ANTITRUST: MAXI SANZIONE DI 116 MILIONI DI EURO INFLITTA AD UNA NOTA SOCIETA’ DI TELECOMUNICAZIONI PER AVER OSTACOLATO LO SVILUPPO DELLA FIBRA.

11/03/2020

Lo scorso 25 febbraio 2020 l’Autorità Antitrust (AGCM) ha concluso il procedimento istruttorio A514 stabilendo che una nota multinazionale attiva nel settore delle telecomunicazioni (infra “la Società”), ha posto in essere una strategia anticoncorrenziale volta ad ostacolare lo sviluppo di investimenti in infrastrutture di rete a banda ultra-larga [1].

 

L’ANTEFATTO:
Il procedimento istruttorio A514 ha avuto origine da una prima segnalazione da parte di una società a controllo pubblico, la quale ha denunciato presunte condotte anticoncorrenziali poste in essere dalla Società nel corso di alcune gare di appalto indette dalla stessa società segnalatrice nel 2016, al fine di garantire la copertura delle aree a fallimento di mercato [2] del territorio nazionale nell’ambito della Strategia Italiana per lo sviluppo della Banda Ultra-larga. Nel corso dei mesi immediatamente successivi, a questa prima segnalazione si sono aggiunte ulteriori comunicazioni concernenti alcuni elementi relativi alle condotte già contestate in precedenza.
In data 28 giugno 2017 l’AGCM, ritenendo di carattere rilevante le molteplici segnalazioni raccolte, ha deliberato l’avvio di un procedimento nei confronti della Società ai sensi dell’art. 102 TFUE, al fine di verificare l’eventuale sfruttamento abusivo della posizione dominante da parte della multinazionale delle telecomunicazioni.

LE CONDOTTE CONTESTATE:
In sede di avvio del procedimento l’Autorità Antitrust ha ipotizzato come le condotte poste in essere dalla Società fossero idonee a conseguire due concreti obiettivi di lesione della concorrenza: (i) in primis volte ad ostacolare lo svolgimento delle procedure di gara in modo da preservare una storica posizione monopolistica nei territori definiti “aree bianche” ed evitare così l’ingresso sul mercato della società legittima aggiudicatrice delle gare di appalto; (ii) in secondo luogo volte ad accaparrarsi preventivamente la clientela sul nuovo segmento dei servizi di telecomunicazioni al dettaglio a banda ultralarga, anche con politiche commerciali anticoncorrenziali (prezzi non replicabili, lock-in). In aggiunta a tali ipotesi di alterazione della normale concorrenza, in data 14 febbraio 2018 l’Autorità Antitrust ha inserito un ulteriore motivo di analisi alla sua valutazione istruttoria. È stata infatti deliberata un’estensione oggettiva dell’ambito del provvedimento, con riferimento “alle condotte concernenti la strategia dei prezzi wholesale della Società sul mercato dei servizi di accesso all’ingrosso a banda larga e ultralarga e l’utilizzo delle informazioni privilegiate riguardanti la clientela degli operatori alternativi alla Società sul mercato dei servizi di telecomunicazione al dettaglio a banda larga e ultralarga”.

L’ESSENZA DEL PROVVEDIMENTO:
In seguito ad una lunga fase istruttoria, in data 25 febbraio 2020 l’AGCM ha ufficialmente deciso di imporre una sanzione pecuniaria pari a 116 milioni di euro nei confronti della Società, considerata responsabile per aver intenzionalmente posto in essere condotte anticoncorrenziali le quali, complessivamente considerate, hanno permesso di integrare una strategia qualificabile come di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE. Nello specifico, la Società è stata ritenuta responsabile per aver messo in atto “condotte indirizzate a preservare il suo potere di mercato nella fornitura dei servizi di accesso alla rete fissa e dei servizi di telecomunicazioni alla clientela finale” e per aver “posto ostacoli all’ingresso di altri concorrenti, impedendo sia una trasformazione del mercato secondo condizioni di concorrenza infrastrutturale, sia il regolare confronto competitivo nel mercato dei servizi al dettaglio rivolti alla clientela finale”. Di fatto, sono state pienamente accolti i primi due punti di contestazione evidenziati nelle segnalazioni iniziali ed è stata dunque accertata la responsabilità della Società nell’aver ostacolato lo svolgimento delle gare di appalto nell’ambito della Strategia nazionale banda ultra-larga del governo. Dall’altro lato, invece, è integralmente decaduto il punto relativo alla presunta strategia di pricing posta in essere da parte della Società unito al presunto utilizzo delle informazioni privilegiate sui clienti degli operatori alternativi.

Per tali ragioni, l’AGCM ha deciso di imporre una sanzione di carattere pecuniario notevolmente afflittiva al fine di garantire la necessaria deterrenza rispetto al verificarsi di possibili condotte anticoncorrenziali future. In ogni caso, nel quantificare la sanzione, l’Autorità Antitrust ha valutato positivamente la condotta tenuta dalla Società nella fase conclusiva del procedimento istruttorio, volta ad assicurare che le offerte promozionali presentate avessero condizioni economiche complessive pienamente replicabili da altri operatori concorrenti.

Con riferimento al pagamento di tale sanzione, l’AGCM ha precisato inoltre di aver differito il termine ultimo per l’adempimento al prossimo 1 ottobre 2020, “in considerazione delle gravi difficoltà che sta affrontando il sistema produttivo del nostro paese, derivanti dalla straordinaria emergenza epidemiologica da COVID-19, nonché dell’importo elevato”.

Da ultimo, la Società ha immediatamente comunicato le sue perplessità in merito alla severa pronuncia, definendo come ingiustificata la sanzione pecuniaria imposta dall’Autorità Antitrust e annunciando altresì una chiara volontà di ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale (“TAR”).

[1] È possibile consultare l’integrale provvedimento al seguente link: https://www.agcm.it/dotcmsdoc/allegati-news/A514%20chiusura.pdf
[2] Le aree a fallimento di mercato sono comunemente definite le c.d. “aree bianche”, a causa delle loro caratteristiche di scarsa densità abitativa e di dislocazione frastagliata sul territorio per le quali solo l’intervento pubblico diretto può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività. In assenza di sussidi pubblici, infatti, il mercato di per sè non giustificherebbe l’infrastrutturazione innovativa in tali aree.

Paolo Rovera e Alessandro Bura


IL MARCHIO DI ABBIGLIAMENTO STREETWEAR “BOY LONDON” DICHIARATO NULLO PERCHE’ CONTRARIO AL BUON COSTUME.

04/03/2020

Con la recente decisione n. 20 461 C, la Divisione di Annullamento dell’EUIPO ha dichiarato la nullità del marchio “BOY LONDON”, in quanto evocativo della simbologia nazista e dunque contrario al buon costume ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lett. f), RMUE.

 

Il fatto
La Divisione di Annullamento dell’EUIPO, con la decisione del 20 dicembre 2019, ha sancito la nullità del marchio di abbigliamento BOY LONDON, in quanto contrario al buon costume ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), RMUE.
Il marchio figurativo in questione conteneva una componente figurativa raffigurante un’aquila ad ali spiegate con lo sguardo rivolto verso destra che poggia i propri artigli sulla lettera “O” dell’elemento verbale “BOY”, trascritto in carattere maiuscolo sotto l’immagine dell’aquila. Al di sotto della parola “Boy”, compare il termine “London” in caratteri significativamente più ridotti:

Le argomentazioni della parte richiedente vertevano sull’assunto che il segno contestato fosse una palese ripresa del cosiddetto “Parteiadler”, uno degli emblemi del Partito Nazionalsocialista tedesco:
La contrarietà al buon costume e all’ordine pubblico come causa di nullità dei marchi
Come noto, l’articolo 7, paragrafo 1, lett. f), RMUE vieta la registrazione di marchi contrari all’ordine pubblico e al buon costume. La formulazione di tale principio è molto ampia e necessita un’applicazione prudente che tenga in considerazione da un lato il diritto degli operatori commerciali di utilizzare liberamente segni che intendono registrare come marchi e dall’altro lato il diritto del pubblico di non essere turbato da marchi offensivi, minacciosi o ingiuriosi. La ratio sottesa al divieto di registrazione dei marchi contrari al buon costume a all’ordine pubblico consiste non tanto nell’evitare l’utilizzo commerciale del segno, quanto di evitare la registrazione del marchio nei casi in cui la concessione del monopolio sarebbe contraria ai principi fondamentali e morali dello Stato di diritto. Pare necessario precisare, inoltre, che l’articolo 7, paragrafo 2 stabilisce che il paragrafo 1, lett. f) del medesimo articolo si applica anche se gli impedimenti esistono soltanto in una parte della Comunità. La valutazione dell’esistenza dell’impedimento alla registrazione per contrarietà a ordine pubblico o buon costume non può, in ogni caso, basarsi né sulla percezione della parte del pubblico facilmente impressionabile o offendibile, né sulla percezione della parte del pubblico imperturbabile, ma deve essere effettuata sulla base di criteri di una persona ragionevole (cfr. 14/11/2013, Ficken Liquors, T-54/13, EU:T:2013:593). Ai fini dell’esame degli impedimenti alla registrazione per contrarietà al buon costume o ordine pubblico, la Divisione di Annullamento – anche nella decisione in commento – ricorda che il pubblico di riferimento non può essere circoscritto al pubblico destinatario dei prodotti e servizi per i quali la registrazione è richiesta, ma, di contro, è necessario tener conto che il segno contrario all’ordine pubblico o al buon costume potrebbe offendere chi ci si potrebbe trovare accidentalmente di fronte nella propria vita quotidiana.

La decisione della Divisione di Annullamento
La Divisione di Annullamento, accogliendo la tesi della parte richiedente, ha dichiarato il marchio in oggetto contrario al buon costume, in quanto il “messaggio evocato dal segno e percepito dal pubblico richiama la simbologia nazista” e pertanto nullo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lett. f), RMUE, in combinato disposto con l’articolo 59, paragrafo 1, lett. a).
In primo luogo, dal punto di vista visivo, la Divisione di Annullamento ha ritenuto che il pubblico rilevante possa percepire il marchio contestato come un riferimento alla simbologia nazista, nonostante il marchio, a differenza del Parteiadler, non mostri la svastica e riporti l’elemento denominativo BOY LONDON. L’omissione della svastica e l’aggiunta dell’elemento denominativo, tuttavia, non alterano la percezione che il pubblico ha del marchio, secondo la valutazione della Divisione di Annullamento che fa riferimento alle conclusioni rese dell’Avvocato generale Bobek nella causa 240/18P. In quella sede l’Avvocato generale aveva riscontrato che “il buon costume si riferisce a valori e convinzioni a cui una determinata società aderisce in un dato momento (…). A differenza della natura discendente dell’ordine pubblico, il buon costume si sviluppa dall’alto verso il basso”. Per questo motivo, per valutare se un segno è contrario al buon costume, è necessario avvalersi di mezzi di prova relativi al caso specifico per accertare come il pubblico di riferimento reagirebbe se il segno fosse apposto sui corrispondenti prodotti o servizi.
Nel caso di specie, a sostegno della propria argomentazione la richiedente depositava, tra l’altro, diversi articoli di giornali, riviste e forum online nei quali sia i consumatori, sia i mass media accostavano il marchio contestato alla simbologia nazista. Tale documentazione dimostrava come, benché non tutti gli utenti siano concordi con ritenere che il marchio contestato rimandi alla simbologia nazista, “una parte non marginale del pubblico percepisca l’aquila contenuta nel segno come riferimento all’emblema nazista” (cfr. pag. 16 Decisione di Annullamento n. 20 461 C).
Tutto ciò considerato, la Divisione di Annullamento ha quindi dichiarato nullo il marchio contestato stabilendo che esso rinvia al partito nazista e trasmette un’immagine che viene percepita dal pubblico rilevante come un riferimento a un’ideologia contraria ai valori fondamentali dell’Unione Europea. In particolare, “il MUE contestato è pertanto di natura tale da scioccare o offendere, non solo le vittime dei massacri operati dal partico nazista, ma anche chiunque, nel territorio dell’Unione, si trovi di fronte a detto marchi e abbia un normale grado di sensibilità e tolleranza”.

Paolo Passadori


COMBATTERE Il CORONAVIRUS E PROTEZIONE DELLA PRIVACY AL BIVIO: L’ORDINANZA D’EMERGENZA CON AMPI POTERI APPROVATA DAL GARANTE PRIVACY – UN EQUILIBRIO (IN)DELICATO

25/02/2020

L’ordinanza n. 630 adottata il 3 febbraio 2020 come misura urgente per combattere la diffusione del Coronavirus è stata approvata dal Garante per la Privacy. L’ordinanza conferisce ampie autorizzazioni al trattamento dei dati al personale della Protezione Civile, un organismo governativo che risponde al Presidente del Consiglio dei Ministri. Tale trattamento dei dati può comprendere la comunicazione all’interno della Protezione Civile e può riguardare i delicati aspetti disciplinati dagli articoli 9 e 10 del Regolamento Privacy dell’Unione Europea n. 679/16 ovvero aspetti come l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona nonché i dati relativi a condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza.

 

Il quadro giuridico
A causa della diffusione del Coronavirus, il Consiglio dei ministri, il 31 gennaio 2020, ha dichiarato lo stato di emergenza per un periodo di sei mesi. La Protezione Civile, basandosi su una ampia struttura di corpi governativi, amministrativi, regionali e locali, aveva elaborato una bozza di ordinanza contenente i primi provvedimenti urgenti con ampie autorizzazioni che limitavano le libertà civili dei cittadini, prevedendo al tempo stesso eccezioni ed un abbassamento dello standard di protezione della privacy. L’ordinanza è stata adottata a seguito dell’approvazione pervenuta dal Garante Privacy. L’unica osservazione del Garante riguardava la necessità di prevedere misure che garantissero che, al termine del semestre, tutte le amministrazioni coinvolte nelle attività della Protezione Civile, adottassero misure idonee a far rientrare il trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito dell’emergenza nelle competenze e nelle norme ordinarie che disciplinano il trattamento dei dati personali. Per quanto riguarda il quadro normativo europeo, si precisa che ai sensi dell’art. 9 comma 2 lett. i del Regolamento Privacy n. 679/16 il trattamento di alcuni dei dati di cui sopra può essere legittimo e necessario. Ciò per esempio per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero. In questi casi, la legge dovrà garantire “misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale”.
Un equilibrio (in)delicato
La menzionata ordinanza n. 630 della Protezione Civile del 3 febbraio 2020 contiene un rinvio ai principi generali stabiliti dall’art. 5 del Regolamento Privacy dell’Unione Europea n. 679/16 ma non contiene misure specifiche per la salvaguardia dei diritti e delle libertà della persona interessata. Quest’ultimo aspetto è di particolare rilevanza in quanto, secondo il quotidiano ItaliaOggi, edizione del 25 febbraio 2020, il trattamento autorizzato dei dati nei confronti dei cittadini sospettati di infezione non si limiterebbe alle forme tradizionali di trattamento dei dati ma potrebbe comprendere anche l’analisi dei dati di comunicazione mobile e la geo-localizzazione al fine di stabilire possibili catene di contatti. Un altro aspetto preoccupante riguarda l’espressa autorizzazione alla Protezione Civile a trattare anche dati “relativi a condanne penali e reati o misure di sicurezza connesse”. Tale possibilità non è coperta dall’eccezione prevista dal diritto dell’Unione Europea, ovvero l’art. 9 comma 2 Regolamento Privacy. Ulteriori modifiche, prima della fine della situazione di emergenza, che garantiscano un’adeguata protezione delle persone interessate appaiono necessarie e inevitabili.

Tankred Thiem


ANTITRUST: LA COMMISSIONE UE INFLIGGE A UNIVERSAL UNA MULTA DI 14,3 MILIONI DI EURO PER I LIMITI NEL MERCHANDISING

18/02/2020

Diverse società appartenenti a Comcast Corporation, inclusa la major cinematografica NbcUniversal, sono state multate dalla Commissione europea con una sanzione di 14,3 milioni di euro per aver limitato la vendita del merchandising di prodotti legati a film come Minions, Jurassic World e Trolls all’interno del mercato europeo.

 

Le indagini della Commissione:
La Commissione ha avviato, nel giugno 2017, un’indagine antitrust su alcune pratiche di concessione di licenze e distribuzione di NbcUniversal per valutare se essa avesse illecitamente impedito ai licenziatari e distributori di vendere liberamente, all’interno del mercato unico dell’UE, i prodotti dei marchi NbcUniversal per la produzione e la vendita di prodotti, tra cui Minions, Jurassic World, Trolls e altri film della NbcUniversal.
L’indagine della Commissione ha rilevato che gli accordi di licenza non esclusivi di NbcUniversal hanno violato le regole di concorrenza dell’UE poiché essi contenevano, in particolare, clausole che limitavano le vendite al di fuori del territorio, a clienti assegnati, nonché le vendite online, con l’obbligo di pagare alla licenziante i ricavi generati da tali vendite. NbcUniversal, inoltre, obbligava i licenziatari a trasmettere queste restrizioni di vendita ai propri clienti, incoraggiando il rispetto delle restrizioni di vendita anche tramite audit che potevano comportare la risoluzione o il mancato rinnovo dei contratti di licenza.
La Commissione ha concluso che le pratiche illegali di NbcUniversal, in vigore da oltre 6 anni e mezzo (dal 1° gennaio 2013 al 25 settembre 2019), hanno compartimentato il mercato unico e impedito ai licenziatari in Europa di vendere i prodotti a livello transfrontaliero e tra gruppi di clienti, a scapito dei consumatori europei. La vicepresidente esecutiva con delega alla concorrenza Margrethe Vestager ha infatti dichiarato che “Queste restrizioni significavano che i negozi non potevano scegliere liberamente quali prodotti ordinare da diversi distributori europei. Un grande magazzino in Spagna non poteva vendere pigiami con E.T., perché al produttore belga di quei pigiami era vietato vendere in Spagna. L’extra-terrestre era riuscito a raggiungere la Terra, ma è stato fermato in Spagna a causa di una restrizione contrattuale. Nel frattempo, un adolescente in Svezia non poteva acquistare online una maglietta con il personaggio del film “The Big Lebowski”. Quindi, a causa di queste restrizioni, i consumatori hanno perso la possibilità di scegliere, magari anche a prezzi più bassi”.
La stessa Vestager ha rilevato come l’indagine di settore sui mercati dell’e-commerce condotta dalla Commissione nel 2017 abbia accertato un aumento delle restrizioni territoriali sia nei contratti di vendita di beni di consumo online, sia in quelli per la concessione di licenze per prodotti digitali. Ed è per questo che la lotta a tali restrizioni anticoncorrenziali è divenuta una priorità per la Commissione.
Di fatti, come dichiarato dalla Vestager, la somma totale delle multe che la Commission ha inflitto alle imprese per aver creato barriere al commercio transfrontaliero nel mercato unico ammonta a 184 milioni di euro dal maggio 2017 (solo nell’ultimo anno ci sono state due condanne significative nei confronti di due importanti aziende per 12,5 milioni di euro e 6,2 milioni di euro).
Questa operazione è collegata ad altre attività della Commissione, come ad esempio quelle per controllare l’effettivo rispetto del regolamento sul geoblocking (UE) 2018/302, che mira ad eliminare le restrizioni geografiche ingiustificate negli acquisti online.

La cooperazione di NbcUniversal:
Va riconosciuto che la NbcUniversal ha cooperato con la Commissione, al di là dell’obbligo giuridico, riconoscendo l’infrazione e fornendo prove supplementari che completassero l’indagine e rinunciando ad alcuni diritti procedurali che hanno comportato efficienze amministrative.

La sanzione
La multa è stata calcolata, sulla base degli orientamenti della Commissione del 2006 (cfr. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_06_857) tenendo conto, in particolare, del valore delle vendite relative all’infrazione, della sua gravità e durata. La collaborazione di NbcUniversal ha tuttavia prodotto una riduzione dell’ammenda del 30%, che è stata quindi definita in €14.327.000,00.

Azione di risarcimento danni
Fermo restando la sanzione della Commissione Europea, permane il diritto per tutti i soggetti danneggiati dalla condotta di NbcUniversal di chiedere il risarcimento dei danni innanzi ai giudici nazionali. La Commissione ha infatti ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia e il regolamento n. 1/2003 del Consiglio, una decisione della Commissione costituisce una prova vincolante del fatto che il comportamento ha avuto luogo ed è stato illecito.

Gli sviluppi descritti dimostrano ancora una volta il valore di un sistema di verifica costante del patrimonio contrattuale, soprattutto per quanto riguarda contratti di licenza, in modo che sia rispettata la normativa europea a tutela della concorrenza nel libero mercato nonché il recente regolamento in materia di geoblocking.

Margherita Stucchi e Tankred Thiem


AMBUSH MARKETING: IL GOVERNO IN CAMPO PER SMASCHERARE UN AGGUATO PUBBLICITARIO ANNUNCIATO

11/02/2020

In data 13.01.2020 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di DDL per il contrasto alla pratica della “pubblicizzazione parassitaria” (nella prassi definita “ambush marketing”), ossia l’illecita associazione di un marchio di un’impresa terza ad un evento internazionale, al solo fine sfruttarne la risonanza mediatica e senza sopportare i costi di sponsorizzazione. Si tratta del primo tentativo del Legislatore italiano di disciplinare in maniera organica il fenomeno (e non per singoli eventi), prevedendo anche sanzioni amministrative di diretta applicazione da parte di AGCM.

 

Ambush marketing: definizione del fenomeno
Il fenomeno “dell’ambush marketing” è stato definito come l’indebito vantaggio acquisito dal concorrente sleale che associa abusivamente la propria immagine ed il proprio marchio ad un evento di particolare risonanza mediatica, senza essere legato da rapporti di sponsorizzazione (o simili) con l’organizzazione della manifestazione. In tal modo il concorrente sleale si avvantaggia dell’esposizione mediatica dell’evento senza sopportarne i costi, con conseguente indebito agganciamento ed interferenza negativa con i rapporti contrattuali tra organizzatori dell’evento e soggetti autorizzati.
Secondo la dottrina (1) , l’imboscata, pianificata e condotta dal concorrente sleale, può realizzarsi con le modalità più differenti, tra cui:
i) “predatory ambush” o ambush per associazione, consistente nell’associazione all’evento tramite l’uso non autorizzato di segni distintivi o evocativi dello stesso, oppure tramite richiami indiretti;
ii) “insurgent ambush”, attraverso la realizzazione di iniziative a sorpresa in prossimità dell’evento;
iii) “saturation ambush”, a fronte dell’intensificarsi delle attività promozionali del concorrente sleale sino a saturare tutti gli spazi pubblicitari lasciati liberi dallo sponsor ufficiale.
Lungi dall’essere una classificazione tassativa ed organica, il fenomeno “ambush marketing” (e le sue variegate applicazioni pratiche) ha sinora trovato tutela nei Tribunali italiani sulla base della normativa della concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 cod. civ. come generica scorrettezza professionale del concorrente sleale che sfrutti parassitariamente la pubblicità altrui (anche quale lesione del decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145) (2). Quanto alle norme di autoregolamentazione nel campo pubblicitario, è frequente la riconduzione della fattispecie tra i messaggi pubblicitari sleali, ingannevoli e comunque ad evidente natura parassitaria (articoli 1, 2 e 13 Codice Autodisciplina Pubblicitaria) (3).
L’ambush marketing ha avuto in passato discipline temporanee che si sono esaurite al termine del singolo evento per il quale tali regolamentazioni sono state emanate (tra queste citiamo la l. n. 167 del 17 agosto 2005 emanata in vista dello svolgimento dei Giochi invernali “Torino 2006”).

Le previsioni incluse nello schema di DDL
Per la prima volta in Italia il Legislatore è intenzionato a disciplinare in maniera organica il fenomeno dell’ambush marketing, attraverso la creazione di uno specifico illecito amministrativo sotto la vigilanza dell’Autorità della Concorrenza e del Mercato che potrà irrogare sanzioni fino ad Euro 2,5 milioni, senza pregiudizio per le altre norme vigenti (civili e penali).
Tuttavia, lo schema di DDL intende disciplinare esclusivamente alcune tipologie di condotte che vengono tassativamente definite illecite e limitate nell’oggetto e nel tempo.
Quanto all’oggetto, tra le condotte vietate – limitate agli eventi sportivi, fieristici o di spettacolo di rilevanza nazionale o internazionale – sono previste le seguenti:
• creazione di un collegamento indiretto fra un segno distintivo e un evento idoneo a indurre in errore il pubblico sull’identità degli sponsor ufficiali;
• dichiarazione nella propria pubblicità di essere sponsor ufficiale di un evento, senza esserlo;
• promozione di un segno distintivo tramite qualunque azione idonea ad attirare l’attenzione del pubblico, non autorizzata dall’organizzatore, che sia posta in essere durante un evento o in luoghi attigui a quello in cui l’evento si tiene;
• vendita e la commercializzazione di prodotti o servizi contraddistinti anche in parte con il logo di un evento o con altri segni distintivi idonei a indurre in errore o ingenerare l’impressione di un collegamento indiretto con l’evento.
Sono escluse dalle condotte illecite quelle poste in essere in esecuzione di contratti conclusi con singoli atleti, squadre, artisti o partecipanti agli eventi tutelati, così da non vanificare i contratti di sponsorizzazione sottoscritti da questi soggetti (con effetti evidentemente anticoncorrenziali).
Quanto alla limitazione temporale, si prevede che i divieti operano dal novantesimo giorno antecedente alla data ufficiale di inizio degli eventi rilevanti sino al novantesimo giorno successivo alla data ufficiale del termine degli eventi stessi.

Conclusioni
Lo schema di DDL è stato dichiaratamente messo a punto in vista dell’approssimarsi della competizione calcistica d’interesse europeo “EURO 2020” – che vedrà disputare alcune partite del torneo anche in Italia – al fine di chiarire ciò che il Legislatore ha definito come “zone d’ombra” nella tutela concorrenziale avverso il parassitismo pubblicitario. L’intento pare certamente lodevole visto che il Legislatore per la prima volta intende tipizzare le condotte ritenute illecite, prevedendo uno strumento ulteriore per reprimere condotte concorrenziali illecite che spesso non vengono sanzionate poiché si presentano in molteplici forme e, molte volte, ritenute estranee ai tradizionali illeciti concorrenziali. Tuttavia, la tendenza del Legislatore ad affidare compiti sempre più estesi ad autorità amministrative indipendenti (come AGCM nel caso di specie) potrebbe presentare svantaggi, nella misura in cui da una parte le garanzie giurisdizionali siano minori (rispetto al tradizionale ricorso al giudice) e dall’altra parte non vengano previste adeguate risorse per l’enforcement e così vanificare l’effettività dell’azione.
A questo punto non resta che attendere “EURO 2020” per verificare se le misure previste dallo schema di DDL qui in commento saranno in grado di “smascherare” le imboscate pubblicitarie che – certamente – verranno messe in atto durante la competizione.

(1) Tra gli altri si veda UBERTI, Concorrenza sleale – l’Ambush marketing come illecito anticoncorrenziale, in Giur. It., 2018, 10, 2159.
(2) Tra le altre si vedano le decisioni del Tribunale di Milano, del 15.12. 2017 e del 18.01.2018 entrambe in Foro it. 2018, 7-8, I, 2528
(3) In particolare, si veda pronuncia IAP n. 052/2014 dell’08.07.2014 in AIDA 2016, 1735

Alessandro Bura