QUALE TUTELA A FAVORE DEI MARCHI C.D. “RINOMATI”: IL CASO GUCCI

04/11/2021

I marchi rinomati godono di una tutela rafforzata che va oltre il semplice rischio di confusione tra i prodotti. Ad affermarlo è un’interessante pronuncia della corte di Cassazione riguardante la nota maison Gucci.

 

Con ordinanza n.27217/2021, depositata in data 7 ottobre 2021, la Cassazione ha accolto con rinvio il ricorso di Gucci che chiedeva l’annullamento per difetto di novità della registrazione da parte di una società cinese di due marchi simili a quelli della famosa casa di moda. La Corte di Appello di Firenze, precedentemente investita della questione, pur riconoscendo la somiglianza dei segni in conflitto e la rinomanza dei marchi Gucci, aveva rigettato le domande di nullità limitando la propria analisi al rischio di confusione tra i segni medesimi, osservando che l’elevata rinomanza non solo non rileva ai fini della valutazione del rischio confusorio, ma costituisce piuttosto un ulteriore argomento a sostegno della sua insussistenza. A parere della Corte di Appello, proprio la notorietà del marchio ed il suo far presa nella mente dei consumatori escludono la possibilità che questi ultimi vengano indotti in errore, “non potendosi ritenere che il potere di attrattiva del marchio anteriore rinomato possa essere compromesso da un segno successivo (del contraffattore)” inidoneo a generare un rischio di confusione in un pubblico di acquirenti attenti e informati come quelli dei prodotti Gucci.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha osservato sul punto che la mancanza di confondibilità è un elemento “del tutto irrilevante ai fini dell’applicazione della disciplina dei marchi di rinomanza”. I marchi che godono di notorietà, a differenza dei marchi non rinomati, godono infatti di una tutela particolare e rafforzata prevista dal Dlgs 30/2005, in attuazione della direttiva CE 89/104. Pertanto, ai fini della esclusione della novità del segno posteriore ai sensi dell’art. 12 lett. f) del CPI e affinché il titolare di un marchio rinomato abbia il diritto di vietare a terzi l’uso del segno medesimo ai sensi dell’art. 20 lett. c) del CPI non è necessario che vi sia un rischio di confusione nel pubblico dei consumatori. Secondo la Cassazione è infatti sufficiente a tali fini che “il contraffattore possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore ovvero che l’uso del segno senza giustificato motivo da parte del contraffattore possa recare pregiudizio al marchio di rinomanza”, generando la c.d. «diluizione» rispetto alla distintività e la c.d. «corrosione» rispetto alla notorietà del marchio. Il «vantaggio indebitamente tratto», detto anche «parassitismo», si riferisce invece non tanto al pregiudizio subito dal titolare del marchio anteriore che gode di rinomanza, quanto piuttosto al vantaggio indebito tratto dal titolare del marchio contraffatto. Tale è il caso in cui il contraffattore, ponendosi nel solco del marchio notorio, beneficia della sua reputazione, del suo potere attrattivo e del suo prestigio senza di fatto versare alcun compenso economico. Quanto al pubblico dei consumatori, la Corte di Cassazione ha osservato che a nulla rileva il fatto che coloro i quali sono soliti acquistare i prodotti Gucci possano non cadere in errore, ben potendo i prodotti contraffatti essere scelti consapevolmente da una fetta di consumatori non per le loro caratteristiche, decorative o di materiale, intrinseche, ma esclusivamente per la loro forte somiglianza con i prodotti “celebri”, magari per “spacciarli” per originali.

Spetterà dunque al giudice del rinvio, sulla base di quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, accertare se l’utilizzo del marchio posteriore sia privo di giusta causa che consenta di trarre indebitamente vantaggio e profitto dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio Gucci ovvero arrechi pregiudizio alle caratteristiche di tale marchio. Di certo si tratta di una pronuncia rilevante in materia di marchi rinomati e che si pone sulla falsariga di altri precedenti giurisprudenziali in materia (si veda, ad esempio, la sentenza L’Oréal del 18/6/2009 ripresa dalla Cassazione nella decisione qui in commento).

Margherita Corrado