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LGV Avvocati con R2 Semiconductor nel contenzioso brevettuale chiuso con un accordo con Intel

Un contenzioso paneuropeo ha visto recentemente contrapposte le società statunitensi R2 Semiconductor, da un lato, e il colosso dei processori, Intel Corporation, dall’altro. R2 Semiconductor ha azionato in differenti giurisdizioni un brevetto relativo a un particolare regolatore di tensione.

Il contenzioso brevettuale ha visto prevalere R2 in Germania mentre Intel ha ottenuto una decisione a sé favorevole in Inghilterra; nel contempo venivano avviate cause sullo stesso titolo anche in Francia e in Italia.

Stando a notizie apparse sulla stampa internazionale specializzata, e a quanto dichiarato ufficialmente dalle parti, il contenzioso è stato di recentemente transatto con un accordo i cui termini sono rimasti confidenziali (ma si parla di centinaia di milioni di dollari). In Italia R2 Semiconductor è stata assistita da LGV Avvocati e in particolare dai partner Luigi Goglia (nella foto) e Tankred Thiem.  

Secondo quanto risulta a Legalcommunity, Intel è stata assistita dallo studio Trevisan & Cuonzo, con il team guidato da Vittorio Cerulli Irelli.

L’AUTORITÀ ANTITRUST PRENDE POSIZIONE SULL’INFLUENCER MARKETING

26/07/2017

Con un comunicato stampa rilasciato lo scorso 24 luglio il Garante Antitrust ha informato di aver inviato alcune lettere di moral suasion ad alcuni operatori attivi nella sponsorizzazione di brand on line mediante la tecnica dell’influencer marketing, invitandoli a conformarsi alle prescrizioni del Codice del Consumo.

 

L’Autorità Antitrust dichiara di aver svolto alcune indagini in merito all’attività di sponsorizzazione di prodotti definita influencer marketing.

La pratica commerciale richiamata consiste nella pubblicazione da parte di personaggi di riferimento del mondo on line seguiti da numerosi follower (detti blogger o influencer) di immagini relative a prodotti riconducibili ad un determinato brand sui propri blog, vlog e social media (come Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat, MySpace, ecc…) senza che però venga manifestata la natura pubblicitaria della comunicazione, così che i follower vengono indotti a recepire quella che di fatto è una vera e propria forma di sponsorizzazione di un prodotto come un consiglio derivante dall’esperienza privata e personale dell’influencer.

Il primo passo svolto dall’Autorità Antitrust sembra essere quello di indurre spontaneamente sia gli influencer che le società titolari dei marchi sponsorizzati a fornire adeguate informazioni al momento della pubblicazione dei contenuti sui social media, idonei a rivelare la natura commerciale della comunicazione (sussistente sia nel caso in cui il product placement sia eseguito dietro compenso che a fronte della fornitura gratuita di prodotti).

La richiesta svolta con le lettere di moral suasion è quella di adeguarsi alle disposizioni generali previste dal Codice del Consumo, secondo cui la pubblicità deve essere riconoscibile come tale affinché l’intento commerciale della comunicazione sia chiaramente percepibile dal consumatore. Il Garante ha dichiarato che nel caso dell’influencer marketing l’evidente finalità promozionale dovrà essere manifestata attraverso l’inserimento di specifiche avvertenze che, in linea con le modalità di comunicazione proprie dei social network, possono per esempio consistere nell’utilizzo di appositi hashtag quali #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento e #fornitoda seguito dal nome del relativo brand sponsorizzato.


L’APPELLO È INAMMISSIBILE IN MANCANZA DELLA FIRMA DIGITALE SULL’ORIGINALE

04/07/2017

In una sua recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha affermato che la mancanza della sottoscrizione digitale dell’originale dell’atto di citazione in appello determina l’inammissibilità dell’appello stesso per inesistenza dell’impugnazione, non sanabile neppure attraverso la costituzione della parte appellata.

 

Con la sentenza n. 14338 dell’8 giugno 2017, la Sezione Sesta Civile della Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi nuovamente su una delle questioni oggetto di maggior disputa degli ultimi anni, ovvero le conseguenze del mancato rispetto delle disposizioni in materia di notificazione in proprio a mezzo PEC eseguite da parte degli avvocati, che a partire dalla legge n. 53/1994 ha subito notevoli evoluzioni, soprattutto dettate dalla necessità di aggiornarsi e rimanere al passo con le innovazioni tecnologiche degli strumenti informatici impiegati.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Salerno aveva ritenuto inammissibile il giudizio d’appello instaurato attraverso la notificazione di un atto di citazione in appello privo della firma digitale, ritenendo il vizio di cui sopra non sanabile neppure attraverso la costituzione in giudizio della parte appellata, che aveva  sollevato la relativa eccezione. La Corte di Cassazione, interpellata con ricorso, ha quindi confermato la decisione della Corte d’Appello di Salerno circa l’inammissibilità non sanabile dell’appello, provvedendo però a riformarla parzialmente. La Corte ha affermato che la presenza della firma digitale sull’atto informatico è pienamente equiparata alla firma apposta “a mano” su di una versione cartacea dell’atto e tale requisito deve essere inteso come condizione di validità dell’atto introduttivo del giudizio ex art. 125 c.p.c., in quanto strumento idoneo a ricondurre l’atto ad un determinato soggetto.

Tuttavia, ciò che rileva secondo la Suprema Corte, non è soltanto la mancanza della firma digitale sulla copia notificata (profilo sul quale si era incentrata l’impugnazione del ricorrente), ma l’assenza della stessa anche sull’originale dell’atto di citazione, circostanza di per sé sola già in grado di determinare l’inammissibilità dell’appello.

La decisione della Suprema Corte si affranca per la prima volta dai precedenti orientamenti “antiformalistici” che miravano a far prevalere il principio del raggiungimento dello scopo sul rispetto delle disposizioni di legge dettate in materia di notificazioni digitali. Questo approccio, che in un primo momento aveva evitato che i giudici venissero investiti da cavillose eccezioni, aveva evidentemente portato all’estremo opposto, ovvero ad una totale mancanza di ritualità, cui la Corte ha qui ritenuto di dover porre rimedio.


IL CASO “THE PIRATE BAY”: PER LA CORTE DI GIUSTIZIA ANCHE I GESTORI DELLA PIATTAFORMA DI CONDIVISIONE DI FILE TORRENT VIOLANO I DIRITTI D’AUTORE

23/06/2017

La Corte di Giustizia, con la sentenza pronunciata il 14 giugno scorso nella causa c-610/15, ha affermato che la messa a disposizione su Internet di contenuti caricati da utenti costituisce una forma di “comunicazione al pubblico”,  attività che deve essere autorizzata dai titolari dei diritti dautore sulle opere.

 

La Stichting Brein, una fondazione dei Paesi Bassi che protegge gli interessi dei titolari del diritto d’autore, ha adito i giudici olandesi per far ingiungere alla Ziggo e alla XS4ALL, fornitori di accesso i cui abbonati utilizzano per la maggior parte la piattaforma di condivisione online “The Pirate Bay”, di bloccare i nomi di dominio e gli indirizzi IP di “The Pirate Bay” al fine di evitare che i servizi di questi fornitori possano essere usati per violare il diritto di autore dei soggetti di cui la Stichting Brein protegge gli interessi.

Le domande di Stichting Brein, accolte in primo grado, sono state tuttavia rigettate in appello.

La Corte Suprema dei Paesi Bassi ha quindi adito la Corte Europea al fine di chiedere se si configuri una comunicazione al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, ad opera del gestore di un sito Internet ove sul sito in parola non si trovino opere protette, ma esista un sistema con il quale vengono indicizzati e categorizzati per gli utenti metadati relativi ad opere protette disponibili sui loro computer, consentendo loro di reperire e caricare e scaricare le opere protette.

Nella recente sentenza la Corte statuisce che la fornitura e la gestione di una piattaforma di condivisione online, quale è “The Pirate Bay”, devono effettivamente essere considerate atti di comunicazione al pubblico ai sensi della direttiva 2001/29 e in quanto tali sono consentite solamente previa autorizzazione dei titolari dei diritti di autore.

La Corte ha anche affermato che gli amministratori di “The Pirate Bay” non realizzano una «mera fornitura» di attrezzature fisiche ma svolgono un ruolo imprescindibile nella messa a disposizione delle opere protette. Essi, di fatto, intervengono con piena cognizione delle conseguenze del proprio comportamento, al fine di dare accesso alle opere, indicizzando ed elencando i “file torrent” che consentono agli utenti di localizzare le opere e di condividerle nell’ambito di una rete tra utenti (peer-to-peer).

Tale comunicazione riguarda peraltro un numero indeterminato di destinatari potenziali e comprende un numero considerevole di persone, come anche dichiarato dagli stessi amministratori di “The Pirate Bay” sul proprio sito internet.

Infine, la Corte ha affermato che è incontestabile che la messa a disposizione e la gestione di una piattaforma di condivisione online, come quella di cui al procedimento principale, sono realizzate allo scopo di trarne profitto, dal momento che la piattaforma in questione genera considerevoli introiti pubblicitari.


SOLE DIRECTOR OR BOARD OF DIRECTOR OF AN S.P.A. SEIZURE OF COMPENSATION WITHOUT THE RESTRICTIONS SET BY ART. 545 OF THE CODE OF CIVIL PROCEDURE

01/06/2017

The Supreme Court (Joint Divisions), with judgment of 20 January 2017, no. 1545, have decided that a sole director or board of director of an S.p.A. (Italian public limited company) are both bound by a corporate relation which – considering the organic identity that occurs between the natural person and the entity, as well as the absence of a requirement of coordination – is not included among those provided under no. 3 of art. 409 c.p.c.. It follows that the compensation due to the above mentioned subjects for the functions carried out in a corporate context can be seized without the restrictions pursuant to the fourth paragraph of art. 545 c.p.c..

 

Following the expropriation of goods in the possession of third parties, upon commencement of such procedure by a bank against a debtor, the first instance judgment decided that the bank should be awarded the total sum set aside by the third parties by way of compensation for their activities. The debtor was a director of one of the third party companies subjected to the seizure as well as a member of the board of directors of one other of such companies. The debtor opposed the interim judgment of assignment, arguing that his activity should be qualified differently, in particular, according to the director, it should fall within the scope of application of Article 409 number 3 of the Code of Civil Procedure, so that in fact a restriction to the seizure would apply (up to a fifth of the salary). The Court upheld the director’s opposition, qualifying the work carried out by the debtor as self-employed, which therefore limited to a fifth the assignment of the sums set aside by the third parties subjected to the seizure. The bank filed a petition to the Supreme Court.

The query submitted to the Joint Divisions of the Supreme Court was whether the determination of the relationship between the public limited company and its director could be qualified as self-employment or autonomous work and, consequently, whether the restrictions on the seizure of salary, equal to one fifth of that, as provided by the fourth paragraph of art. 545 c.p.c., could apply to compensation and wages of the director.

Until the decision in this case, the case law amounted to several consecutive decisions that traced their origins back to the 1980s, and from which two orientations emerged. One of these excluded that, in the context of a governance relationship, there could be an identification of two distinct centres of interest between whom there is an exchange of services, because the regime applicable to S.p.A.s is regulated in such a way as to confer on the director-representative the structural attributions of a body, thereby excluding the existence of a relationship of self-employment and upholding the so-called organic theory. A different orientation was that represented by the so-called contractual theory, which traced the disputes in question to art. 409 no. 3 c.p.c., viewing the relationship between the director and the S.p.A. as possessing the features of continuity and coordination with the activity carried out by the company, features that are required by the regulation in order to determine the jurisdiction ratione materiae of the employment law Court.

A solution to that debate was initially found by the Supreme Court (Joint Divisions) with judgment no. 10680 in 1994, a decision that favoured the qualification of the governance relationship as autonomous work, pursuant to art. 409 no. 3 of the c.p.c., on the basis that “within the corporate organization there are obligatory relations that arise from a continuous, coordinated and prevalent activity, and it is irrelevant that the director is not in a weak contractual position vis-à-vis the company”.

With the present judgment, the Supreme Court (Joint Divisions), annulled the decision appealed by the creditor and rejected the opposition filed by the debtor. The Supreme Court held that the principle stated by the Court of first instance on the restrictions applicable to the credit was wrong, and instead decided that the compensation due to the directors for the activities carried out within a corporate context can be seized in their entirety.