QUESTIONE DI GUSTI: PER LA CASSAZIONE NON C’È RISCHIO DI CONFUSIONE TRA PECORINO ROMANO DOP E CACIO ROMANO

6/04/2023

La Suprema Corte è stata chiamata a decidere in merito ad una querelle che vedeva da anni protagonisti due noti formaggi laziali: il Pecorino e il Cacio. Tra i due non vi sarebbe alcun rischio di confusione poiché, alla luce di un’analisi delle caratteristiche organolettiche dei due prodotti caseari, si tratta di due formaggi radicalmente diversi. Conseguentemente, il Collegio ha confermato quanto espresso dalla Corte di Appello di Roma nel 2019, ritenendo pertanto inapplicabile al caso di specie la normativa comunitaria sulla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari.

 

Pecorino e Cacio sono due formaggi radicalmente diversi.
In tale senso si è espressa la Corte di Cassazione con una recentissima pronuncia del 20 marzo 2023, confermando l’orientamento già seguito dalla Corte d’Appello di Roma nel 2019. L’azione legale era stata avviata dal Consorzio per la tutela del formaggio Pecorino Romano Dop nei confronti dell’azienda casearia Formaggi Boccea S.r.l. (produttrice del formaggio Cacio Romano), a sua volta supportata nel procedimento dalla Regione Lazio e dalla Coldiretti Lazio.

Le valutazioni della Suprema Corte si sono sviluppate intorno alla questione dell’applicabilità del Regolamento comunitario 510/06/CE del 20 marzo 2006 – relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari – con specifico riferimento agli artt. 13 e 14, disciplinanti rispettivamente la protezione delle denominazioni registrate e le relazioni tra queste ed eventuali marchi anteriori o posteriori in conflitto. Ad avviso della Cassazione, “la situazione di conflitto tra i due segni (DOP e marchio), contemplata nella norma comunitaria, presuppone (…) che gli stessi abbiano ad oggetto lo stesso tipo di prodotto, presupposto in difetto del quale il titolare della DOP non può invocare la tutela apprestata dal reg. n. 510/06”.

Il nucleo centrale della questione, dunque, si identificava nel significato dell’espressione “stesso tipo di prodotto”: secondo il Consorzio, in particolare, il riferimento doveva essere fatto alla Classificazione di Nizza, per la quale entrambi i prodotti – formaggi – rientrerebbero nella classe 29. Il Collegio, tuttavia, ha ritenuto errata tale impostazione: “il riferimento alle classi merceologiche di cui alla tabella di Nizza è senz’altro pertinente allorquando i segni in conflitto siano entrambi dei marchi, non lo è, invece, affatto quando la comparazione debba effettuarsi tra una denominazione di origine protetta (DOP) ed un marchio”.

Il ragionamento ha origine a partire dal Considerando n. 10 del reg. n. 510/06, ai sensi del quale “Un prodotto agricolo o alimentare che beneficia di uno dei tipi di riferimento summenzionati dovrebbe soddisfare determinate condizioni elencate in un disciplinare”. Al “disciplinare” fanno riferimento anche gli artt. 4 e 5 del regolamento: tale documento deve includere, tra gli altri, la descrizione del prodotto “mediante indicazione delle materie prime, se del caso, e delle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche o organolettiche”. L’ambito di tutela garantito dalla normativa comunitaria, dunque, deve considerarsi limitato dalla descrizione che è stata fornita del prodotto, in quanto indice di natura oggettiva per effettuare indagini circa l’affinità o la similarità con altri prodotti. L’analisi, pertanto, dovrà tenere conto delle qualità del prodotto che siano percepibili attraverso uno o più organi di senso (ad esempio l’aroma, il sapore, la consistenza).

Nel caso di specie, infatti, il giudice dell’appello aveva ritenuto che i prodotti fossero radicalmente diversi: il Pecorino Romano è stato definito come “un formaggio aromatico, piccante, a pasta dura o cotta, impiegato sostanzialmente come formaggio di grattugia”, mentre il Cacio Romano come “formaggio dolce, semistagionato, che non si può grattugiare e quindi impiegato solo come formaggio da tavola”. Il Consorzio aveva obiettato che, a fronte di varianti più stagionate di Cacio – quindi più aromatiche e quasi da grattugia – si potessero avere anche forme di Pecorino meno stagionate – a pasta non dura e da tavola. Vi sarebbe, quindi, una “sovrapponibilità almeno parziale” tra i due formaggi contraddistinti dai segni in contesa.

Alla luce di quanto sopra, tuttavia, il Collegio ha ritenuto che il Consorzio, “per fruire della tutela giuridica apprestata alla sua appartenenza ad una DOP registrata, avrebbe dovuto provare, essendo oggetto di contestazione, le caratteristiche organolettiche del Pecorino Romano che aveva documentalmente descritto nel “disciplinare” […] e, conseguentemente, dimostrare di aver chiesto la tutela con la DOP del “Pecorino Romano” anche nella diversa consistenza semistagionata (oltre che stagionata con pasta dura o cotta), e con il diverso sapore dolce (oltre che aromatico e piccante)”. In mancanza di tale presupposto fattuale nella fattispecie concreta in esame, dunque, la Cassazione ha giudicato non applicabile la normativa contenuta nel regolamento 510/06/CE e, di conseguenza, ha respinto le censure mosse dal Consorzio.


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4/04/2023

MANCATO ACCORDO TRA META E SIAE: CONVOCATO UN TAVOLO DAL MINISTERO DELLA CULTURA IL 6 APRILE

 

Meta ha dichiarato di non aver raggiunto un accordo con Siae per il rinnovo della licenza d’uso delle musiche appartenenti al repertorio della collecting. La holding di Facebook e Instagram ha dunque annunciato e poi effettuato la rimozione dai social dei contenuti musicali inclusi nel repertorio Siae. Il mancato accordo rappresenta un precedente a livello internazionale, dal momento che il colosso di Zuckerberg stringe accordi sul diritto d’autore su scala globale. Inoltre, a livello locale la decisione di Meta coinvolge non solo gli autori rappresentati da Siae, ma anche tutti gli altri soggetti che a vario titolo sono coinvolti nella creazione, esecuzione e produzione delle opere musicali appartenenti al repertorio SIAE. Questi soggetti si vedono bloccati benché essi abbiano attualmente in essere una licenza con Meta. L’approccio del social media è dunque molto rilevante e influisce su tutto il settore musicale nazionale. La ragione del conflitto va cercata nel contesto del recepimento della Direttiva Copyright in the Digital Single Market in Italia, la quale prevede che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online che comunicano o rendono disponibili al pubblico opere protette da diritto d’autore debbano ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti.
Il tema è stato molto dibattuto in questi giorni: se da una parte Meta chiede di poter utilizzare i brani presenti nel repertorio Siae a condizioni simili a quelle di cui al precedente accordo, quest’ultima pretende compensi più consistenti ed informazioni complete sull’utilizzazione, in virtù della nuova normativa. Intanto le due parti stanno cercando di addivenire il prima possibile ad un accordo e proprio a tale scopo il 6 aprile prossimo si terrà un tavolo convocato dal Ministero della Cultura.


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21/03/2023

UPC – MILANO SARÀ LA SEDE DELLA TERZA DIVISIONE CENTRALE!

 

Secondo le ultime indiscrezioni pubblicate dal Il Sole 24 Ore Milano sarà la sede della terza divisione centrale originariamente assegnata a Londra.
A seguito della ratifica all’Accordo sul Tribunale Unificato dei Brevetti (United Patent Court – UPC) depositata lo scorso mese dalla Germania, l’Accordo entrerà in pieno vigore a partire dal 1° giugno 2023 e l’UPC, dopo Parigi e Monaco di Baviera, avrà quindi la sua terza divisione centrale a Milano.
Dopo lunghe trattative un compromesso sembrerebbe infatti essere stato raggiunto con la devoluzione parziale delle competenze inizialmente previste a favore della terza sede che saranno trattenute dalle prime due divisioni centrali (chimica e metallurgia a Monaco di Baviera mentre le controversie in materia di brevetti farmaceutici dotati di certificato di protezione supplementare a Parigi).
A Milano secondo il quotidiano italiano dovrebbero in definitiva spettare le controversie in materia di: scienza medica-veterinaria e igiene, brevetti farmaceutici privi dei certificati di protezione supplementari, biotech non farmaceutico, agricoltura, food e tabacco, articoli personali e domestici, sport e mondo del divertimento.


 

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13/03/2023

Minimizzare i rischi del cloud computing per le imprese

 

Un recente studio, condotto dalla società internazionale S&P Global Market Intelligence – per conto di Cloud Oracle Infrastructure (Oci), ha certificato la progressiva tendenza delle grandi imprese di scegliere servizi Multicloud rispetto a servizi cloud di un solo fornitore (https://www.corrierecomunicazioni.it/). Tale tendenza è principalmente dettata dalle necessità delle imprese di (i) mantenere la sovranità dei dati inviati “sulle nuvole” e (ii) ottimizzare i costi dei servizi cloud, problematiche entrambe note da tempo nell’ambito del cloud computing. Il rischio per le aziende è infatti rappresentato dall’investire in acquisizione massiva di dati di utenti da conservare sullo spazio cloud di un solo fornitore per poi dover affrontare complesse procedure per la migrazione dei dati degli utenti presso un altro fornitore di servizi cloud (cd. effetto “lock-in”). In caso poi di servizi di cloud computing più complessi (come quelli di fornitura anche di servizi software per l’ottimizzazione del lavoro all’interno dell’azienda basati sulla gestione dei dati acquisiti) l’aumento della sicurezza informatica e l’ottimizzazione dei costi negli attuali contratti di Multiclould rispetto ai precedenti contratti di cloud computing “mono-fornitore”, hanno aumentato l’utilizzo della formula Multicloud.


 

CASSAZIONE CIVILE: IL DANNO BIOLOGICO DERIVANTE DA VIOLAZIONE DELLA PRIVACY PUÒ ESSERE PROVATO ATTRAVERSO PRESUNZIONI

02/03/2023

La Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con sentenza n. 4752 del 15 febbraio 2023, ha confermato la possibilità per il danneggiato di poter provare anche per presunzioni il danno biologico subito, in questo caso, a seguito del mancato rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali.

Le circostanze oggetto della pronuncia traggono la loro origine dalla nota vicenda “Calciopoli”, ed in particolare dalla pubblicazione di un articolo in cui veniva divulgato l’indirizzo di residenza, coincidente con quello della residenza familiare, riguardante una persona coinvolta nell’inchiesta.

Il dato pubblicato aveva quindi reso possibile l’identificazione di tale persona provocandone l’esposizione a violente reazioni da parte di alcuni tifosi con evidenti ripercussioni sul suo nucleo familiare e che determinavano la moglie del soggetto direttamente interessato ad agire in giudizio per violazione della privacy e risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

Nell’esaminare i motivi di ricorso la Corte innanzitutto sconfessa l’interpretazione suggerita dai ricorrenti dell’art. 4 del D. Lgs. n. 196/2003 – ratione temporis applicabile – secondo cui la tutela invocata dall’attrice non poteva essere in verità estesa a soggetti diversi dal titolare dei dati personali (ovvero il marito) dal momento che nessun riferimento alla moglie veniva fatto nell’articolo. La violazione e l’attività lesiva invece, come correttamente già rilevato dal giudice del gravame, potevano ben essere riconducibili all’attrice, in quanto l’informazione pubblicata aveva permesso di individuare e rendere quindi identificabili non solo la persona coinvolta nell’inchiesta ma anche le persone a lei vicine, senza che la comunicazione di tale dato potesse essere giustificata da ragioni di utilità sociale, veridicità oggettiva e uso civile dell’informazione.

Venendo ai danni cagionati per effetto del trattamento dei dati personali, ed in particolare al danno biologico che l’attrice allegava di aver subito a seguito dell’esposizione alla tifoseria calcistica, tale da risultare nella necessità di un trasferimento di abitazione, nella crisi del rapporto coniugale e nell’emergere di disturbi fisici, la Corte conferma che il giudice può procedere all’accertamento ponendo “a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni, così come può fare ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva per gli altri pregiudizi di natura non patrimoniale”.

Il giudice non è obbligato a ricorrere all’accertamento medico-legale, a cui viene fatto espresso riferimento a livello normativo dall’art. 2, lett. a), del D. Lgs n. 209/2005 in tema di accertamento e calcolo del danno non patrimoniale, ma può fare riferimento a tutta una serie di elementi eterogenei, sempre comunque fermi i limiti posti dalla verifica dei requisiti della “gravità della lesione”, della “serietà del danno” e del fatto che vi sia una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio, non potendo mai ritenersi il danno in re ipsa (Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza n. 16402/2021).

Elia Piccolo