PARODIA: ENNESIMO “STRESS TEST” PER LA TUTELA DEI MARCHI RINOMATI

04/10/2019

La Cassazione penale ha ritenuto legittima la riproduzione parodistica di marchi notori a fronte dell’inidoneità dei prodotti sequestrati ad ingenerare confusione presso il pubblico circa l’origine imprenditoriale degli stessi, non ritenendo integrati i reati di cui agli articoli 473 e 474 c.p.

 

La vicenda

La vicenda in esame riguarda la commercializzazione di capi di abbigliamento a marchio “FAKE LAB” in cui vengono riprodotti – in chiave ironica – marchi famosi senza l’autorizzazione (ovviamente) dei titolari dei diritti. A seguito di sequestro probatorio dei prodotti recanti i detti marchi e della successiva convalida della misura cautelare adottata per violazione degli articoli 473 e 474 c.p., la questione è giunta sino alla sezione penale della Suprema Corte che si è trovata ad affrontare la spinosa questione della riproduzione “parodistica” di marchi notori.

Decisione della Corte

La Corte ha ritenuto legittima la riproduzione parodistica (ovvero artistica/descrittiva) dell’altrui marchio notorio da parte di “FAKE LAB” poiché il pubblico non sarebbe confuso circa l’origine imprenditoriale dei prodotti a fronte dell’inidoneità dei prodotti sequestrati a confondersi con gli “originali”. A detta della Corte la riproduzione dell’altrui marchio notorio sarebbe legittima ogniqualvolta il marchio sia utilizzato con palesi finalità ironiche e parodistiche per la creazione di prodotti nuovi ed originali (come nel caso di “FAKE LAB”). Tali forme di riproduzione sarebbero idonee ad escludere la confondibilità tra prodotti e di conseguenza l’integrazione dei reati di cui agli articoli 473 e 474 c.p. a fronte della semplice riproduzione parodistica dei marchi notori. Ciò poiché non verrebbe lesa la funzione primaria del marchio, ossia l’indicazione d’origine (sulla base del presupposto che i consumatori sarebbero in grado di comprendere che essi starebbero per acquistare una parodia dell’originale e non l’originale stesso).

Contrasto di decisioni

La decisione della Suprema Corte, seppur resa in materia penale, è destinata a riaccendere il dibattito giurisprudenziale e dottrinale in materia di libere utilizzazioni dei marchi a fini parodistici/satirici, soprattutto in relazione ai marchi notori. La conferma dell’incertezza in cui versano le libere utilizzazioni parodistiche in materia di marchi è data dalla lettura della recente giurisprudenza della stessa Cassazione penale che, poche settimane prima della decisione qui in commento, si era espressa in senso opposto in relazione all’impugnazione di un provvedimento di sequestro di capi a marchio “FAKE LAB” (ebbene sì, il medesimo marchio), ritenendo – all’opposto rispetto alla decisione qui commentata – che fosse verificata un ipotesi di reato reato ai sensi dell’art. 474 c.p. (Cass. pen. Sez. II, 07.11.2018 n. 9347 in banca dati on-line DeJure). In quella sede la Corte precisava che la tutela dell’art. 474 c.p. riguarda non già la determinazione del singolo acquirente nell’acquisto ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nella genuinità dei segni distintivi. Ne sarebbe derivato che, solo in caso di falso grossolano o qualora fosse totalmente escluso ogni pericolo di confondibilità dell’acquirente, la punibilità dell’art. 474 c.p. avrebbe potuto essere esclusa.

Parodia di marchi notori nella dottrina e giurisprudenza civile

Il dibattito circa la legittimità dell’uso in senso parodistico/satirico di marchi notori è dapprima sorto in ambito civilistico, ed è stato anche recentemente rinvigorito da alcune novità normative. La nuova direttiva marchi Ue 2015/2436 (ricordata anche dalla Corte di Cassazione nella decisone in commento) invita infatti gli Stati Membri a ritenere legittime le utilizzazioni “artistiche” di marchi registrati qualora il loro uso sia conforme ai principi della correttezza professionale e quindi non possa generare un pericolo di confusione circa l’origine imprenditoriale dei prodotti (considerando 27). Tale precisazione non è tuttora presente nell’attuale Codice di Proprietà Industriale italiano. In assenza di una disposizione normativa, la dottrina e la giurisprudenza hanno storicamente cercato di far ricadere tali utilizzi in quelli legittimi ai sensi dell’art. 21 c.p.i. (come creazione di diritto d’autore). Tuttavia, dall’analisi dei casi sottoposti al vaglio delle Corti italiane, emerge che l’oggetto della parodia (come nel caso di FAKE LAB) sono sempre stati marchi notori, ossia marchi protetti non solo avverso utilizzi confondibili ma anche contro utilizzi che possano pregiudicare l’immagine del marchio ovvero far ottenere un indebito vantaggio all’abusivo utilizzatore. Sul punto basti ricordare il caso “AGIP/ACID” in cui l’immagine del celebre cane a sei zampe è stato associato alla scritta “ACID” su magliette. In quell’occasione il Tribunale di Milano (Trib. Milano 4.3.1999, in Giur. ann. dir. ind. 3987) ha ritenuto che per determinare la contraffazione avrebbe dovuto essere accertata la lesione dell’immagine del marchio notorio parodiato e non la semplice confondibilità tra prodotti (che anche in quel caso non era stata ritenuta sussistente). Nello stesso senso si potrebbero citare le decisioni del Tribunale di Roma nel caso “GAMBERO ROSSO/GAMBERO ROZZO” (Trib. Roma, 4.2.2010, in Giur. ann. dir. ind. 2010 pag. 198) ovvero del Tribunale di Torino “DIESEL/PORCO DIESEL” (Trib. Torino, 9.3.2006, in Giur. ann. dir. ind. 2007 pag. 149) in cui, sebbene esclusa la contraffazione, il marchio parodistico è stato ritenuto lesivo dell’immagine del marchio parodiato poiché notorio. Recentemente il Tribunale di Milano, nel caso “LOUIS VUITTON/GOLDEN BOYS” (Trib. Milano, 14.9.2012, in banca dati on-line Darts.ip), ha chiarito che i marchi rinomati sono portatori non solo di un messaggio di origine imprenditoriale dei prodotti contrassegnati ma anche di un messaggio ulteriore, ossia la promessa di uno status, di una filosofia, di un lusso di cui il portatore beneficia. Tale messaggio, secondo il Tribunale, deve essere tutelato anche avverso utilizzi parodistici che possano minare l’esclusività del marchio rinomato facendo ottenere un ingiusto vantaggio al segno del soggetto parodiante.

Parodia nel diritto d’autore

In questo contesto, la difesa tipica del parodiante è rappresentata dall’affermazione secondo cui la ripresa a scopo parodistico del marchio notorio sarebbe legittima anche sulla base delle disposizioni del diritto d’autore in quanto creazione “originale” apposta sul prodotto in senso decorativo e non in funzione di marchio. Tale affermazione trova le sue basi normative nelle elaborazioni creative di un’opera protetta (art. 4 l.a.) ovvero nella scriminante della finalità di critica (art. 70 l.a.) e nella libertà d’espressione costituzionalmente garantita ai sensi dell’art. 21 Cost. La giurisprudenza italiana (Trib. Milano 1.2.2001, in AIDA 2001 pag. 659 e Trib. Milano 13.9.2004, in AIDA 2005, pag. 551) ha in più occasioni ritenuto legittima la parodia qualora si possa trattare di un rovesciamento concettuale rispetto all’opera originaria tanto da impedire qualsiasi assimilazione all’opera di derivazione, ovvero qualora la parodia – pur ispirandosi all’opera originale – la trasformi a tal punto da renderla creativa e con un significato espressivo nuovo. In assenza di questi elementi, non saremmo difronte ad un utilizzo lecito parodistico di un’opera ma ad una banale contraffazione, in grado non solo di ledere i diritti di sfruttamento economico dell’autore ma anche (in alcuni casi) i suoi diritti morali.

Parodia e altri interessi pubblici

Circa la lesione dei diritti morali dell’autore ovvero dell’immagine commerciale dell’imprenditore sul mercato è opportuno introdurre un’ulteriore riflessione, ossia se la parodia, anche qualora lecita sulla base di quanto discusso, non sia in grado di ledere interessi di terzi ovvero essa possa essere contraria alla morale pubblica. In talune circostanze infatti la parodia può spingersi oltre il confine della morale pubblica, sfociando in parolacce, bestemmie e immagini contrarie a qualsiasi morale ed in grado di ledere (in ipotesi) l’immagine altrui. Basti pensare al già citato caso giudiziale “DIESEL/PORCO DIESEL” ovvero alla proliferazione di pagine social dedicate alla parodia e satira che si possono essere considerate, nella maggior parte dei casi, contrarie alla morale pubblica (si pensi a www.instagram.com/welcometofavelas__/?hl=it). In questi casi non si potrà che classificare il marchio parodistico come radicalmente illegittimo anche per contrarietà alla morale pubblica.

Conclusioni

La sentenza della Corte di Cassazione qui commentata non sembra poter porre la parola fine al dibattito in tema di utilizzo parodistico del marchio altrui, che resta un terreno particolarmente insidioso, alla luce dei contrasti giurisprudenziali esistenti e dei molteplici temi che debbono essere analizzati al fine di valutare le circostanze di fatto. D’altro canto, è evidente che il trend dell’uso parodistico del marchio è in costante crescita e che presto le nostre Corte saranno chiamate ad un nuovo “stress test” relativo alla resistenza dei marchi rinomati nei confronti del loro utilizzo in forma parodiata. Non sappiamo ancora quali saranno le contromosse studiate dai titolari dei marchi notori in sede giudiziaria; dal punto di vista commerciale sembra affermarsi un interessante orientamento secondo cui gli stessi titolari dei marchi ne realizzano versioni parodiate, come si può vedere nel recente utilizzo del marchio ADIDAS da parte della casa di moda tedesca:

https://www.adidas.ch/it/t-shirt-shmoo/EC7373.html