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6/06/2023

IL CASO WARHOL-GOLDSMITH: ‘FAREWELL’ FAIR USE?

 

“Le opere originali, come le fotografie, hanno diritto alla protezione del diritto d’autore, anche nei confronti di artisti famosi”, quando l’opera derivativa realizzata non si distingue sufficientemente dall’originale: questa la posizione della Corte Suprema degli Stati Uniti nella causa che la fotografa statunitense Lynn Goldsmith ha promosso nei confronti della Andy Warhol Foundation nel 2017.
Alla morte del cantante Prince, nel 2016, il celebre magazine “Vanity Fair” aveva inteso celebrare l’artista utilizzando per la propria copertina uno dei 16 ritratti fotografici realizzati da Andy Warhol nel 1984, anche noti come “The Orange Series” o “The Prince Series”. Per la produzione di queste opere, tuttavia, Andy Warhol utilizzò alcuni scatti della Goldsmith del 1981, relativamente ai quali non era stato ottenuto alcun consenso.
I giudici della Corte Suprema, chiamati a decidere sul caso, hanno stabilito lo scorso 18 maggio che l’utilizzo da parte di Warhol costituisce violazione del diritto d’autore della Goldsmith, dando un’applicazione più restrittiva rispetto al passato del “test” del fair use in connessione al fenomeno della c.d. appropriation art, intesa come corrente artistica che si basa sull’appropriazione di opere d’arte precedenti, modificandole in modo trasformativo. Secondo i giudici, infatti, le immagini realizzate da Andy Warhol apparse sulla copertina di “Vanity Fair” non si distinguevano sufficientemente dall’originale, e quindi non soddisfacevano il requisito dell’uso trasformativo. In realtà esistono già precedenti importanti in questo senso, come il noto caso relativo alla fotografia degli “8 puppies” di Jeff Koons (Rogers v. Koons, April 2, 1992, 960 F.2d 301). La decisione della Suprema Corte conferma questo orientamento e potrebbe avere importanti conseguenze – quantomeno sugli usi commerciali dell’arte appropriativa.


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16/05/2023

NUOVI SVILUPPI NELLE TRATTATIVE TRA SIAE E META: RAGGIUNTO UN ACCORDO PROVVISORIO SINO AL 6 OTTOBRE 2023

 

In questi giorni sono tornati disponibili i brani protetti da diritto d’autore che erano stati rimossi alcune settimane fa da Facebook e Instagram, quale conseguenza delle difficili trattative che stanno impegnando Meta e SIAE. La soluzione studiata dalle parti è provvisoria e consiste nella proroga delle medesime condizioni previste dal contratto di licenza scaduto nel 2022 – per il momento, solamente sino al 6 ottobre 2023.
La questione, dunque, non può ritenersi certamente risolta, ma l’accordo costituisce senza ombra di dubbio un passo importante nella definizione di una nuova intesa – oltre ad essere vantaggioso per entrambi i soggetti.
Infatti Meta, da un lato, potrà giovarsi ancora per qualche mese delle condizioni più favorevoli di cui al vecchio contratto di licenza – facendo peraltro dietrofront sul punto della rimozione dei brani, che era stato anche oggetto di istruttoria da parte dell’AGCM per abuso di dipendenza economica ai danni del mercato musicale – e SIAE, dall’altro lato, sarà messa in condizione di poter continuare a tutelare gli autori in modo efficace anche durante le trattative.


CASO LOUBOUTIN: INTERESSANTE DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DELLE PIATTAFORME DI SERVIZI E-COMMERCE PER USO DEL MARCHIO SENZA CONSENSO DEL TITOLARE

4/05/2023

La Corte di giustizia dell’UE ha statuito che il fornitore di servizi e-commerce che presenti in modo uniforme agli utenti le offerte sulla propria piattaforma, comunicando unitamente i propri annunci e quelli di venditori terzi aggiungendo i propri segni distintivi all’insieme delle inserzioni, offrendo inoltre a venditori terzi servizi di stoccaggio e spedizione dei prodotti, può essere considerato responsabile dell’uso illecito del marchio da parte di soggetti terzi, qualora l’utente mediamente informato e ragionevolmente attento possa essere indotto a ritenere che vi sia un collegamento tra i servizi offerti dal provider e il marchio.

 

Lo stilista francese Christian Louboutin, titolare del marchio dell’Unione Europea consistente nella celebre suola rossa presente in alcuni modelli di calzature, ha agito sia in Belgio che in Lussemburgo chiedendo ai giudici nazionali la liquidazione del danno e la cessazione dell’utilizzo illecito del segno da parte della piattaforma di e-commerce Amazon. Louboutin ha sostenuto che il colosso dell’e-commerce fosse responsabile della violazione del marchio, sebbene Amazon non avesse venduto direttamente le scarpe raffiguranti il marchio in questione, ma in quanto aveva ricoperto un ruolo attivo nell’uso commerciale del segno. I legali dello stilista hanno dimostrato come sulla piattaforma fossero presenti annunci di prodotti venduti da soggetti terzi raggruppati con quelli venduti da Amazon e che quest’ultima avesse inserito tutti gli annunci nella propria comunicazione commerciale. Secondo Loubotin, tale attività non può essere ritenuta classificabile come mera intermediazione di servizi online.
Al cuore della contestazione del titolare del marchio erano le modalità in cui si articola il servizio offerto da Amazon online, che presenta uniformemente sia le offerte dei propri prodotti, sia quelle di terzi, senza alcuna differenziazione in merito alla rispettiva provenienza. Inoltre, il servizio offre su richiesta dei soggetti terzi attività ulteriori che consistono, in particolare, nello stoccaggio e nella spedizione dei prodotti, informando i potenziali clienti che Amazon svolge tali servizi.
La fattispecie in parola va esaminata alla luce della disposizione normativa di cui all’art. 9 co. 2, lett. a) del Regolamento UE n. 2017/1001 sul marchio dell’Unione Europea, secondo cui il titolare del marchio dell’Unione Europea ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare a fini commerciali qualsiasi segno quando: “il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato”. Premesso ciò, i giudici nazionali hanno posto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea alcune questioni pregiudiziali, e in particolare se nella valutazione dell’applicabilità della norma indicata alla condotta tenuta da Amazon sia necessario considerare la percezione degli utenti della piattaforma.
Il 22 dicembre 2022 la CGUE ha emesso la propria decisione, ritenendo che il titolare del marchio ha il diritto di vietare l’utilizzo dello stesso da parte di un fornitore del servizio di e-commerce, qualora le attività di quest’ultimo inducano l’utente normalmente informato e ragionevolmente attento ad elaborare una correlazione tra i servizi offerti dal provider e il marchio. Nello specifico questa circostanza si verifica laddove l’utente sia portato ragionevolmente a pensare che i prodotti contraddistinti dal marchio in questione siano venduti direttamente dal gestore della piattaforma.
Secondo la Corte di giustizia, nella valutazione della fattispecie è particolarmente rilevante che il fornitore presenti in modo uniforme agli utenti le offerte sulla propria piattaforma, comunicando unitamente i propri annunci e quelli di venditori terzi ed aggiungendo i propri segni distintivi all’insieme delle inserzioni, offrendo inoltre a venditori terzi servizi di stoccaggio e spedizione dei prodotti.
La decisione parrebbe essere in contrasto con l’orientamento precedente della Corte di giustizia, la quale aveva ritenuto in altri arresti che l’attività del fornitore di servizi di ecommerce consistesse nella mera fornitura di strumenti tecnici per utilizzare un marchio, e come tale non fosse da considerare una circostanza determinante per affermare che il provider del servizio facesse uso del marchio ai sensi dell’art. 9 (2) (a) del Regolamento UE n. 2017/1001.
La stessa Corte ha chiarito che il caso di specie si differenzia tuttavia dai precedenti per le particolari condotte tenute da Amazon nella comunicazione agli utenti delle offerte dei prodotti veduti da terzi, che sono presentati in maniera omogenea alle offerte di prodotti venduti direttamente dal fornitore del servizio e-commerce, nonché per la circostanza che il provider fornisce anche ulteriori attività di stoccaggio e spedizione dei prodotti acquistati sulla propria piattaforma.
In conclusione, l’interpretazione della Corte di giustizia tenderebbe a favorire la tutela del marchio anche sulla rete. Spetterà ora ai giudici nazionali del Belgio e del Lussemburgo decidere nel merito e declinare il principio del giudice europeo nel caso concreto.


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19/04/2023

AGCOM SOTTOPONE A CONSULTAZIONE PUBBLICA LO SCHEMA DI REGOLAMENTO PER L’ATTUAZIONE DEL D.LGS. 8 NOVEMBRE 2021, N. 177 IN TEMA DI DIRITTO D’AUTORE

 

Il 6 marzo 2023 l’AGCOM ha sottoposto a consultazione pubblica lo “Schema di regolamento recante attuazione degli articoli 18-bis, 46-bis, 80, 84, 110-ter, 110-quater, 110-quinquies, 110- sexies, 180-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 come novellata dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177” di cui all’allegato A della delibera n. 44/23/CONS, al fine di acquisire da parte dei soggetti portatori di interesse utili elementi di valutazione per approfondire le dinamiche di settore. Gli operatori del settore, le istituzioni e le organizzazioni rappresentative di utenti e consumatori potranno presentare i propri contributi alla consultazione entro il 5 maggio 2023.
Il testo della delibera con i relativi allegati è consultabile sul sito ufficiale dell’Autorità Garante per le comunicazioni al seguente link.


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11/04/2023

ARTISTI E PIATTAFORME: UN RAPPORTO DIFFICILE. GLI ATTORI ITALIANI CONTRO NETFLIX

 

La collecting society Artisti 7607, impegnata da anni nelle attività di negoziazione, raccolta e distribuzione dei diritti connessi al diritto d’autore e fondata, tra gli altri, da Elio Germano, Neri Marcorè e Claudio Santamaria, ha deciso di intraprendere un’azione legale nei confronti del colosso americano Netflix. Alla base della controversia vi sarebbe un atteggiamento poco collaborativo da parte della società californiana, la quale utilizzerebbe le opere audiovisive protette senza fornire alle società di raccolta i dati relativi allo sfruttamento, alle visualizzazioni o ai ricavi conseguiti, venendo così anche meno all’obbligo di remunerare artisti ed interpreti con un compenso “adeguato e proporzionato” a norma della Direttiva Copyright. La conseguenza – dichiara la collecting romana – sarebbe infatti che agli artisti vengono corrisposte cifre particolarmente esigue e sproporzionate rispetto al successo delle opere cui essi prendono parte.
L’iniziativa si inserisce dunque nel più generale conflitto che sta interessando il mondo dell’arte e dello spettacolo in Italia e che vede coinvolti autori e artisti – da un lato – e piattaforme – dall’altro – nella ricerca di un giusto equilibrio tra logiche di mercato e protezione del diritto d’autore.