UN SECCO NO AL NOSECCO! L’ALTA CORTE PER L’INGHILTERRA E GALLES RIGETTA L’APPELLO IN UN NUOVO CAPITOLO DELLA PARTITA DELLE BOLLICINE. LA DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA “PROSECCO” È DI OSTACOLO ALLA REGISTRAZIONE DEL MARCHIO “NOSECCO”.

02/07/2020

Con decisione del 24 giugno, l’Alta Corte ha confermato il previo rigetto della domanda di marchio Nosecco da parte dell’Intellectual property Office del Regno Unito, ritenendo evidente l’interferenza con la parola “Prosecco”, protetta come denominazione di origine protetta ai sensi del regolamento dell’Unione Europea n. 1308/2013 e ritenendo, inoltre, palese il rischio che il segno potesse fuorviare il pubblico inglese.

 

La domanda di marchio contestata
La nota società francese Les Grand Chais de France, produttrice di uno spumante analcolico, aveva depositata nel gennaio 2018 la domanda per il seguente marchio internazionale per vini non alcoolici:

La procedura di opposizione
Contro la domanda di marchio sopra raffigurata il “Consorzio italiano per la Tutela della Denominazione di Origine Controllata Prosecco” ha proposto con successo opposizione davanti all’Intellectual Property Office del Regno Unito: l’ufficio ha sottolineato che il Regolamento UE n. 1308/2013 protegge le denominazioni di origine protette esplicitamente contro “qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione” e ciò anche qualora l’origine effettiva del prodotto sia indicata (come è avvenuto nel caso di specie). L’ufficio britannico ha anche sottolineato che il termine “evocazione” non richiede alcun rischio di confusione: sarebbe sufficiente l’aggancio al termine protetto per veicolare un nuovo messaggio al consumatore. Inoltre, il marchio sarebbe decettivo per il consumatore che ben potrebbe aspettarsi che il prodotto così indicato deriverebbe, in qualche modo, dall’elaborazione di un autentico Prosecco.

L’appello
La decisione è stata appellata dalla società francese. La combinazione della negazione iniziale “No” con l’aggettivo “secco” assumerebbe il significato di un’indicazione spiritosa ad una bevanda non secca e quindi dolce. Punto di partenza dell’argomentazione era che la conoscenza del termine italiano “secco” potrebbe essere data per scontata e ciò anche da parte di un pubblico di madre lingua inglese. Semmai la creazione fantasiosa “Nosecco” sarebbe da considerare alla stregua di una lecita parodia del termine Prosecco. Il gioco di parole potrebbe quindi essere anche interpretato come un “no” al “prosecco”, interpretazione che, per cosi dire, allontanerebbe il consumatore dal termine protetto. Per descrivere tale linea argomentativa l’appellante aveva usato il termine suggestivo “teach away”, e quindi l’espressione nota nel campo brevettuale per evidenziare l’inconciliabile distanza concettuale tra due idee. Notando che vi sarebbero “molte ragioni per cui le persone scelgono bevande analcoliche, tra cui motivi di religione, salute, basso fabbisogno calorico, serena partecipazione al traffico motorizzato”, l’appellante francese aveva insinuato implicitamente anche alla possibile rilevanza di diritti fondamentali per il presente caso. Inoltre, la decisione di rigetto si sarebbe ingiustificatamente basata sulla “presunta percezione da parte dei consumatori”, non ritenendo necessario avere una prova concreta in merito a quest’ultima.

La decisione della Alta Corte per l’Inghilterra e Galles
L’Alta Corte ha rigettato l’appello, confermando la precedente decisione di rigetto: ciò che conta non sarebbe l’intenzione dell’ideatore del segno ma, come correttamente osservato dall’ufficio, la presunta percezione da parte del pubblico. La prima associazione del pubblico, nel caso del segno “Nosecco” sarebbe il noto “Prosecco”, mentre il possibile secondo pensiero sarebbe quello derivante dalla negazione ovvero che non si tratti di un Prosecco e che non si tratti di una bevanda del gusto secco. Non vi sarebbe quindi spazio per l’applicazione di una dottrina del “teach away” nel settore dei segni distintivi. È stato inoltre ribadito come l’applicazione del criterio della “presunta percezione da parte dei consumatori”, anche senza ricorrere ad una consulenza tecnica d’ufficio, deve considerarsi confermata dalla giurisprudenza consolidata della Corte.

Nota
Da un punto di vista sistematico – concettuale, la decisione dell’Alta Corte non può sorprendere: il testo del regolamento UE n. 1308/2013 che vieta espressamente qualsiasi “evocazione”, spesso è stato severamente applicato con rigore anche nella giurisprudenza precedente della Corte di Giustizia che riguardava i conflitti tra i segni Cognac / Konjakkia; Gorgonzola / Cambozola oppure Calvados / Verlados. Anche l’applicazione del criterio della “presunta percezione del pubblico”, da determinare direttamente dal Giudice, può basarsi su una giurisprudenza consolidata. Ciò nonostante, per determinare correttamente tale percezione del pubblico, occorrerà osservare con molta attenzione il modificarsi delle consuetudini. La presente controversia può essere inquadrata in un contesto più ampio in cui spesso si può osservare come l’utilizzo di segni per cibi e bevande non tradizionali si scontra con segni storici-tradizionali. La sempre crescente domanda per nuovi tipi di cibo, idonei a soddisfare esigenze e richieste sempre più stravaganti e disomogenee, a volte supportate da motivi come il benessere oppure la religione, e dall’altro la possibilità di consumare cibi di provenienze sempre più disparati, modificherà inevitabilmente il tipo di percezione che il consumatore avrà in relazione ai segni utilizzati in questo settore.

Tankred Thiem