LGV AVVOCATI VINCE IN CASSAZIONE IN TEMA DI CONFONDIBILITA’ DI MARCHI

14/09/2017

Con una recentissima sentenza la Suprema Corte ha escluso la responsabilità di una società assistita dallo studio legale LGV per violazione di marchio, rigettando il ricorso avversario proposto per richiedere l’accertamento della esclusiva titolarità del marchio oggetto di contestazione e la conseguente assegnazione del nome a dominio registrato dal resistente.

 

Con la decisione in esame, la Cassazione ha ribadito che l’apprezzamento sulla confondibilità va compiuto dal giudice di merito accertando, da una parte, l’identità o la confondibilità dei due segni e dall’altra l’identità e la confondibilità tra i prodotti. Tali giudizi, secondo la Suprema Corte, non possono essere considerati tra loro indipendenti ma sono entrambi strumenti che consentono di accertare la cosiddetta “confondibilità tra imprese”. La Corte ha precisato inoltre che l’inclusione di due prodotti nella stessa classe non è idonea a provarne l’affinità così come, al contrario, non può l’affinità essere esclusa per il fatto che due prodotti siano indicati in classi diverse. Ne consegue che il titolare del marchio previamente registrato non può vietare di per sé l’uso del segno distintivo in qualsiasi forma, e quindi anche come domain name, ove non sussista la confondibilità dei prodotti o servizi. Nel caso di specie, è stata esclusa la contraffazione del marchio della società ricorrente in quanto il marchio contestato si riferisce a servizi non affini.

La sentenza, confermando le pronunce rese nei precedenti gradi di giudizio, ha altresì escluso che la resistente abbia commesso atti in violazione delle norme a tutela della concorrenza, dal momento che non si può presumere (neppure nel caso di notorietà del marchio protetto) l’esistenza di un rischio di confusione per il solo fatto dell’esistenza di un rischio di associazione in senso stretto. Per l’accertamento positivo dell’esistenza di un rischio di confusione è necessaria la prova di tale rischio che va verificata anche in via potenziale, avuto riguardo all’insieme dei soggetti che avvertono il medesimo bisogno di mercato e si rivolgono quindi a tutti i prodotti idonei a soddisfare quei bisogni.


LOCAZIONI COMMERCIALI: ILLEGITTIMO IL RECESSO SE IL CONDUTTORE NON HA DATO LA DISDETTA

06/09/2017

In tema di recesso anticipato del conduttore dal contratto di locazione commerciale, laddove i gravi motivi sopravvenuti dedotti dal conduttore si siano verificati prima della scadenza del termine per dare l’utile disdetta alla scadenza naturale del contratto e il conduttore non l’abbia data, tale condotta, interpretata secondo il principio di buona fede, va intesa come rinuncia a far valere in futuro l’incidenza di tali motivi sul sinallagma contrattuale. Si dovrà quindi presumere la non gravità di tali motivi, poiché altrimenti sarebbe stato ragionevole utilizzare il mezzo più rapido per la cessazione del rapporto.

 

La questione prospettata alla Corte verteva sulla possibilità o meno per il conduttore di un immobile ad uso commerciale di addurre, quale grave motivo legittimante il recesso ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27, un fatto verificatosi anteriormente all’ultimo rinnovo tacito del contratto. Al quesito – che presenta caratteri di novità, in quanto non risulta che una simile questione sia stata finora vagliata dalla Corte di Cassazione – deve darsi risposta negativa.

La Corte ha, per un verso, confermato un proprio consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui i gravi motivi che giustificano il recesso del conduttore dal contratto di locazione devono essere obiettivi, determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto e, per altro verso, introdotto un nuovo principio secondo cui quando i gravi motivi sopravvenuti dedotti dal conduttore si sono verificati prima della scadenza del termine per dare l’utile disdetta alla scadenza naturale del contratto e il conduttore non l’abbia data, tale condotta, interpretata secondo il principio di buona fede, va intesa come rinuncia a far valere in futuro l’incidenza di tali motivi sul sinallagma contrattuale. Di tali motivi si potrà quindi presumere la non gravità, poiché altrimenti sarebbe stato ragionevole utilizzare il mezzo più rapido per la cessazione del rapporto (i.e. la disdetta). A parere della Corte, se le parti lasciano che il contratto si rinnovi, tale rinnovazione implica una tacita valutazione di convenienza alla prosecuzione del rapporto nonostante i fattori sopravvenuti, che dunque non potranno più, in un secondo momento, essere indicati dal conduttore a giustificazione del recesso anticipato.


L’AUTORITÀ BANCARIA EUROPEA (“EBA”) RENDE NOTE LE PROPRIE RACCOMANDAZIONI SULL’UTILIZZO DEI SERVIZI DI CLOUD OUTSOURCING DA PARTE DI ISTITUTI FINANZIARI

10/08/2017

Il documento di consultazione rientra nel progetto di definizione di un chiaro e prudente quadro regolatore in materia di outsourcing applicabile agli enti creditizi europei. In particolare, l’EBA si propone di adottare delle raccomandazioni che diano piena attuazione alle linee guida CEBS (“Committee of European Banking Supervisors”) sull’outsourcing del 14 dicembre 2006 (consultabili al seguente link https://www.eba.europa.eu/documents/10180/104404/GL02OutsourcingGuidelines.pdf.pdf).

 

Questi i principali contenuti delle Raccomandazioni EBA:

  • Sicurezza dei dati: gli istituti finanziari, prima di procedere al cloud outsourcing, sono chiamati a compiere una completa valutazione dei possibili rischi, a garanzia della tutela della riservatezza delle informazioni trattate;
  • Localizzazione e trattamento dati: gli istituti finanziari dovrebbero rendere edotte delle attività di outsourcing le autorità governative del Paese in cui il servizio deve essere svolto, proponendo – se opportuno – una revisione della legislazione in materia privacy. Particolare attenzione deve essere prestata laddove il servizio di outsourcing riguardi Paesi extracomunitari;
  • Audit: gli istituti finanziari dovrebbero introdurre sistemi che garantiscano il loro accesso – e quello delle singole autorità governative – nei locali in cui si svolge l’attività di cloud outsourcing, con possibilità di analizzare e verificare i sistemi e gli strumenti utilizzati per l’esercizio di tali attività;
  • Catene di fornitori: nelle ipotesi di subappalto delle attività di outsourcing, anche il soggetto subappaltatore è tenuto a rispettare le cautele e le raccomandazioni sopra descritte;
  • Strategie di uscita: gli istituti finanziari devono prevedere dei piani di emergenza e di uscita completi e ben strutturati e fare in modo che i fornitori di servizi di cloud outsourcing effettuino un ordinato trasferimento del servizio, così da assicurare la continuità del servizio.


L’AUTORITÀ ANTITRUST PRENDE POSIZIONE SULL’INFLUENCER MARKETING

26/07/2017

Con un comunicato stampa rilasciato lo scorso 24 luglio il Garante Antitrust ha informato di aver inviato alcune lettere di moral suasion ad alcuni operatori attivi nella sponsorizzazione di brand on line mediante la tecnica dell’influencer marketing, invitandoli a conformarsi alle prescrizioni del Codice del Consumo.

 

L’Autorità Antitrust dichiara di aver svolto alcune indagini in merito all’attività di sponsorizzazione di prodotti definita influencer marketing.

La pratica commerciale richiamata consiste nella pubblicazione da parte di personaggi di riferimento del mondo on line seguiti da numerosi follower (detti blogger o influencer) di immagini relative a prodotti riconducibili ad un determinato brand sui propri blog, vlog e social media (come Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat, MySpace, ecc…) senza che però venga manifestata la natura pubblicitaria della comunicazione, così che i follower vengono indotti a recepire quella che di fatto è una vera e propria forma di sponsorizzazione di un prodotto come un consiglio derivante dall’esperienza privata e personale dell’influencer.

Il primo passo svolto dall’Autorità Antitrust sembra essere quello di indurre spontaneamente sia gli influencer che le società titolari dei marchi sponsorizzati a fornire adeguate informazioni al momento della pubblicazione dei contenuti sui social media, idonei a rivelare la natura commerciale della comunicazione (sussistente sia nel caso in cui il product placement sia eseguito dietro compenso che a fronte della fornitura gratuita di prodotti).

La richiesta svolta con le lettere di moral suasion è quella di adeguarsi alle disposizioni generali previste dal Codice del Consumo, secondo cui la pubblicità deve essere riconoscibile come tale affinché l’intento commerciale della comunicazione sia chiaramente percepibile dal consumatore. Il Garante ha dichiarato che nel caso dell’influencer marketing l’evidente finalità promozionale dovrà essere manifestata attraverso l’inserimento di specifiche avvertenze che, in linea con le modalità di comunicazione proprie dei social network, possono per esempio consistere nell’utilizzo di appositi hashtag quali #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento e #fornitoda seguito dal nome del relativo brand sponsorizzato.


LA DEFINIZIONE DELLA CONTROVERSIA DA PARTE DI UN GIUDICE STRANIERO NON PRECLUDE L’ESPERIMENTO DEL REGOLAMENTO PREVENTIVO DI GIURISDIZIONE

18/07/2017

Così si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con ordinanza del 23 maggio 2017, resa a seguito del ricorso per regolamento di giurisdizione promosso da una società di diritto coreano, in pendenza di un giudizio di fronte al Tribunale di Nocera Inferiore volto all’accertamento di pretese violazioni contrattuali.

 

La ricorrente, in particolare, ha domandato ai giudici di legittimità l’accertamento e la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice italiano, per effetto della clausola compromissoria inserita nel contratto azionato dalla controparte e che devolveva alla Camera Arbitrale di Seoul il potere di risolvere qualsiasi controversia derivante da, relativa a e/o collegata al contratto medesimo. Tale clausola era stata peraltro precedentemente azionata dalla ricorrente in merito alla medesima vicenda successivamente portata all’attenzione dei giudici di Nocera Inferiore e la questione è stata risolta dagli arbitri coreani con lodo emesso in data 16 maggio 2016.

Con la decisione in commento la Corte di Cassazione, nel dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice italiano, ha confermato la tesi sostenuta dalla ricorrente ed ha precisato che non osta alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione l’avvenuta pronuncia del lodo da parte degli arbitri coreani, atteso che la preclusione alla proposizione del rimedio di cui all’art. 41, comma 1, c.p.c., vale solo in presenza di una sentenza emessa dal giudice italiano, mentre non opera in ipotesi di sentenza pronunciata dal giudice straniero, la quale piuttosto fa scattare meccanismi di raccordo affidati ad altri istituti.