PIRATERIA ONLINE: PER LA PRIMA VOLTA IN ASSOLUTO IL TRIBUNALE DI MILANO IMPONE IL BLOCCO DEI SERVIZI ANCHE A UN FORNITORE DI CDN (Content Delivery Network).

07/10/2020

Con ordinanza del 5 ottobre 2020, il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, ha per la prima volta ordinato ad un provider di cessare immediatamente, nella gestione del servizio di Content Delivery Network (CDN), la fornitura di tutti i servizi della società dell’informazione e/o di intermediazione – comunque qualificati/qualificabili – erogati a favore di servizi online che trasmettevano contenuti protetti senza autorizzazione.

 

L’ordinanza in commento ha confermato un provvedimento cautelare reso inaudita altera parte nel settembre 2019 nei confronti di alcuni provider coinvolti nella trasmissione di contenuti protetti attraverso servizi online. Il provvedimento ordinava agli intermediari resistenti la cessazione immediata della fornitura dei servizi di mere conduit e di hosting relativi ai servizi online, indipendentemente dal nome a dominio utilizzato o al numero di indirizzo IP, in ossequio a quanto disposto dagli artt. 14 e ss. D. Lgs. n. 70/2003, attuazione della direttiva 2000/31/CE (meglio nota come Direttiva Ecommerce).

In particolare, ai sensi degli artt. 14, dedicato ai mere conduit (ovvero i soggetti che forniscono un accesso alla rete di comunicazione), e 16, dedicato agli hosting provider (ovvero prestatori di servizi di memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio), l’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore impedisca o ponga fine alle violazioni commesse. Lo stesso ordine può essere emesso, ai sensi dell’art. 15 del D. Lgs. n. 70/2003, nei confronti di prestatori di servizi di memorizzazione automatica, intermedia e temporanea (ovvero “caching” provider). Ai sensi dell’art. 17 D. Lgs. n. 70/2003, fra l’altro, il prestatore è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, richiesto dall’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non abbia agito prontamente per impedire l’accesso a detto contenuto.

Uno degli intermediari resistenti, fornitore di servizi cd. di CDN (Content Delivery Network), ossia di accelerazione nella trasmissione dei contenuti, si difendeva sollevando una serie di eccezioni, fra cui il difetto di giurisdizione e la propria carenza di legittimazione passiva. A questo proposito, affermava di non poter essere soggetto ad inibitoria, in quanto si sarebbe limitato a prestare servizi di memorizzazione transitoria dei dati consistenti nella ottimizzazione della fruizione di servizi web e di non aver manipolato, modificato o operato direttamente sui contenuti dei siti dei suoi clienti. Per tale ragione, il fornitore non avrebbe avuto la possibilità di intervenire sui server che ospitavano i contenuti non autorizzati. Con riferimento alla qualificazione delle proprie attività, il fornitore affermava che un servizio CDN non poteva essere qualificato come un servizio di “hosting”, essendo piuttosto un mix di “caching” e “mere conduit”.

Il Tribunale di Milano ha ritenuto l’eccezione della resistente infondata, affermando che il servizio prestato dal provider, consentendo ai dati illecitamente trasmessi di transitare lungo la rete Internet tramite il servizio Content Delivery Network (CDN) senza essere in alcun modo memorizzati, configura comunque una condotta che contribuisce – anche mediante l’attività di conservazione temporanea di dati statici – a permettere a terzi l’azione illecita oggetto di procedimento. Il tribunale ha quindi chiarito che tutti gli operatori di servizi della società dell’informazione sono passivamente legittimati nei confronti di azioni inibitorie, del tutto a prescindere dal loro elemento soggettivo (che non è neppure indagato in questa sede), e anche dal loro ruolo.

Il Tribunale di Milano ha dunque pienamente confermato il decreto emesso inaudita altera parte anche nei confronti del provider di servizi di CDN, ordinando specificatamente a quest’ultimo di cessare in ogni caso ed immediatamente, la fornitura di tutti i servizi della società dell’informazione e/o di intermediazione – comunque qualificati/qualificabili – erogati a favore dei servizi online abusivi, indipendentemente dal nome a dominio o al numero di indirizzo IP da questi utilizzati.

Si tratta di una decisione innovativa, giunta all’esito di un giudizio cautelare durato oltre un anno, che ha visto totalmente accolte le domande proposte dal titolare dei diritti e dalla licenziataria esclusiva. Per la difesa delle parti ricorrenti era difatti indiscutibile che il fornitore di CDN dovesse essere destinatario del provvedimento di inibizione, come ogni altro fornitore di servizi della società dell’informazione, anche ove non rientrante nelle categorie – previste dalla direttiva Ecommerce – di fornitore di servizi di mere conduit, caching, hosting.

Peraltro, secondo la tesi delle parti ricorrenti, le attività del provider non potevano comunque rientrare nella definizione di “caching”, perché fra i servizi del fornitore erano inclusi anche attività di “memorizzazione” effettuata in modalità non transitoria, qualificabile quindi come attività di hosting.

In ogni caso, la qualificazione del provider (mere conduit, caching o hosting) non avrebbe in alcun modo modificato la sostanza dell’ordine che avrebbe dovuto essere pronunciato nei confronti dell’operatore, dal momento che – a prescindere dalla qualificazione del servizio reso dall’operatore stesso – questo deve interrompere le attività illecite non appena riceva l’ordine di cessazione da parte del giudice compente, e ciò sia sulla base della direttiva E-commerce n. 2000/31/CE che sulla base del D.lgs. 70/2003 e delle regole generali dell’ordinamento; anzi, la mancata ottemperanza all’ordine è fonte di responsabilità per l’operatore del servizio della società dell’informazione che rimanga inerte. Il provider aveva anche sostenuto la propria carenza di legittimazione passiva sulla base della considerazione che la cessazione dei propri servizi non avrebbe potuto impedire del tutto la prestazione di questi ultimi, attraverso altre modalità: anche su questo punto il Tribunale ha ritenuto che l’argomento non potesse essere accolto, poiché ciò che rilevava era da un lato il coinvolgimento del provider nelle attività illecite, e dall’altro lato la circostanza che la cessazione dei servizi avrebbe comunque potuto produrre risultati utili per il titolare dei diritti, anche in termini di temporanea sospensione o di difficoltà di erogazione per il servizio online abusivo. Il Tribunale, sulla base delle evidenze fornite dalle parti ricorrenti, ha inoltre rilevato come la resistente, in diverse occasioni in Italia e all’estero, avesse effettivamente proceduto con il blocco dei servizi CDN in relazione a siti internet collegati ad illeciti autorali sulla base di ordini dell’autorità giudiziaria.

Margherita Stucchi