L’APPELLO È INAMMISSIBILE IN MANCANZA DELLA FIRMA DIGITALE SULL’ORIGINALE

05/07/2017

In una sua recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha affermato che la mancanza della sottoscrizione digitale dell’originale dell’atto di citazione in appello determina l’inammissibilità dell’appello stesso per inesistenza dell’impugnazione, non sanabile neppure attraverso la costituzione della parte appellata.

 

Con la sentenza n. 14338 dell’8 giugno 2017, la Sezione Sesta Civile della Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi nuovamente su una delle questioni oggetto di maggior disputa degli ultimi anni, ovvero le conseguenze del mancato rispetto delle disposizioni in materia di notificazione in proprio a mezzo PEC eseguite da parte degli avvocati, che a partire dalla legge n. 53/1994 ha subito notevoli evoluzioni, soprattutto dettate dalla necessità di aggiornarsi e rimanere al passo con le innovazioni tecnologiche degli strumenti informatici impiegati.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Salerno aveva ritenuto inammissibile il giudizio d’appello instaurato attraverso la notificazione di un atto di citazione in appello privo della firma digitale, ritenendo il vizio di cui sopra non sanabile neppure attraverso la costituzione in giudizio della parte appellata, che aveva  sollevato la relativa eccezione. La Corte di Cassazione, interpellata con ricorso, ha quindi confermato la decisione della Corte d’Appello di Salerno circa l’inammissibilità non sanabile dell’appello, provvedendo però a riformarla parzialmente. La Corte ha affermato che la presenza della firma digitale sull’atto informatico è pienamente equiparata alla firma apposta “a mano” su di una versione cartacea dell’atto e tale requisito deve essere inteso come condizione di validità dell’atto introduttivo del giudizio ex art. 125 c.p.c., in quanto strumento idoneo a ricondurre l’atto ad un determinato soggetto.

Tuttavia, ciò che rileva secondo la Suprema Corte, non è soltanto la mancanza della firma digitale sulla copia notificata (profilo sul quale si era incentrata l’impugnazione del ricorrente), ma l’assenza della stessa anche sull’originale dell’atto di citazione, circostanza di per sé sola già in grado di determinare l’inammissibilità dell’appello.

La decisione della Suprema Corte si affranca per la prima volta dai precedenti orientamenti “antiformalistici” che miravano a far prevalere il principio del raggiungimento dello scopo sul rispetto delle disposizioni di legge dettate in materia di notificazioni digitali. Questo approccio, che in un primo momento aveva evitato che i giudici venissero investiti da cavillose eccezioni, aveva evidentemente portato all’estremo opposto, ovvero ad una totale mancanza di ritualità, cui la Corte ha qui ritenuto di dover porre rimedio.


APPEAL IS INADMISSIBLE IF THE ORIGINAL DEED IS NOT DIGITALLY UNDERSIGNED

05/07/2017

The Italian Supreme Court recently held that the lack of a digital signature on the original of the appeal deed determines the inadmissibility of the appeal itself on grounds that the legal challenge is non-existent and cannot be remedied even if the defendant joins the proceedings.

 

With judgment no. 14338 of 8 June 2017, the Italian Supreme Court once again considered one of the matters that has been most disputed in recent years, namely the consequences of the failure to comply with the regulations governing serving by lawyers via certified electronic mail. Such regulations, starting with Law no. 53/1994, have been subject to significant changes mostly brought about by the need to remain in line with the technological evolution of the IT instruments being used.

In this case, the Court of Appeal of Salerno held that the appeal commenced with the serving of a deed of appeal bereft of digital signature was inadmissible in so far as such a defect of the deed could not be remedied even if the defendant joined the proceedings and raised the relevant exception. The Supreme Court agreed with the Court of Appeal of Salerno on the point of inadmissibility but partly changed the decision of the lower court. The Supreme Court stated that the digital signature on the electronic deed is fully identical to the hand signature on a paper version of the deed and such a requirement must be understood to be a condition for the validity of the deed pursuant to art. 125 of the Code of Civil Procedure, in so far as it aides to trace the deed to a specific individual.

However, the Supreme Court held that what is relevant is not only the lack of digital signature of the served copy of the deed (a matter which the petitioner focused on), but also its omission from the original deed, a circumstance which unto itself is sufficient for determining the inadmissibility of the appeal.

The decision of the Italian Supreme Court for the first time abandons the previous “anti-formalistic” approaches that supported the attainment of the objective of a legal deed even if regulations on electronic serving were not fully complied with. This new approach, which initially helped avoid burdening judges with minor exceptions, has evidently led to the opposite result, that is to a total lack of compliance with procedure, which the Court decided to remedy.


IL CASO “THE PIRATE BAY”: PER LA CORTE DI GIUSTIZIA ANCHE I GESTORI DELLA PIATTAFORMA DI CONDIVISIONE DI FILE TORRENT VIOLANO I DIRITTI D’AUTORE

23/06/2017

La Corte di Giustizia, con la sentenza pronunciata il 14 giugno scorso nella causa c-610/15, ha affermato che la messa a disposizione su Internet di contenuti caricati da utenti costituisce una forma di “comunicazione al pubblico”,  attività che deve essere autorizzata dai titolari dei diritti dautore sulle opere.

 

La Stichting Brein, una fondazione dei Paesi Bassi che protegge gli interessi dei titolari del diritto d’autore, ha adito i giudici olandesi per far ingiungere alla Ziggo e alla XS4ALL, fornitori di accesso i cui abbonati utilizzano per la maggior parte la piattaforma di condivisione online “The Pirate Bay”, di bloccare i nomi di dominio e gli indirizzi IP di “The Pirate Bay” al fine di evitare che i servizi di questi fornitori possano essere usati per violare il diritto di autore dei soggetti di cui la Stichting Brein protegge gli interessi.

Le domande di Stichting Brein, accolte in primo grado, sono state tuttavia rigettate in appello.

La Corte Suprema dei Paesi Bassi ha quindi adito la Corte Europea al fine di chiedere se si configuri una comunicazione al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, ad opera del gestore di un sito Internet ove sul sito in parola non si trovino opere protette, ma esista un sistema con il quale vengono indicizzati e categorizzati per gli utenti metadati relativi ad opere protette disponibili sui loro computer, consentendo loro di reperire e caricare e scaricare le opere protette.

Nella recente sentenza la Corte statuisce che la fornitura e la gestione di una piattaforma di condivisione online, quale è “The Pirate Bay”, devono effettivamente essere considerate atti di comunicazione al pubblico ai sensi della direttiva 2001/29 e in quanto tali sono consentite solamente previa autorizzazione dei titolari dei diritti di autore.

La Corte ha anche affermato che gli amministratori di “The Pirate Bay” non realizzano una «mera fornitura» di attrezzature fisiche ma svolgono un ruolo imprescindibile nella messa a disposizione delle opere protette. Essi, di fatto, intervengono con piena cognizione delle conseguenze del proprio comportamento, al fine di dare accesso alle opere, indicizzando ed elencando i “file torrent” che consentono agli utenti di localizzare le opere e di condividerle nell’ambito di una rete tra utenti (peer-to-peer).

Tale comunicazione riguarda peraltro un numero indeterminato di destinatari potenziali e comprende un numero considerevole di persone, come anche dichiarato dagli stessi amministratori di “The Pirate Bay” sul proprio sito internet.

Infine, la Corte ha affermato che è incontestabile che la messa a disposizione e la gestione di una piattaforma di condivisione online, come quella di cui al procedimento principale, sono realizzate allo scopo di trarne profitto, dal momento che la piattaforma in questione genera considerevoli introiti pubblicitari.


I COMPENSI DEGLI AMMINISTRATORI UNICI O DEI CONSIGLIERI DI AMMINISTRAZIONE DI S.P.A. SONO PIGNORABILI SENZA I LIMITI DI CUI ALL’ART. 545 C.P.C.

01/06/2017

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 20 gennaio 2017, n. 1545, hanno stabilito che l’amministratore unico o il consigliere d’amministrazione di una S.p.A. sono legati da un rapporto di tipo societario che – in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione – non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c.. Ne deriva che i compensi spettanti ai predetti soggetti per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dal quarto comma dell’art. 545 c.p.c..

 

A seguito di un’espropriazione presso terzi intentata da una banca contro il suo debitore, in primo grado veniva disposta con sentenza l’assegnazione all’istituto procedente della totale somma accantonata dai terzi a titolo di emolumenti per l’attività. Il debitore era infatti amministratore di una delle società terze pignorate e membro del consiglio di amministrazione dell’altra. Il debitore si opponeva all’ordinanza di assegnazione deducendo che vi era stata una diversa qualificazione della propria attività, secondo lui riconducibile all’ambito di applicazione dell’Articolo 409 numero 3 del Codice di Procedura Civile, e che quindi vi era una limitazione alla pignorabilità (solo fino ad un quinto). Il tribunale accoglieva la sua opposizione, qualificando l’attività lavorativa del debitore come lavoro parasubordinato e dunque limitava ad un quinto l’assegnazione di quanto i terzi pignorati avevano accantonato. La banca creditrice proponeva quindi ricorso per Cassazione.

Il quesito sottoposto alle Sezioni Unite è consistito nello stabilire se il rapporto tra la società per azioni ed il suo amministratore sia qualificabile come di lavoro parasubordinato od autonomo e, di conseguenza, stabilire se il limite di pignorabilità degli stipendi pari ad un quinto degli stessi previsto dal quarto comma dell’art. 545 c.p.c. sia applicabile ai compensi o agli emolumenti dell’amministratore stesso.

Fino alla decisione de quo, la giurisprudenza – secondo un primo orientamento – escludeva potersi individuare nell’ambito del rapporto di amministrazione un rapporto tra due distinti centri di interesse tra i quali avviene lo scambio di prestazioni, ciò in quanto l’ordinamento delle spa è regolato in modo da attribuire all’amministratore-rappresentante le caratteristiche strutturali di organo, escludendo quindi la configurabilità del rapporto di para-subordinazione e accogliendo la teoria cd. organica. Un diverso filone giurisprudenziale, aderente alla cd. teoria contrattualistica, riconduceva invece le controversie in questione all’art. 409, n. 3 c.p.c., ritenendo che il rapporto tra amministratore e spa presentasse i caratteri della continuità e del coordinamento con l’attività svolta dall’impresa societaria, richiesti da tale norma per affermare la competenza per materia del giudice del lavoro.

Una soluzione al dibattito fu trovata inizialmente dalle S.U. con la sentenza n. 10680 del 1994, la quale prese netta posizione a favore della qualificazione del rapporto di amministrazione in termini di rapporto di lavoro parasubordinato, ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c., sulla base del fatto che “all’interno dell’organizzazione societaria sono configurabili rapporti di credito nascenti da un’attività continua, coordinata e prevalente non rilevando l’eventuale mancanza di una posizione di debolezza contrattuale dell’amministratore nei confronti della società”.

Viceversa, con la sentenza in oggetto la Corte a Sezioni Unite, cassando la sentenza impugnata dal creditore procedente e rigettando l’opposizione proposta dal debitore, ha ritenuto errato il principio statuito dal Tribunale in ordine alla limitata pignorabilità dei crediti e statuito che i compensi spettanti agli amministratori per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili nella loro totalità.