INTELLIGENZA ARTIFICIALE, UNIONE EUROPEA IN EQUILIBRO TRA APPROCCIO COMUNE E NAZIONALISMI

08/04/2020

Con la pubblicazione del Libro Bianco [1] a febbraio, l’Unione Europea ha aperto una consultazione pubblica (in scadenza il prossimo 19 maggio 2020) sul tema dell’Intelligenza Artificiale al fine di valutare la possibilità di adottare un approccio normativo comune che consenta di superare nazionalismi e visioni parziali della materia. A detta della Commissione, lo sviluppo di una normativa comune sul tema dell’Intelligenza Artificiale consentirebbe alle imprese e ai cittadini dell’Unione di affrontare con più consapevolezza le più attuali sfide sociali quali la lotta contro il cambiamento climatico, le sfide legate alla sostenibilità e ai cambiamenti demografici, la protezione delle democrazie ed infine la lotta alla criminalità. Ma la sicura attualità di questi temi verrà ancora percepita nello stesso modo a seguito dell’avvento dell’emergenza sanitaria derivata dalla diffusione del COVID-19?

 

Intelligenza Artificiale: definizione e status della normativa dell’Unione Europea
Nell’ambito della definizione di una strategia comune per il mercato unico digitale, l’Unione Europea ha iniziato ad interessarsi più attivamente di Intelligenza Artificiale (IA) nel 2017, momento in cui il Consiglio Europeo ha riconosciuto il tema in questione come urgente e in rapida evoluzione, tanto da invitare la Commissione Europea a gettare le basi per una normativa comune. Secondo il Consiglio era infatti necessario approcciare l’IA in maniera uniforme in tutta l’Unione “garantendo nel contempo un elevato livello di protezione dei dati, diritti digitali e norme etiche [2]”.
Da qui la Commissione ha raccolto l’invito del Consiglio ed in data 25 aprile 2018 [3] ha pubblicato una comunicazione agli altri organi europei interessati in cui è stata resa pubblica la strategia in tema di IA che avrebbe portato ad un aumento esponenziale delle risorse dell’Unione destinate allo sviluppo di progetti su IA (quasi 2,5 miliardi di euro tra il 2018 ed il 2020 oltre ad investimenti privati ed un piano di sostegno economico per il decennio 2020-2030), anche al fine di rendere le tecnologie basate su IA quanto più possibile accessibili a cittadini e imprese. L’iniziativa è evidentemente mirata a competere con altre potenze del globo (USA, Cina, Giappone e Canada) nella corsa tecnologica a sfruttare le opportunità offerte dallo sviluppo “casalingo” di Intelligenze Artificiali.
Insomma, l’industria europea “cannot miss the train”, per usare le parole della Commissione. Circostanza ribadita dalla stessa Commissione nella successiva comunicazione del 7 dicembre 2018 in cui ha esposto il proprio piano coordinato sul tema dell’IA [4].
Slogan a parte, la comunicazione della Commissione del 25 aprile 2018 contiene una (seppur imprecisa) definizione di IA, assente sino a quel momento nei testi legislativi dell’Unione. Studiosi e tecnici hanno fornito negli anni definizioni parzialmente diverse, senza tuttavia raggiungere un accordo su una definizione in particolare [5]. Con la comunicazione la Commissione aveva definito l’IA come “sistemi che mostrano un comportamento intelligente analizzando il proprio ambiente e compiendo azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere specifici obiettivi” [6]. Tale definizione è stata poi ulteriormente elaborata dal cosiddetto Gruppo indipendente di esperti ad alto livello sull’intelligenza artificiale [7] che, con la relazione “Orientamenti etici per un’IA affidabile”, ha specificato la nozione dell’intelligenza artificiale come segue: “Sistemi software (ed eventualmente hardware) progettati dall’uomo che, dato un obiettivo complesso, agiscono nella dimensione fisica o digitale percependo il proprio ambiente attraverso l’acquisizione di dati, interpretando i dati strutturati o non strutturati raccolti, ragionando sulla conoscenza o elaborando le informazioni derivate da questi dati e decidendo le migliori azioni da intraprendere per raggiungere l’obiettivo dato”. A tale definizione è stato aggiunto che “I sistemi di IA possono usare regole simboliche o apprendere un modello numerico, e possono anche adattare il loro comportamento analizzando gli effetti che le loro azioni precedenti hanno avuto sull’ambiente.”

White Paper su IA, pilastri per promuovere una regolamentazione comune
È evidente che l’adozione di una regolamentazione comune auspicata dal Consiglio nel 2017 sul tema dell’IA ha subito un’accelerata improvvisa alla pubblicazione del White Paper sull’IA lo scorso 19 febbraio da parte della Commissione. La consultazione pubblica avviata dalla Commissione scadrà il prossimo 19 maggio 2020, data entro la quale potranno pervenire proposte ed osservazioni su come dare ulteriore impulso alle attività di ricerca e sviluppo sul tema dell’IA, migliorare lo sviluppo delle conoscenze in tema di IA da parte delle piccole e medie imprese europee e infine fornire gli elementi essenziali per un quadro legislativo sul tema. Secondo la Commissione i sistemi di IA possono aiutare l’Unione ad affrontare le più attuali sfide sociali quali la lotta contro il cambiamento climatico, le sfide legate alla sostenibilità e ai cambiamenti demografici, la protezione delle democrazie ed infine la lotta alla criminalità. Tutto ciò senza tralasciare il rispetto dei diritti umani fondamentali, quali la dignità umana e la protezione della privacy degli individui.
La Commissione intende quindi approcciare il tema dell’IA attraverso una legislazione comune che si fondi sullo sviluppo dell’economia europea basato sullo sfruttamento della gran quantità di dati disponibili attraverso sistemi di IA “affidabili” e che nello stesso tempo possa garantire i diritti umani fondamentali. Il sistema economico “d’eccellenza” che la Commissione intende sviluppare è basato sulla razionalizzazione della ricerca, sulla promozione della collaborazione tra gli Stati membri (oltre che tra il settore pubblico e quello privato), aumentando gli investimenti nello sviluppo e nella diffusione dell’IA.
Al fine di rendere i sistemi di IA “affidabili”, la Commissione ha confermato quanto già espresso dal Gruppo di Esperti e cioè qualsiasi sviluppo di IA “affidabili” non può prescindere dal garantire i seguenti sette pilastri fondamentali:
(i) apporto e supervisione dell’uomo; (ii) solidità e sicurezza tecnica; (iii) privacy e governance dei dati; (iv) trasparenza; (v) diversità, non discriminazione ed equità; (vi) benessere sociale e ambientale, (vii) responsabilità.
Ciò ovviamente per evitare che lo sviluppo di sistemi basati su IA possa avere effetti distorsivi. La Commissione è infatti ben consapevole che i sistemi di IA, attraverso l’automazione delle attività prima di esclusiva competenza dell’uomo, possano minacciare la privacy dei cittadini, ledere il loro diritto di espressione, il principio di non discriminazione e l’autorealizzazione dell’individuo (solo per citare alcuni dei rischi).

Sistemi di IA in campo medico – il caso del COVID – 19
Non è un mistero che in campo medico i sistemi diagnostici più evoluti siano in grado di elaborare autonomamente ed in tempo reale una miriade di dati provenienti fra l’altro da Internet, pubbliche amministrazioni e altre strutture sanitarie collegate in rete. Ciò accade da tempo in questo settore, tanto che è comune parlare del settore dell’Internet of Medical Things [8]. Ovviamente sono numerosi i problemi sottesi all’utilizzo di IA in campo medico sia come affidabilità dei dati elaborati (acquisire dati dei pazienti da internet o da altre banche dati qualora non sufficientemente validate potrebbe portare a non corrette diagnosi) sia come obiettivi perseguiti (le IA potrebbero perseguire obiettivi non etici come guidare verso pratiche mediche che soddisfino gli obiettivi amministrativi ma non la reale qualità della cura) [9].
Il Libro Bianco indica l’intero settore dell’assistenza sanitaria come un esempio per un ambito ad alto rischio di cui ogni futura regolamentazione dovrebbe tenere conto.
Nella situazione ora descritta è intervenuta l’emergenza sanitaria derivante dal contagio da COVID – 19, la quale – con effetto deflagrante – ha portato alla luce due temi cruciali: il primo riguarda il nuovo bilanciamento fra campo medico e diritti fondamentali nel contesto sanitario emergenziale, mentre il secondo concerne l’effettiva possibilità di continuare, e come, con una collaborazione fra Stati membri nel contesto europeo.
In netto contrasto con le indicazioni di principio di cui al Libro Bianco, infatti, nell’attuale emergenza sanitaria per combattere il COVID-19 si osserva un progressivo complicarsi delle modalità di bilanciamento dei pilastri dell’etica e della tutela dei diritti umani fondamentali con gli obiettivi di protezione del diritto alla salute, proprio in quel campo ad alto rischio individuato nel Libro Bianco. Questo potrebbe significare, da un lato, che la strada della regolamentazione basata sui principi etici indicata dalla Commissione sarà sottoposta ad aspre critiche per non aver tenuto conto di quanto già accadeva in ambito medico in tema di IA. In particolare, la Commissione non fa cenno alcuno circa il necessario bilanciamento tra diritti umani fondamentali (quali privacy) e la necessaria applicabilità di sistemi di IA, che necessariamente debbano sacrificare la privacy dei cittadini per tutelare la salute pubblica. Dall’altro lato stiamo già assistendo a prese di posizione chiare da parte dei singoli Stati membri in favore dell’applicabilità di IA in campo medico con conseguente sacrificio dei diritti umani fondamentali indicati nel Libro Bianco, quali la privacy.
A conferma si veda la discussione in atto in Italia dove si sta valutando, tra le altre misure obbligatorie da intraprendere, la possibilità di utilizzare un’applicazione per smartphone in grado di tracciare i movimenti dei cittadini per fermare l’epidemia da COVID-19. Ovviamente la lesione del diritto alla privacy connesso all’utilizzo della citata applicazione è evidente. Ancor più evidente è l’utilizzo di IA in grado di elaborare i dati ricevuti fornendo una diagnosi in breve tempo per contenere e combattere la pandemia senza che i cittadini si possano (forse) opporre al tracciamento dei propri dati personali e medici. Oltre al tracciamento tramite applicazione su smartphone il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, il Ministero dello Sviluppo Economico ed il Ministero dell’Università e Ricerca hanno pubblicato un invito ai centri di ricerca ed alle imprese innovative per fornire un contributo nell’ambito dei dispositivi per la prevenzione, la diagnostica e il monitoraggio per il contenimento e il contrasto del diffondersi del COVID-19 (ivi incluso l’utilizzo di un’applicazione per smartphone in grado di eseguire un monitoraggio degli individui) [10]. Sul punto l’approccio di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, appare ondivago. Da una parte il Garante, nei primi giorni dell’emergenza, si è detto favorevole all’utilizzo dell’app in questione qualora tale sistema di raccolta ed elaborazione dati, ancorchè invasivo, sia comunque finalizzato all’interesse generale di tutela della salute [11]. Dall’altra parte, più recentemente, il Garante ha espresso un parere che sembrerebbe diverso, sostenendo che l’utilizzo di app di questo tipo possa avvenire solo su base volontaria. Ora, sembrerebbe opportuno affrontare la questione in un’ottica olistica, e chiedersi se l’emergenza sanitaria giustifichi o meno la compressione di diritti fondamentali. Se così è (e pare che i costituzionalisti italiani si siano espressi in questo senso), la compressione del diritto alla privacy non è diversa da quella del diritto alla libertà di movimento, di associazione, e di lavoro che già i cittadini stanno subendo da diverse settimane, per il bene – quantomeno asseritamente – superiore della salute pubblica. È ovvio che la compressione possa giustificarsi solo nella misura in cui l’emergenza sanitaria effettivamente sussista, e che le due opposte istanze debbano essere bilanciate costantemente, anche in un’ottica evolutiva. Quando la minaccia è massima, si possono giustificare misure più invasive; quando la minaccia è minore, tali misure possono diventare illegittime. È altrettanto ovvio che bisognerà assicurare un adeguato controllo delle scelte che in questi giorni vengono peraltro prese da Governi, Governatori Regionali, altre autorità amministrative, con poco o nessun coinvolgimento del Parlamento e nella paralisi del sistema giudiziario. Entrambi questi aspetti vanno celermente ripristinati, a pena di stravolgere le caratteristiche fondanti della nostra società. Sarà interessante vedere quali saranno le decisioni adottate dall’Italia e dagli altri Stati membri dell’EU. E’ infatti lecito aspettarsi che altri questi ultimi intraprendano propri per implementare i sistemi di IA in campo medico per contrastare la diffusione del COVID-19.
E qui viene in luce il secondo tema sopra accennato, ossia l’effetto dirompente che l’emergenza COVID – 19 sta avendo su tutte le strutture e i principi dell’Unione Europea. Gli Stati membri hanno presto sospeso alcuni di questi principi, primo fra tutti quello di libera circolazione delle persone e delle merci, bloccando le frontiere, le consegne di merci ritenute essenziali, e talora procedendo a sequestri di tali merci in transito per rifornire le proprie strutture. Anche nel campo dell’IA e delle app per il controllo sanitario è prevedibile che ciascun Stato membro si muova in autonomia, con buona pace delle iniziative intraprese dagli organi comunitari, ed evidenziando come il sistema tutto debba ormai essere ripensato. Resta quindi da porsi una domanda fondamentale: resisteranno i pilastri fondamentali – anche in tema di IA – elaborati dall’Unione Europea alla sfida dell’emergenza sanitaria che ha sconvolto l’Europa?

Note:
[1] Testo completo consultabile al link https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/commission-white-paper-artificial-intelligence-feb2020_it.pdf;
[2] Documento del Consiglio EUCO 14/17 CO EUR 17 CONCL 5 del 19 ottobre 2017, testo completo disponibile al link https://www.consilium.europa.eu/media/21608/19-euco-final-conclusions-it.pdf;
[3] COM(2018) 237 del 25 aprile 2018, Comunicazione della Commissione Europea “L’intelligenza artificiale per l’Europa” testo completo disponibile al link https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2018/IT/COM-2018-237-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF;
[4] COM(2018) 795 final del 7 dicembre 2018, Communication for Coordinated Plan on Artificial Intelligence;
[5] Per approfondimenti si veda LAVAGNINI, Intelligenza artificiale e proprietà intellettuale: proteggibilità delle opere e titolarità dei diritti in Il diritto d’autore 2018, fasc. 3, 360 ss.;
[6] La Commissione ha precisato inoltre che i sistemi basati sull’intelligenza artificiale possono “consistere solo in software che agiscono nel mondo virtuale (ad esempio assistenti vocali, software per l’analisi delle immagini, motori di ricerca, sistemi di riconoscimento vocale e facciale), oppure incorporare l’IA in dispositivi hardware (per esempio in robot avanzati, auto a guida autonoma, droni o applicazioni dell’Internet delle cose)”;
[7] Si tratta del Gruppo di esperti ad alto livello sull’intelligenza artificiale è indipendente ed è stato istituito dalla Commissione nel giugno 2018 ed ha reso pubblico il proprio parere nell’aprile 2019, disponibile al link https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/ethics-guidelines-trustworthy-ai;
[8] Sul punto si veda https://www.europeanpharmaceuticalreview.com/article/47692/imot-healthcare/;
[9] Per una disamina dei vantaggi e rischi si veda Musacchio, Guaita, Ozzello, Pellegrini, Ponzani, Zilich, A. De Micheli, Intelligenza Artificiale e Big Data in ambito medico: prospettive, opportunità, criticità, AMD Journal, ISSN 2036-363X (print) vol. 21-3;
[10] Il progetto denominato Innova per l’Italia è pubblicato sul sito del Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione al link https://innovazione.gov.it/innova-per-l-Italia-la-tecnologia-e-l-innovazione-in-campo-contro-l-emergenza-covid-19/;
[11] Sul punto si veda www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9298389.

Alessandro Bura, Tankred Thiem


COVID-19: ADOZIONE DI MISURE STRAORDINARIE DA PARTE DEGLI UFFICI PER LA TUTELA DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE E INTELLETTUALE.

06/04/2020

A seguito della diffusione pandemica del focolaio di infezione da COVID-19, gli Uffici per la tutela della Proprietà Industriale e Intellettuale hanno adottato dei provvedimenti di emergenza al fine di garantire l’erogazione continuativa dei propri servizi e tutelare i cittadini dei numerosi Paesi interessati da misure restrittive della circolazione e dall’interruzione del regolare svolgimento delle attività lavorative.

 

UIBM
Con Decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 è stato ampliato il campo applicativo e temporale della sospensione già disposta con Decreto Direttoriale dell’11 marzo 2020, prevedendo la sospensione di tutti i termini relativi ai procedimenti amministrativi dinanzi l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi per il periodo compreso tra il 23 febbraio e 15 aprile 2020. I termini riprenderanno a decorrere dal 16 aprile 2020 per la parte residua.
Oggetto di sospensione anche i termini perentori ex art. 176, comma 1 c.p.i. relativi al procedimento di opposizione, mentre restano esclusi dall’ambito di applicazione della sospensione – in virtù della loro natura giurisdizionale – i termini relativi ai procedimenti instaurati dinanzi alla Commissione dei ricorsi.

EUIPO
Con Decisione del Direttore Esecutivo EUIPO n. EX 20/3 del 16 marzo 2020, i termini compresi tra il 9 marzo e 30 aprile 2020 sono automaticamente prorogati al 1° maggio 2020. In considerazione della festività del 1° maggio, in concreto tutte le scadenze risultano differite al 4 maggio 2020.
Oggetto del differimento, le scadenze riguardanti qualsiasi procedimento instaurato presso l’EUIPO – compresi i procedimenti dinanzi le Commissioni di Ricorso – e, fra gli altri, i termini relativi ai pagamenti delle tasse ufficiali, alla rivendicazione dei diritti di priorità di deposito, al differimento della pubblicazione dei design, alla conversione delle domande.
Il termine per la presentazione di un ricorso dinanzi al Tribunale dell’Unione Europea contro una decisione delle Commissioni di Ricorso non sarà invece differibile, in quanto la proroga non è estensibile ai procedimenti di competenza di altre e differenti autorità.

EPO
Con una nota del 15 marzo 2020 pubblicata sull’Official Journal dell’EPO del marzo 2020, i termini fissati dal 15 marzo 2020 in poi sono automaticamente prorogati al 17 aprile 2020.
La proroga è applicata anche alle domande internazionali di brevetto (PCT) e ai termini di pagamento delle tasse ufficiali, incluse le tasse di rinnovo dei brevetti.
L’Ufficio ha inoltre deciso di rinviare a data da destinarsi tutte le procedure orali di esame e di opposizione previste fino al 17 aprile 2020, a meno che sia stato disposto il loro compimento tramite videoconferenza.
Sono altresì rinviate fino a nuovo avviso le udienze e procedure orali fissate dinanzi le Commissioni di Ricorso fino al 30 aprile 2020.
Per quanto riguarda i termini scaduti prima del 15 marzo 2020, in caso di inosservanza di un termine da parte di soggetti che risiedano in aree colpite dal virus, qualsiasi documento ricevuto in ritardo verrà considerato tempestivamente presentato previa dimostrazione dell’impossibilità di rispettare il termine a causa di eventi eccezionali contingenti all’epidemia in corso, verificatisi in uno qualsiasi dei dieci giorni antecedenti il giorno di scadenza del termine, stante l’invio del documento non oltre il quinto giorno dopo la cessazione della situazione impeditiva.

WIPO
L’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale assicura la regolare erogazione dei propri servizi, non disponendo ad oggi alcun differimento dei termini previsti dal Trattato di Cooperazione in materia di Brevetti (PCT), dal Sistema di Madrid per la Registrazione Internazionale dei Marchi e dal Sistema dell’Aia per la Registrazione Internazionale dei Disegni e Modelli Industriali.
A causa dell’interruzione dei servizi postali in numerosi Paesi contraenti, l’Ufficio Internazionale ha momentaneamente sospeso l’invio e il ricevimento di comunicazioni tramite posta. Fino a nuovo avviso, l’Ufficio potrà trasmettere e ricevere le comunicazioni solo per via elettronica.
Nell’eventualità in cui l’impraticabilità dei servizi postali o dei mezzi di comunicazione elettronica sia causa del mancato rispetto di un termine prescritto, fornendo prova a giustificazione di tale impossibilità, sarà considerato tempestivamente presentato il documento inviato entro cinque giorni dopo aver ottenuto nuovamente l’accesso alla posta o ai mezzi di comunicazione elettronica. In ogni caso, l’Ufficio dovrà ricevere il documento entro sei mesi dalla data di scadenza del termine in questione.

Riferimenti
Comunicato stampa dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale del 20 marzo 2020;
Decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”;
Decisione del Direttore Esecutivo EUIPO del 16 marzo 2020, n. EX 20/3, riguardante l’estensione dei limiti temporali;
Nota dell’EPO del 15 marzo 2020, pubblicata sull’Official Journal dell’EPO del marzo 2020, riguardante disservizi dovuti all’insorgenza dell’epidemia di COVID-19.

Alessia Asaro


COVID-19 E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI: LE RECENTI DICHIARAZIONI DEL COMITATO EUROPEO PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI E DEL GARANTE EUROPEO DELLA PROTEZIONE DEI DATI DEL 16 E 20 MARZO 2020.

23/03/2020

Lo scorso 16 marzo 2020 il comitato europeo per la protezione dei dati ha ribadito la necessità di proteggere i dati personali degli individui anche in un momento di emergenza come quello attuale. Tuttavia, la protezione dei dati personali è una questione dibattuta a causa della crescente richiesta da parte di autorità pubbliche e privati di inasprimento delle misure di sorveglianza.

 

Al fine di contenere il contagio del COVID-19, i governi europei e le organizzazioni pubbliche e private stanno adottando misure che prevedono il trattamento dei dati personali degli individui. Non vi è dubbio che una gestione efficace dell’epidemia si basi anche sulla raccolta e sulla rapida analisi dei dati sanitari (e non solo) delle persone. Tuttavia, tali misure possono sollevare problemi di privacy sia in base a quanto disposto dal regolamento europeo sulla protezione dei dati (infra, GDPR), sia rispetto alle legislazioni nazionali. Peraltro, si tratta di misure (quelle sulla privacy) che fanno parte di un più ampio contesto di forte limitazione di diritti fondamentali dell’individuo, da quello alla libertà di movimento, a quello alla socialità, a quello infine di svolgere la propria attività economica e riuscire così a sostenere sé stessi e la propria famiglia. Nei confronti di tali limitazioni non si sono sollevate molte voci critiche; si è anzi sostenuto che si tratti di misure compatibili con la nostra Costituzione, in quanto il diritto alla salute prevarrebbe su tutti gli altri diritti temporaneamente compressi, salvo il rispetto della dignità degli esseri umani e il divieto di adottare misure ingiustamente discriminatorie. Anche la questione della privacy va dunque letta in un’ottica generale di bilanciamento, chiedendosi se sia preferibile uno stop generalizzato delle attività, con confinamento dei cittadini presso le proprie abitazioni, o piuttosto un sistema di controllo del contagio che consenta ove possibile gli spostamenti, facendo anche leva sulla tecnologia più avanzata, e utilizzando le norme sulla privacy come strumento per far sì che il controllo sia misurato, proporzionale e mantenuto al minimo strettamente necessario. Per far ciò è evidentemente anche necessario ripristinare quanto prima l’efficienza del sistema giudiziario, che è l’unico presidio contro gli abusi. E’ evidente che in un contesto in cui i tribunali sono stati paralizzati, nessun tipo di limitazione, quale che essa sia (compresa quella alla privacy) può lasciare i cittadini del tutto tranquilli.

Efficienza delle misure di contrasto al contagio vs diritti fondamentali
La questione del bilanciamento tra efficienza delle misure di contrasto al COVID-19 e diritti fondamentali – tra cui il diritto alla privacy – è di centrale importanza, anche considerato che una partita importante contro la diffusione del virus sarà giocata dalla tecnologia. Sappiamo, infatti, che alcuni paesi stanno gestendo l’attuale pandemia attraverso un ricorso massivo ad app e programmi software che comportano una serie di implicazioni, più o meno invasive, in materia di privacy. Ad esempio, la app che informa della presenza di contagiati da Covid-19 entro i 100 metri di distanza dalla localizzazione dell’utente; ovvero il geotracking per tracciare i movimenti delle persone infette al fine di ricostruire tutta la loro rete di contatti e illustrarne gli spostamenti.
Proprio in questi giorni, in nome dell’emergenza e del contrasto al virus, sono state avanzate proposte di controllo che sono eccezionali rispetto al nostro tradizionale sistema di valori e principi giuridici condivisi. Si tratta più precisamente di proposte di tracciamento massivo digitale dei cittadini, fondate sull’idea che un incremento della sorveglianza possa rendere più efficace la lotta al contagio del virus. In tale contesto, la normativa europea sulla protezione dei dati personali è stata oggetto di critica, perché ritenuta d’ostacolo all’adozione di misure di contrasto alla diffusione del virus. A tale proposito, lo scorso 16 marzo 2020, il comitato europeo per la protezione dei dati (infra, EDPB) ha pubblicato una dichiarazione in cui, oltre a specificare che le norme del GDPR non ostacolano le misure adottate nella lotta contro la pandemia, ribadisce l’importanza di proteggere i dati personali anche in un momento di emergenza come quello attuale. Al riguardo, Andrea Jelinek, presidente dell’EDPB, ha sottolineato che ” il responsabile del trattamento dei dati deve garantire la protezione dei dati personali delle persone interessate. Pertanto, è necessario tenere conto di una serie di considerazioni per garantire il trattamento legittimo dei dati personali” (per la dichiarazione integrale di Andrea Jelinek, presidente dell’EDPB:
https://edpb.europa.eu/news/news/2020/statement-edpb-chair-processing-personal-data-context-covid-19-outbreak). Il contenuto di tale dichiarazione è stato ribadito nel successivo statement del 19 Marzo in cui l’EDPB ha esplicitato i requisiti di legittimità del trattamento dei dati personali nell’attuale contesto di emergenza(https://edpb.europa.eu/sites/edpb/files/files/file1/edpb_statement_2020_processingpersonaldataandcovid-19_en.pdf)

Trattamento dei dati personali: le regole previste dalla normativa europea
La dichiarazione dell’EDPB richiama le disposizioni del GDPR che prevedono i casi specifici in cui è consentito il trattamento di dati personali. In particolare:
– l’articolo 6 del GDPR, che consente il trattamento dei dati personali senza il consenso del titolare quando ciò sia necessario per proteggere quest’ultimo o altra persona fisica o per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico;
– l’articolo 9 del GDPR, che consente il trattamento di particolari categorie di dati personali, come le informazioni sanitarie, senza il consenso della persona interessata, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica “quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero”.
Per quanto riguarda, invece, i dati relativi alle comunicazioni elettroniche (ad esempio quelli concernenti l’ubicazione del telefono), viene richiamata la direttiva 2002/58/CE (c.d. direttiva ePrivacy), che consente l’utilizzazione dei dati relativi all’ubicazione di un individuo solo se resi anonimi o con il consenso delle persone interessate. L’EDPB sottolinea che in base all’art. 15 della citata direttiva, gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative volte a limitare i diritti e gli obblighi ivi previsti qualora tale restrizione costituisca una misura necessaria, opportuna e proporzionata per la salvaguardia della sicurezza nazionale e della sicurezza pubblica.

Conclusioni
L’effettiva tutela dei dati personali nell’ambito delle misure adottate dagli Stati membri per la lotta al COVID-19 appare ad oggi confusa e frammentata: alcuni paesi hanno adottato un approccio più permissivo nei confronti dei controlli (es. Danimarca, Irlanda, Polonia, Spagna), altri maggiormente garantista (es. Francia, Lussemburgo, Olanda, Belgio).
La recente dichiarazione dell’EDPB si limita a richiamare la normativa europea sulla privacy in un contesto in cui l’esercizio effettivo dei diritti da parte dei cittadini risulta momentaneamente sospeso a causa del lockdown di interi paesi. La stessa norma invocata dall’EDPB a tutela dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche (cfr art. 15 direttiva ePrivacy) specifica che nei casi eccezionali sopra descritti, lo Stato membro ha l’obbligo di mettere in atto adeguate salvaguardie, come la concessione ai singoli del diritto a un ricorso giurisdizionale. Ma l’accesso alla giustizia è davvero garantito in questo momento di emergenza? O piuttosto l’art. 15 della direttiva ePrivacy verrà – eventualmente – applicato senza le necessarie garanzie?
Sarebbe stata necessaria da parte dell’EDPB una presa di posizione più decisa, che ricordasse agli Stati membri l’importanza di non ignorare l’applicazione dei principi essenziali della privacy, pure in un contesto di emergenza come quello attuale. Al riguardo, si segnala la recente dichiarazione del Garante privacy italiano che lo scorso 2 marzo, rivolgendosi ai titolari del trattamento dati, ha ribadito il divieto di iniziative autonome di raccolta di dati sanitari di utenti e lavoratori che non siano state normativamente previste o disposte dagli organi competenti (per la dichiarazione integrale del Garante privacy italiano:
https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9282117).
Una netta presa di posizione in favore dei diritti fondamentali non è stata adottata neanche dall’European Data Protection Supervisor (infra, EDPS) con l’ultimo comunicato del 20 marzo 2020 in cui il COVID-19 viene indicato quale game changer dell’attuale contesto. L’EDPS ha, infatti, annunciato una nuova strategia per i prossimi cinque anni che comprenderà una revisione dell’attuale EDPS Strategy: “We will all be confronted with this game changer in one way or another. And we will all ask ourselves whether we are ready to sacrifice our fundamental rights in order to feel better and to be more secure” (per il comunicato integrale dell’EDPS:
https://edps.europa.eu/press-publications/press-news/blog/moment-you-realise-world-has-changed-re-thinking-edps-strategy_en).

Simona Lavagnini, Camilla Macrì


ROGER FEDERER SI RIAPPROPRIA DEL “SUO” LOGO RF

17/03/2020

È di pochi giorni fa la notizia secondo cui il celebre marchio “RF”, acronimo delle iniziali della stella del tennis mondiale Roger Federer, è stato ceduto da Nike, titolare originario del marchio e dei relativi diritti di sfruttamento, a Tenro AG, società controllata direttamente dal campione elvetico che gestisce il pacchetto dei titoli IP a questi riconducibili.

 


La vicenda.
Il segno in questione, che come visto riproduce in caratteri stilizzati le iniziali del tennista svizzero, è stato realizzato nel 2008 dal colosso dell’abbigliamento sportivo Nike, cui Federer è stato a lungo legato da un contratto ultraventennale di sponsorizzazione iniziato nel lontano 1994. Il segno è stato quindi registrato come marchio nei più disparati Paesi del mondo, tra cui anche Italia (marchio n. 302008901644561), Unione Europea (marchio n. 6819395) e Stati Uniti (n. 3745413). Ma da chi? Nonostante il marchio fosse utilizzato (e di fatto utilizzabile) solo in connessione con l’attività sportiva svolta da Federer, il soggetto richiedente i marchi – e il conseguente titolare delle registrazioni – non era Federer bensì il suo sponsor, Nike appunto. Il marchio “RF” ha in poco tempo acquisito un successo (rectius, notorietà) planetario divenendo uno dei segni più riconoscibili e distintivi nel mondo del tennis e dello sport in generale e arrivando ad acquisire un valore di mercato pari a 27 milioni di dollari secondo la rivista americana Forbes.
La triangolazione Federer-Nike-RF ha proseguito con successo fino a quando, nell’estate 2018, è stato annunciato il divorzio tra il colosso americano e l’atleta svizzero a seguito della scadenza del contratto di sponsorizzazione Nike-Federer e del passaggio di quest’ultimo nelle grazie dell’azienda giapponese Uniqlo, con la quale Federer ha sottoscritto una nuova partnership che porterà nelle casse dello svizzero la bellezza di 300 milioni di dollari nei prossimi dieci anni.
Il cambio di sponsor ha immediatamente posto negli appassionati di tennis e nei giuristi del settore il seguente quesito: che ne sarà del logo RF? Da un lato, infatti, i diritti di sfruttamento dei marchi aventi ad oggetto il segno sono rimasti di proprietà esclusiva di Nike, unico soggetto a poter legittimamente decidere i tempi e le modalità di utilizzo del marchio: di conseguenza un eventuale utilizzo da parte di Federer del logo o di un altro segno ad esso simile avrebbe comportato una violazione dei marchi di Nike. Dall’altro lato il logo era (ed è) strettamente legato alla persona di Roger Federer e alle sue prestazioni sportive, di fatto riducendo (se non totalmente eliminando) l’interesse di Nike ad utilizzare il marchio dopo la cessazione del rapporto con l’atleta. Un eventuale utilizzo dei marchi in assenza di un consenso di Federer, o comunque in modo dissociato dalla sua figura sportiva, avrebbe peraltro sollevato seri profili di decettività sopravvenuta del marchio stesso, con il rischio di vedere il celebre marchio dichiarato decaduto ai sensi (per quanto riguarda l’UE) dell’art. 58/2 Reg. UE 2017/1001. A ciò si aggiungano le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Federer, che non ha mai mancato di osservare gelosamente che “si tratta di qualcosa di molto importante per me, e per i miei fan in particolare. Sono le mie iniziali. Sono mie”.

IL Trasferimento.
Il risultato di una tale impasse è stata l’interruzione di ogni forma d’uso del marchio per quasi due anni (eccezion fatta per le calzature indossate da Federer nei tornei, rispetto alle quali ha continuato ad essere in vigore un separato contratto di sponsorizzazione). Fino a quando, nel febbraio 2020, le parti interessate sono riuscite a trovare una soluzione stragiudiziale condivisa – i cui dettagli economici non sono stati per il momento rivelati – che ha portato al trasferimento del celebre marchio da Nike alla già menzionata società controllata da Federer (si noti, non più all’attuale sponsor tecnico Uniqlo): la cessione risulta già dai database di alcuni uffici marchi, quali quello statunitense e cinese (cfr. https://www.tmdn.org/tmview/welcome.html?lang=it#) e nel giro di pochi giorni sarà verosimilmente formalizzata anche con riguardo agli altri territori di rilievo. Solo il tempo ci dirà come il neo-titolare Roger Federer deciderà di impiegare il proprio marchio. Gli appassionati possono intanto tornare a fremere.

Giorgio Rapaccini


COMUNICAZIONE SU EMERGENZA COVID-19

13/03/2020

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