indicata alla condotta tenuta da Amazon sia necessario considerare la percezione degli utenti della piattaforma.
Il 22 dicembre 2022 la CGUE ha emesso la propria decisione, ritenendo che il titolare del marchio ha il diritto di vietare l’utilizzo dello stesso da parte di un fornitore del servizio di e-commerce, qualora le attività di quest’ultimo inducano l’utente normalmente informato e ragionevolmente attento ad elaborare una correlazione tra i servizi offerti dal provider e il marchio. Nello specifico questa circostanza si verifica laddove l’utente sia portato ragionevolmente a pensare che i prodotti contraddistinti dal marchio in questione siano venduti direttamente dal gestore della piattaforma.
Secondo la Corte di giustizia, nella valutazione della fattispecie è particolarmente rilevante che il fornitore presenti in modo uniforme agli utenti le offerte sulla propria piattaforma, comunicando unitamente i propri annunci e quelli di venditori terzi ed aggiungendo i propri segni distintivi all’insieme delle inserzioni, offrendo inoltre a venditori terzi servizi di stoccaggio e spedizione dei prodotti.
La decisione parrebbe essere in contrasto con l’orientamento precedente della Corte di giustizia, la quale aveva ritenuto in altri arresti che l’attività del fornitore di servizi di ecommerce consistesse nella mera fornitura di strumenti tecnici per utilizzare un marchio, e come tale non fosse da considerare una circostanza determinante per affermare che il provider del servizio facesse uso del marchio ai sensi dell’art. 9 (2) (a) del Regolamento UE n. 2017/1001.
La stessa Corte ha chiarito che il caso di specie si differenzia tuttavia dai precedenti per le particolari condotte tenute da Amazon nella comunicazione agli utenti delle offerte dei prodotti veduti da terzi, che sono presentati in maniera omogenea alle offerte di prodotti venduti direttamente dal fornitore del servizio e-commerce, nonché per la circostanza che il provider fornisce anche ulteriori attività di stoccaggio e spedizione dei prodotti acquistati sulla propria piattaforma.
In conclusione, l’interpretazione della Corte di giustizia tenderebbe a favorire la tutela del marchio anche sulla rete. Spetterà ora ai giudici nazionali del Belgio e del Lussemburgo decidere nel merito e declinare il principio del giudice europeo nel caso concreto.


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19/04/2023

AGCOM SOTTOPONE A CONSULTAZIONE PUBBLICA LO SCHEMA DI REGOLAMENTO PER L’ATTUAZIONE DEL D.LGS. 8 NOVEMBRE 2021, N. 177 IN TEMA DI DIRITTO D’AUTORE

 

Il 6 marzo 2023 l’AGCOM ha sottoposto a consultazione pubblica lo “Schema di regolamento recante attuazione degli articoli 18-bis, 46-bis, 80, 84, 110-ter, 110-quater, 110-quinquies, 110- sexies, 180-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 come novellata dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177” di cui all’allegato A della delibera n. 44/23/CONS, al fine di acquisire da parte dei soggetti portatori di interesse utili elementi di valutazione per approfondire le dinamiche di settore. Gli operatori del settore, le istituzioni e le organizzazioni rappresentative di utenti e consumatori potranno presentare i propri contributi alla consultazione entro il 5 maggio 2023.
Il testo della delibera con i relativi allegati è consultabile sul sito ufficiale dell’Autorità Garante per le comunicazioni al seguente link.


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11/04/2023

ARTISTI E PIATTAFORME: UN RAPPORTO DIFFICILE. GLI ATTORI ITALIANI CONTRO NETFLIX

 

La collecting society Artisti 7607, impegnata da anni nelle attività di negoziazione, raccolta e distribuzione dei diritti connessi al diritto d’autore e fondata, tra gli altri, da Elio Germano, Neri Marcorè e Claudio Santamaria, ha deciso di intraprendere un’azione legale nei confronti del colosso americano Netflix. Alla base della controversia vi sarebbe un atteggiamento poco collaborativo da parte della società californiana, la quale utilizzerebbe le opere audiovisive protette senza fornire alle società di raccolta i dati relativi allo sfruttamento, alle visualizzazioni o ai ricavi conseguiti, venendo così anche meno all’obbligo di remunerare artisti ed interpreti con un compenso “adeguato e proporzionato” a norma della Direttiva Copyright. La conseguenza – dichiara la collecting romana – sarebbe infatti che agli artisti vengono corrisposte cifre particolarmente esigue e sproporzionate rispetto al successo delle opere cui essi prendono parte.
L’iniziativa si inserisce dunque nel più generale conflitto che sta interessando il mondo dell’arte e dello spettacolo in Italia e che vede coinvolti autori e artisti – da un lato – e piattaforme – dall’altro – nella ricerca di un giusto equilibrio tra logiche di mercato e protezione del diritto d’autore.


QUESTIONE DI GUSTI: PER LA CASSAZIONE NON C’È RISCHIO DI CONFUSIONE TRA PECORINO ROMANO DOP E CACIO ROMANO

6/04/2023

La Suprema Corte è stata chiamata a decidere in merito ad una querelle che vedeva da anni protagonisti due noti formaggi laziali: il Pecorino e il Cacio. Tra i due non vi sarebbe alcun rischio di confusione poiché, alla luce di un’analisi delle caratteristiche organolettiche dei due prodotti caseari, si tratta di due formaggi radicalmente diversi. Conseguentemente, il Collegio ha confermato quanto espresso dalla Corte di Appello di Roma nel 2019, ritenendo pertanto inapplicabile al caso di specie la normativa comunitaria sulla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari.

 

Pecorino e Cacio sono due formaggi radicalmente diversi.
In tale senso si è espressa la Corte di Cassazione con una recentissima pronuncia del 20 marzo 2023, confermando l’orientamento già seguito dalla Corte d’Appello di Roma nel 2019. L’azione legale era stata avviata dal Consorzio per la tutela del formaggio Pecorino Romano Dop nei confronti dell’azienda casearia Formaggi Boccea S.r.l. (produttrice del formaggio Cacio Romano), a sua volta supportata nel procedimento dalla Regione Lazio e dalla Coldiretti Lazio.

Le valutazioni della Suprema Corte si sono sviluppate intorno alla questione dell’applicabilità del Regolamento comunitario 510/06/CE del 20 marzo 2006 – relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari – con specifico riferimento agli artt. 13 e 14, disciplinanti rispettivamente la protezione delle denominazioni registrate e le relazioni tra queste ed eventuali marchi anteriori o posteriori in conflitto. Ad avviso della Cassazione, “la situazione di conflitto tra i due segni (DOP e marchio), contemplata nella norma comunitaria, presuppone (…) che gli stessi abbiano ad oggetto lo stesso tipo di prodotto, presupposto in difetto del quale il titolare della DOP non può invocare la tutela apprestata dal reg. n. 510/06”.

Il nucleo centrale della questione, dunque, si identificava nel significato dell’espressione “stesso tipo di prodotto”: secondo il Consorzio, in particolare, il riferimento doveva essere fatto alla Classificazione di Nizza, per la quale entrambi i prodotti – formaggi – rientrerebbero nella classe 29. Il Collegio, tuttavia, ha ritenuto errata tale impostazione: “il riferimento alle classi merceologiche di cui alla tabella di Nizza è senz’altro pertinente allorquando i segni in conflitto siano entrambi dei marchi, non lo è, invece, affatto quando la comparazione debba effettuarsi tra una denominazione di origine protetta (DOP) ed un marchio”.

Il ragionamento ha origine a partire dal Considerando n. 10 del reg. n. 510/06, ai sensi del quale “Un prodotto agricolo o alimentare che beneficia di uno dei tipi di riferimento summenzionati dovrebbe soddisfare determinate condizioni elencate in un disciplinare”. Al “disciplinare” fanno riferimento anche gli artt. 4 e 5 del regolamento: tale documento deve includere, tra gli altri, la descrizione del prodotto “mediante indicazione delle materie prime, se del caso, e delle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche o organolettiche”. L’ambito di tutela garantito dalla normativa comunitaria, dunque, deve considerarsi limitato dalla descrizione che è stata fornita del prodotto, in quanto indice di natura oggettiva per effettuare indagini circa l’affinità o la similarità con altri prodotti. L’analisi, pertanto, dovrà tenere conto delle qualità del prodotto che siano percepibili attraverso uno o più organi di senso (ad esempio l’aroma, il sapore, la consistenza).

Nel caso di specie, infatti, il giudice dell’appello aveva ritenuto che i prodotti fossero radicalmente diversi: il Pecorino Romano è stato definito come “un formaggio aromatico, piccante, a pasta dura o cotta, impiegato sostanzialmente come formaggio di grattugia”, mentre il Cacio Romano come “formaggio dolce, semistagionato, che non si può grattugiare e quindi impiegato solo come formaggio da tavola”. Il Consorzio aveva obiettato che, a fronte di varianti più stagionate di Cacio – quindi più aromatiche e quasi da grattugia – si potessero avere anche forme di Pecorino meno stagionate – a pasta non dura e da tavola. Vi sarebbe, quindi, una “sovrapponibilità almeno parziale” tra i due formaggi contraddistinti dai segni in contesa.

Alla luce di quanto sopra, tuttavia, il Collegio ha ritenuto che il Consorzio, “per fruire della tutela giuridica apprestata alla sua appartenenza ad una DOP registrata, avrebbe dovuto provare, essendo oggetto di contestazione, le caratteristiche organolettiche del Pecorino Romano che aveva documentalmente descritto nel “disciplinare” […] e, conseguentemente, dimostrare di aver chiesto la tutela con la DOP del “Pecorino Romano” anche nella diversa consistenza semistagionata (oltre che stagionata con pasta dura o cotta), e con il diverso sapore dolce (oltre che aromatico e piccante)”. In mancanza di tale presupposto fattuale nella fattispecie concreta in esame, dunque, la Cassazione ha giudicato non applicabile la normativa contenuta nel regolamento 510/06/CE e, di conseguenza, ha respinto le censure mosse dal Consorzio.