societario

LGV PARTECIPA ALL’INCONTRO CON IL CONSOLATO COREANO

12/05/2017

Il socio fondatore Luigi Goglia e i senior associate Ju Yeon Park e Alessandro Sassone, in rappresentanza di LGV, parteciperanno al convegno organizzato dal consolato della Repubblica di Corea di Milano il 16 maggio 2017 alla presenza del nuovo Ambasciatore e delle rappresentanze imprenditoriali coreane presenti sul territorio

 

L’incontro si innesta nell’ambito di un ormai decennale processo di cooperazione tra LGV e le istituzioni coreane, rapporto sviluppato grazie all’attività della senior associate Ju Yeon Park.
L’avv. Goglia avrà l’onore di aprire l’incontro introducendo i lavori della mattinata; a seguire i relatori si alterneranno sul palco per parlare dei temi legali più attuali; in particolare Ju Yeon Park svolgerà il proprio intervento in merito alla privacy e ai nuovi obblighi derivanti dall’attuazione del regolamento comunitario mentre Alessandro Sassone disserterà in tema di contratti internazionali.


LA CASSAZIONE NEGA L’ULTRATTIVITÀ DEL MANDATO ALLE LITI CONFERITO DA UNA SOCIETÀ

18/01/2017

È inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dalla società già cancellata dal registro delle imprese in quanto da considerarsi non più esistente e, pertanto, priva di legittimazione e interesse all’impugnazione ma anche del potere di conferire procura speciale alle liti per il giudizio di legittimità.


 

Con la sentenza n. 6780 del 2016 la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso proposto da una società cancellata dal registro delle imprese. Secondo la Corte, infatti, non può trovare applicazione nel giudizio di legittimità il principio di ultrattività del mandato: è necessario infatti che la procura sia rilasciata da una società che non sia “giuridicamente defunta e non legittimata ad agire in giudizio in virtù del disposto di cui all’art. 2495 c.c.”.

La sentenza in commento segue la pronuncia n. 15295 del 2014 della Suprema Corte in cui si affermava il principio di ultrattività del mandato: la parte colpita dagli eventi di cui all’art. 299 c.p.c. (i.e. morte o perdita della capacità di stare in giudizio) e già costituita a mezzo di un difensore, che non abbia dichiarato o notificato l’evento stesso a norma dell’art. 300 c.p.c., continua ad essere da lui rappresentata. La sua posizione giuridica risulta stabilizzata anche per le successive fasi di quiescenza e di impugnazione, salvo che nel corso del gravame gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella, divenuta incapace, si costituiscano in giudizio, oppure nel caso in cui il difensore rilevi l’evento.

Ciò detto, l’orientamento tornato in auge nel 2014 non risulta sconfessato dalla sentenza in rassegna la quale si preoccupa invece di precisare un diverso principio, ossia che non si ha ultrattività del mandato quando si tratti di proposizione di ricorso per Cassazione.

Per la proposizione di tale ricorso il difensore necessita infatti di una procura speciale ai sensi dell’art. 365 c.p.c., che non può essere rilasciata dalla società estinta nella persona del suo rappresentante legale, avendo questi perso ogni potere rappresentativo, proprio per effetto dell’estinzione dell’ente.


LA CASSAZIONE SI PRONUNCIA IN TEMA DI CRITERI DI INTERPRETAZIONE DEGLI STATUTI SOCIETARI

13/09/2016

La clausola statutaria di una società per azioni che richieda una maggioranza rafforzata per le delibere aventi ad oggetto gli argomenti concernenti determinate materie è posta a tutela delle minoranze, ed è finalizzata a garantire alle stesse un potere di interdizione allo scopo di conservare i rapporti di forza esistenti all’interno della società. Pertanto, un’interpretazione di tale clausola che ne consenta la modifica con una maggioranza più limitata appare intrinsecamente contraddittoria, alla luce del criterio di buona fede e sulla base del rilievo della comune intenzione delle parti, conducendo all’annullamento della relativa delibera. Ne deriva che la clausola statutaria che protegga la minoranza richiedendo una maggioranza rafforzata per le delibere riguardanti determinate materie, non può essere modificata con una maggioranza più limitata.


 

La prima sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4967 del 14 marzo 2016, è tornata sul tema, a lungo dibattuto, dell’interpretazione degli statuti societari.

La controversia riguardava l’impugnazione da parte di alcuni soci di una S.p.A. di una delibera dell’assemblea straordinaria della medesima società adottata nel settembre 2001, con la quale era stato modificato l’art. 17 dello statuto. Quest’ultima disposizione richiedeva un quorum rafforzato — pari al 60% del capitale sociale — per le assemblee che, sia in prima che in seconda convocazione, fossero state chiamate a esprimersi su determinate materie, espressamente elencate, tra le quali, però, non compariva la modifica dello stesso art. 17.

L’assemblea straordinaria della S.p.A. in questione aveva conseguentemente proceduto a modificare detto articolo dello statuto con i quorum previsti dall’art. 2369 c.c. (nel testo precedente la riforma operata dal d.lg. n. 6/2003), e quindi con una maggioranza, pari a più di un terzo del capitale sociale, inferiore a quella prevista dal medesimo art. 17.

I soci chiedevano quindi, al Tribunale prima e alla Corte d’Appello poi, l’annullamento della delibera per l’indebita modifica dell’art. 17 dello statuto sociale effettuata senza il rispetto delle maggioranze ivi previste.

A fronte del rigetto da parte della Corte d’Appello di Roma della pretesa avanzata in giudizio dai soci di minoranza della S.p.A., la Corte di Cassazione ha richiamato le norme in materia di interpretazione dei contratti (art. 1362 ss. c.c.) per cassare la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annullare la delibera dell’assemblea della società nella parte in cui aveva modificato l’art. 17 dello statuto senza l’osservanza delle maggioranze ivi previste.

Ad avviso della Suprema Corte, infatti, un’interpretazione funzionale e secondo buona fede dello statuto della società, ai sensi di quanto previsto dagli artt. 1369 e 1366 c.c., conduce a ritenere che, in presenza di una clausola statutaria intesa a garantire a una minoranza, attraverso la previsione di maggioranze qualificate, un potere interdittivo con riferimento alle decisioni dei soci su determinate materie, debbano essere assoggettate ai medesimi quorum rafforzati anche le delibere volte a modificare la clausola statutaria in cui essi sono previsti. Con la conseguenza che la maggioranza non qualificata dei soci non potrebbe da sola, anche in assenza di una previsione espressa dello statuto, modificare la clausola che stabilisca detti quorum.

La sentenza in commento assume un valore decisivo in quanto si inserisce nel dibattito circa l’applicabilità o meno agli statuti dei criteri ermeneutici « soggettivi » previsti dalla disciplina generale dei contratti (spec. artt. 1362-1366 c.c.), volti alla valorizzazione, in chiave interpretativa, dello scopo perseguito dai contraenti e del comportamento da questi tenuto anche successivamente alla conclusione del contratto, in luogo di quelli obiettivi previsti per l’interpretazione della legge (art. 12 disp. prel. c.c.), fondati, anzitutto, sul significato letterale delle singole previsioni considerate.