AMAZON MARKETPLACE E VIOLAZIONE DEL MARCHIO: LA RECENTE PRONUNCIA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA

14/04/2020

Con la decisione resa in data 2 aprile 2020 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella causa Coty Germany GmbH (“Coty”) nei confronti di alcune società del gruppo Amazon (C-567/18), ritenendo che il mero stoccaggio da parte di Amazon, all’interno del suo mercato online (c.d. “Amazon-Marketplace”), di prodotti che violano i diritti di marchio non vale di per sé a rendere Amazon responsabile per la violazione di tali diritti.

 

Il fatto
La decisione prende le mosse da un rinvio pregiudiziale della Corte federale di giustizia tedesca, chiamata a decidere su una causa in materia di diritto dei marchi promossa dalla società distributrice Coty contro alcune società del gruppo Amazon. Coty, licenziataria del marchio dell’Unione Europea “Davidoff” tutelato per i prodotti «profumeria, oli essenziali, cosmetici», lamentava la violazione da parte di due società del gruppo Amazon del proprio diritto di vietare a terzi l’uso del suddetto segno.
Coty aveva infatti effettuato un c.d. test purchase di alcuni flaconi del profumo a marchio “Davidoff” offerti in vendita da un venditore terzo (quindi non direttamente da Amazon) sul Market Place di Amazon. Detto venditore aderiva al programma “Logistica di Amazon”, nell’ambito del quale i prodotti venduti da soggetti terzi vengono stoccati e spediti da Amazon per loro conto.

I primi due gradi di giudizio
Coty, ritenendo che i propri diritti sul marchio “Davidoff” non fossero esauriti poiché i prodotti in questione erano stati immessi nel mercato dell’Unione Europea senza il proprio consenso, diffidava il venditore. Successivamente, Coty invitava Amazon a rimetterle tutti i flaconi di profumo recanti il marchio in questione e stoccati per conto del venditore. Amazon inviava alla prima i flaconi di profumo richiesti. Tuttavia, emergeva che tra detti flaconi ve ne erano alcuni provenienti dalle scorte di un diverso venditore, che Amazon non era in grado di indentificare. Ritenendo che la condotta di Amazon violasse i propri diritti sul marchio azionato, Coty chiedeva al Giudice tedesco (Landgeright) di inibire Amazon dallo stoccare o spedire – o far stoccare o far spedire – in Germania profumi recanti il marchio in esame, immessi in commercio nell’Unione Europea senza il consenso della stessa Coty.
Il Landgericht respingeva l’azione proposta da Coty. Quest’ultima risultava soccombente anche in secondo grado, ritenendo il giudice d’appello che le due società del gruppo Amazon non avessero né stoccato né spedito i prodotti in questione e che esse si fossero limitate a conservare tali prodotti per conto del venditore e di altri venditori terzi.

Il rinvio pregiudiziale
Coty ha proposto ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio. Quest’ultimo, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania), ha ritenuto necessario chiedere alla Corte di giustizia di interpretare l’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 sul marchio dell’Unione europea, nella versione anteriore alle modifiche ad opera del regolamento (UE) 2015/2424, nonché dell’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001. Tale rinvio pregiudiziale si è reso necessario per comprendere se tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che un soggetto che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, e non sia a conoscenza della violazione del diritto di marchio, effettui lo stoccaggio di tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio ai sensi di dette disposizioni, anche nel caso in cui sia solo il terzo ad offrire detti prodotti o immetterli in commercio.

La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha innanzitutto richiamato la normativa applicabile al marchio dell’Unione europea evidenziando che essa conferisce, inter alia, al suo titolare il diritto esclusivo di vietare a qualsiasi terzo, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno, quando il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato. In particolare, i giudici del Lussemburgo hanno fatto presente che fra i differenti “usi” che il titolare del marchio ha il diritto di vietare rientra – in base alla normativa sopra richiamata – l’offerta dei prodotti, la loro immissione in commercio oppure il loro stoccaggio a tali fini.
Nel caso in esame la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ritenuto che l’operazione di stoccaggio svolta da Amazon non rientrasse nella nozione di “uso” sopra menzionata.
Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dunque, affinché lo stoccaggio da parte di un operatore economico di prodotti recanti segni identici o simili a marchi possa essere qualificato come “uso” di tali segni occorre che chi effettua lo stoccaggio persegua in prima persona la finalità di offerta dei prodotti o di loro immissione in commercio. Diversamente, non si può ritenere che il mero stoccaggio compiuto da siffatto operatore costituisca uso del marchio. In tal caso, l’operatore si limita unicamente a creare le condizioni tecniche necessarie per l’uso di tale segno.
Alla luce di tale interpretazione delle norme sopra richiamate la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, avendo rilevato che nel caso di specie Amazon si era limitata al mero stoccaggio dei prodotti contrassegnati dal marchio azionato, senza averli offerti in vendita o averli immessi in commercio essa stessa, ha ritenuto che questa non avesse fatto un uso del marchio passibile di divieto da parte del titolare.

Valentina Cerrigone