CASO LOUBOUTIN: INTERESSANTE DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DELLE PIATTAFORME DI SERVIZI E-COMMERCE PER USO DEL MARCHIO SENZA CONSENSO DEL TITOLARE

4/05/2023

La Corte di giustizia dell’UE ha statuito che il fornitore di servizi e-commerce che presenti in modo uniforme agli utenti le offerte sulla propria piattaforma, comunicando unitamente i propri annunci e quelli di venditori terzi aggiungendo i propri segni distintivi all’insieme delle inserzioni, offrendo inoltre a venditori terzi servizi di stoccaggio e spedizione dei prodotti, può essere considerato responsabile dell’uso illecito del marchio da parte di soggetti terzi, qualora l’utente mediamente informato e ragionevolmente attento possa essere indotto a ritenere che vi sia un collegamento tra i servizi offerti dal provider e il marchio.

 

Lo stilista francese Christian Louboutin, titolare del marchio dell’Unione Europea consistente nella celebre suola rossa presente in alcuni modelli di calzature, ha agito sia in Belgio che in Lussemburgo chiedendo ai giudici nazionali la liquidazione del danno e la cessazione dell’utilizzo illecito del segno da parte della piattaforma di e-commerce Amazon. Louboutin ha sostenuto che il colosso dell’e-commerce fosse responsabile della violazione del marchio, sebbene Amazon non avesse venduto direttamente le scarpe raffiguranti il marchio in questione, ma in quanto aveva ricoperto un ruolo attivo nell’uso commerciale del segno. I legali dello stilista hanno dimostrato come sulla piattaforma fossero presenti annunci di prodotti venduti da soggetti terzi raggruppati con quelli venduti da Amazon e che quest’ultima avesse inserito tutti gli annunci nella propria comunicazione commerciale. Secondo Loubotin, tale attività non può essere ritenuta classificabile come mera intermediazione di servizi online.
Al cuore della contestazione del titolare del marchio erano le modalità in cui si articola il servizio offerto da Amazon online, che presenta uniformemente sia le offerte dei propri prodotti, sia quelle di terzi, senza alcuna differenziazione in merito alla rispettiva provenienza. Inoltre, il servizio offre su richiesta dei soggetti terzi attività ulteriori che consistono, in particolare, nello stoccaggio e nella spedizione dei prodotti, informando i potenziali clienti che Amazon svolge tali servizi.
La fattispecie in parola va esaminata alla luce della disposizione normativa di cui all’art. 9 co. 2, lett. a) del Regolamento UE n. 2017/1001 sul marchio dell’Unione Europea, secondo cui il titolare del marchio dell’Unione Europea ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare a fini commerciali qualsiasi segno quando: “il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato”. Premesso ciò, i giudici nazionali hanno posto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea alcune questioni pregiudiziali, e in particolare se nella valutazione dell’applicabilità della norma indicata alla condotta tenuta da Amazon sia necessario considerare la percezione degli utenti della piattaforma.
Il 22 dicembre 2022 la CGUE ha emesso la propria decisione, ritenendo che il titolare del marchio ha il diritto di vietare l’utilizzo dello stesso da parte di un fornitore del servizio di e-commerce, qualora le attività di quest’ultimo inducano l’utente normalmente informato e ragionevolmente attento ad elaborare una correlazione tra i servizi offerti dal provider e il marchio. Nello specifico questa circostanza si verifica laddove l’utente sia portato ragionevolmente a pensare che i prodotti contraddistinti dal marchio in questione siano venduti direttamente dal gestore della piattaforma.
Secondo la Corte di giustizia, nella valutazione della fattispecie è particolarmente rilevante che il fornitore presenti in modo uniforme agli utenti le offerte sulla propria piattaforma, comunicando unitamente i propri annunci e quelli di venditori terzi ed aggiungendo i propri segni distintivi all’insieme delle inserzioni, offrendo inoltre a venditori terzi servizi di stoccaggio e spedizione dei prodotti.
La decisione parrebbe essere in contrasto con l’orientamento precedente della Corte di giustizia, la quale aveva ritenuto in altri arresti che l’attività del fornitore di servizi di ecommerce consistesse nella mera fornitura di strumenti tecnici per utilizzare un marchio, e come tale non fosse da considerare una circostanza determinante per affermare che il provider del servizio facesse uso del marchio ai sensi dell’art. 9 (2) (a) del Regolamento UE n. 2017/1001.
La stessa Corte ha chiarito che il caso di specie si differenzia tuttavia dai precedenti per le particolari condotte tenute da Amazon nella comunicazione agli utenti delle offerte dei prodotti veduti da terzi, che sono presentati in maniera omogenea alle offerte di prodotti venduti direttamente dal fornitore del servizio e-commerce, nonché per la circostanza che il provider fornisce anche ulteriori attività di stoccaggio e spedizione dei prodotti acquistati sulla propria piattaforma.
In conclusione, l’interpretazione della Corte di giustizia tenderebbe a favorire la tutela del marchio anche sulla rete. Spetterà ora ai giudici nazionali del Belgio e del Lussemburgo decidere nel merito e declinare il principio del giudice europeo nel caso concreto.