IL DATO INFORMATICO È UNA COSA MOBILE SUSCETTIBILE DI APPROPRIAZIONE INDEBITA

06/05/2020

È quanto recentemente stabilito dalla seconda sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 11959 del 10 aprile 2020.

 

Il fatto.
La vicenda oggetto della pronuncia in commento origina dalla condotta contestata all’imputato, il quale prima di rassegnare le proprie dimissioni dalla società di cui era dipendente, aveva restituito alla società il notebook aziendale con l’hard disk formattato, senza traccia dei dati informatici originariamente presenti. Questi ultimi venivano in parte rinvenuti copiati sul computer personale dell’imputato. Con sentenza del 30 giugno 2017 il Tribunale di Torino condannava l’imputato ascrivendo la sua condotta al reato di danneggiamento di sistema informatico previsto dall’art. 635 quater c.p.. La decisione del giudice di prime cure veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Torino, che con sentenza del 14 giugno 2018 assolveva l’imputato da tale reato ma al contempo lo condannava al diverso delitto di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p.. Ricorreva in Cassazione l’imputato, che domandava la propria assoluzione dal reato di appropriazione indebita adducendo che lo stesso non avrebbe potuto configurarsi data l’impossibilità di qualificare il dato informatico come una “cosa mobile”, elemento costitutivo del reato in questione assieme al denaro. I giudici di legittimità, discostandosi dal filone giurisprudenziale prevalente, dichiaravano infondato il primo motivo di ricorso dell’imputato ed affermavano che il dato informatico, per caratteristiche e funzioni, ben può essere considerato una cosa mobile ai sensi della legge penale e dunque integrare le figure di reato previste dal legislatore che sanzionano la sua indebita sottrazione e/o appropriazione.

L’orientamento giurisprudenziale precedente e la nozione di “cosa mobile”.
L’iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte trae origine dalla constatazione che manca nel sistema normativo penale italiano una definizione positiva di cosa mobile, se non nella disposizione di cui al secondo comma dell’art. 624 c.p., che con riferimento specifico al delitto di furto equipara alla cosa mobile “l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico”. L’assenza di una definizione normativa rende pertanto necessario lasciare all’interprete il compito di attribuire ad essa il significato più congruo e adeguato anche in considerazione dell’evoluzione sociale e tecnologica registrabile nel tempo.
Sulla base di tale premessa la Corte passa in rassegna alcune (anche relativamente recenti) pronunce di legittimità ancorate alla nozione tradizionale di “cosa mobile”. Tali pronunce identificano quale necessario elemento strutturale della cosa mobile la sua intrinseca capacità di formare oggetto di materiale apprensione, detenzione, sottrazione, impossessamento ed appropriazione. Carattere che mancherebbe quando si ha a che fare con i c.d. beni “immateriali”, quali appunto i dati informatici. Questi, non potendo essere materialmente percepiti dal punto di vista sensoriale, non potrebbero formare oggetto di sottrazione o (in questo caso) di appropriazione se non nelle limitate ipotesi in cui simili condotte abbiano ad oggetto i supporti fisici (ad es. l’hard disk) contenenti i dati informatici.

L’evoluzione interpretativa.
Ad opinione dei giudici della Corte siffatto orientamento merita di essere superato in favore di una lettura più moderna e aggiornata della nozione di cosa mobile, che tenga conto del mutato panorama delle attività che l’uomo è in grado di svolgere mediante le apparecchiature informatiche. È infatti innegabile che l’evoluzione tecnologica ed informatica ha progressivamente dato vita a innumerevoli esempi di beni ed entità che – per quanto non fisicamente apprensibili – sono comunque dotati di quei caratteri di materialità e fisicità che consentono il loro spostamento da un luogo a un altro e – di conseguenza – la loro illegittima appropriazione e sottrazione. “Cosa mobile”, dunque, non (più) come bene suscettibile di apprensione fisica ma come bene dotato di una sua fisicità e suscettibile di spostamento.

La nozione di file e il giudizio della Corte.
Nel nuovo contesto così delineato appare chiaro alla Corte che anche il file e il dato informatico debbano rientrare nella nozione di cosa mobile ai sensi della legge penale. Il file, scrive la Corte, altro non è che un insieme di dati informatici archiviati o elaborati al suo interno. Si tratta, in altre parole, di una struttura digitale all’interno della quale viene archiviato e memorizzato un determinato numero di dati. Una simile struttura possiede certamente una propria dimensione fisica, determinata dal numero delle componenti necessarie per l’archiviazione e la lettura dei dati inseriti al suo interno: tali elementi non sono entità astratte (immateriali stricto sensu), ma occupano fisicamente una porzione di memoria quantificabile e possono subire operazioni perfettamente registrabili dal sistema operativo, quali la creazione, la copiatura e l’eliminazione.
Il file, dunque, pur difettando del requisito di una apprendibilità materialmente percepibile, è comunque connotato da una indubitabile fisicità e materialità, come dimostra il fatto che un qualsiasi file digitale ben può essere trasferito da un supporto informatico all’altro, viaggiare attraverso la rete internet, essere custodito e conservato all’interno di ambienti virtuali (cloud), il tutto a prescindere dalla sua collocazione all’interno di strutture fisiche direttamente apprensibili dall’uomo. Sulla base di tale doverosa interpretazione, conclude la Corte, il file informatico non solo può ma addirittura deve essere considerato come una cosa mobile, presentando tutte le caratteristiche che confermano il presupposto logico della possibilità di formare oggetto delle condotte di sottrazione ed appropriazione rilevanti nei reati contro il patrimonio.
Ricorda la Corte che la bontà giuridica di una simile interpretazione trova del resto ulteriore conferma compiendo un doveroso parallelismo con il denaro, il quale ultimo è stato espressamente indicato dal legislatore penale come oggetto della condotta di appropriazione indebita, insieme appunto alla cosa mobile. Ebbene il denaro, alla stessa stregua dei file informatici, è chiaramente suscettibile di operazioni contabili, così come di trasferimenti giuridicamente efficaci, anche in assenza di una materiale apprensione delle unità fisiche che rappresentano l’ammontare del denaro oggetto; ugualmente, sono perfettamente configurabili condotte dirette alla sottrazione o all’impossessamento del denaro anche in assenza di alcun contatto fisico con il denaro, attraverso operazioni bancarie disposte telematicamente.

Il principio di diritto.
Sulla base di tali considerazioni i giudici di legittimità hanno ritenuto di dovere superare il precedente orientamento giurisprudenziale mediante l’affermazione del seguente principio di diritto: “i dati informatici (files) sono qualificabili come cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer formattato”. Sarà sufficiente un simile cambio interpretativo per rendere concreta ed effettiva la tutela dei file digitali, porzione fondamentale degli attuali asset immateriali di qualsiasi azienda?

Giorgio Rapaccini