sentenze

INTERESSANTE DECISIONE DEL TAR LAZIO IN MATERIA DI PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE NEL SETTORE DEI SERVIZI TELEVISIVI.

11/04/2017

Con la recente decisione del 22 marzo 2017, il TAR Lazio, adito da Sky Italia per l’annullamento del provvedimento adottato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) nell’adunanza del 23 dicembre 2008, ha confermato la decisione assunta da suddetta Autorità, condannando Sky Italia ad una sanzione amministrativa di € 200.000,00 per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette in occasione della conclusione a mezzo telefono di contratti.


 

Sulla base di segnalazioni inviate dai consumatori, nei primi mesi del 2008 l’Acgm apriva un procedimento istruttorio nei confronti di Sky Italia finalizzato ad accertare l’integrazione di una presunta pratica commerciale scorretta riguardante l’attivazione di servizi televisivi mediante la conclusione di contratti a distanza (in particolare, a mezzo telefono). Il provvedimento impugnato censurava la condotta della ricorrente sotto due profili, oggetto di distinta analisi: l’attivazione di servizi aggiuntivi non richiesti in modo consapevole da parte dell’intestatario dell’abbonamento, da una parte, e l’attivazione di abbonamenti, di servizi aggiuntivi e di servizi premium con caratteristiche difformi rispetto a quelle promesse, dall’altra.

Sotto il primo profilo, la decisione dell’Agcm è stata confermata dal T.A.R. Lazio che ha ritenuto sussistenti evidenze sufficienti a dimostrare che gli operatori del call center della ricorrente non fornivano agli utenti, cui veniva proposta la sottoscrizione di nuove offerte, informazioni idonee ed adeguate a permettere a questi di comprendere che il negozio si sarebbe perfezionato a seguito della prestazione del solo consenso telefonico, e non a seguito della sottoscrizione cartacea inviata successivamente al loro domicilio. Inoltre, è stato appurato che molto spesso l’attivazione delle offerte era subordinata alla prestazione del consenso da parte di soggetti diversi dal titolare dell’abbonamento (per esempio delegati coabitanti in possesso di informazioni relative alla posizione cliente) senza che poi venissero eseguiti opportuni controlli sulla disponibilità a sottoscrivere le promozioni da parte dell’effettivo titolare. La pratica commerciale in questione è stata quindi ritenuta, sotto questo primo aspetto, aggressiva e perciò vietata.

Sotto il secondo profilo, relativo all’attivazione di abbonamenti, di servizi aggiuntivi e di servizi premium con caratteristiche difformi rispetto a quelle promesse, la condotta di Sky Italia è stata qualificata come ingannevole, posto che le differenze riscontrate hanno riguardato principalmente il costo effettivo dell’offerta e segnatamente la mancata indicazione dei costi di attivazione e la chiara illustrazione di condizioni e limiti temporali previsti per fruire il servizio. In particolare il T.A.R. ha sottolineato come debba essere riconosciuta la sussistenza di una intrinseca debolezza del consumatore rispetto alla controparte dovuta alla distanza fisica simultanea delle parti contraenti, tale da rendere particolarmente pregnante l’onere di fornire con chiarezza ed esaustività le informazioni in ordine all’immediato acquisto del pacchetto e del contenuto dei servizi ivi offerti.


REGOLAMENTO AGCOM LEGITTIMO: LO DECIDE CON UNA RECENTISSIMA SENTENZA IL TAR DELLA REGIONE LAZIO. LO STUDIO LGV AVVOCATI SI ERA GIÀ OCCUPATO DELLA QUESTIONE NEL 25ESIMO QUADERNO DI AIDA “IL REGOLAMENTO AGCOM SUL DIRITTO D’AUTORE”.

4/04/2017

Con sentenza pubblicata il 30 marzo 2017, il TAR del Lazio ha deciso che è legittimo il Regolamento adottato da AGCOM con delibera n. 680/13/CON del 12 dicembre 2013 recante una disciplina per la tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica. La questione ed il Regolamento sono stati commentati dall’Avv. Simona Lavagnini all’indomani della sua emanazione, nel 2014, con alcuni contributi pubblicati nel 25esimo Quaderno di AIDA “Il regolamento Agcom sul diritto d’autore”.


 

AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) è un organo amministrativo di controllo e garanzia preposto allo svolgimento della duplice funzione di monitoraggio della concorrenza nel mercato e della tutela dei diritti fondamentali nei settori delle telecomunicazioni, dei mass media e dell’editoria. Nel dicembre 2013, AGCOM adottava il Regolamento oggetto di recente controversia con il quale introduceva una disciplina per la tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, al fine di assicurare ai titolari dei diritti il beneficio della protezione autorale anche in ambito digitale. In particolare, il Regolamento AGCOM prevede che il titolare del diritto d’autore, qualora ritenga che un’opera digitale sia stata resa disponibile su una pagina internet in violazione della legge sul diritto d’autore (L. n. 633 del 1941), può presentare un’istanza all’Autorità, chiedendone la rimozione. La presentazione dell’istanza da parte del soggetto interessato determina l’instaurarsi di un procedimento istruttorio innanzi all’Autorità stessa che può o concludersi con l’archiviazione disposta dalla Direzione servizi media dell’Autorità o, se ritenuta sussistente una violazione, consentire all’Autorità di disporre la rimozione selettiva delle opere oppure la disabilitazione dell’accesso alle stesse oppure ancora la disabilitazione dell’accesso al sito. La portata innovativa dell’attribuzione di tali poteri all’Autorità ha portato parte della dottrina italiana ad approfondire la tematica attraverso la pubblicazione della citata 25esima edizione dei Quaderni di AIDA interamente dedicata al regolamento AGCOM, per la realizzazione della quale l’Avv. Simona Lavagnini ha portato attivamente il suo contributo.

Successivamente, varie associazioni di categoria e di tutela dei consumatori proponevano ricorso amministrativo contro il Regolamento AGCOM, lamentando che la sua adozione da parte dell’Autorità costituiva una violazione del principio di legalità nonché, più in generale, un esercizio di poteri non conferiti dalla legge alla suddetta Autorità. Con sentenza del 30 marzo 2017, il TAR del Lazio ha rigettato totalmente il ricorso proposto, ritenendone infondati i motivi nel merito.

Innanzitutto, il Giudice amministrativo ha rilevato che, da una lettura sistematica delle norme applicabili in materia, emerge che i prestatori dei servizi di comunicazione elettronica, pur non essendo soggetti a un obbligo generale di sorveglianza o di ricerca di fatti o circostanze illecite sulla loro rete, sono comunque obbligati a collaborare con AGCOM al fine di garantire una tutela efficace del diritto d’autore. Pertanto, ne discende che debba essere riconosciuto necessariamente un potere di vigilanza in capo all’Autorità: “una lettura sistematica delle disposizioni normative sin qui richiamate conferma la sussistenza dei poteri regolamentari esercitati da AGCOM nonché di quello di vigilanza, nei confronti dei prestatori dei servizi, da esercitarsi anche con l’imposizione di misure volte a porre termine alle violazioni della disciplina sul diritto d’autore, attraverso rimedi che si pongono in concorrenza, e non in sostituzione, di quelli già attribuiti all’Autorità giudiziaria”. Così statuendo, il Tribunale amministrativo ha confermato sussistenti in capo ad AGCOM i compiti di regolamentazione e di vigilanza nel settore del diritto d’autore (cui, peraltro, l’Autorità si era attenuta proprio con l’adozione del Regolamento in parola) senza che lo svolgimento di tali funzioni potesse considerarsi un’invasione della giurisdizione del giudice ordinario (c.d. “doppio binario giudiziario-amministrativo”). Inoltre, il TAR non riscontrava alcun profilo di illegittimità costituzionale inerente al Regolamento o alla procedura seguita per la sua adozione, osservando sul punto che: “il potere regolamentare di AGCOM è stato, nella specie, validamente esercitato e la disciplina delle modalità di esercizio delle funzioni di vigilanza dell’Autorità nel settore delle comunicazioni elettroniche, descritta nel regolamento impugnato, non presenta potenziali profili di incostituzionalità che debbano essere sottoposti al Giudice delle leggi”.

Il Tribunale amministrativo ha riconosciuto all’Autorità il potere di emanare provvedimenti inibitori, anche in conformità alla normativa europea. Ha inoltre rigettato il motivo di ricorso proposto dai ricorrenti a mente del quale i costi delle rimozioni sono integralmente a carico degli ISP (internet service provider), mentre i titolari del diritto d’autore, che non incontrano limiti nel numero di segnalazioni che possono avanzare, non contribuiscono in alcun modo al bilancio dell’Autorità. In merito il TAR puntualmente osservava che: “non può farsi discendere dall’assenza del contributo un diniego di tutela, non trattandosi di prestazioni corrispettive”. Infine, il Giudice amministrativo rilevava che lo Schema di Regolamento era stato regolarmente notificato alla Commissione Europea a norma della Direttiva 98/34 (c.d. direttiva trasparenza), le cui osservazioni in merito erano state successivamente integrate dall’Autorità in una seconda versione del testo rispetto al quale la Commissione ha affermato di non avere più alcuna osservazione da proporre. Dunque, nemmeno sotto questo profilo il TAR ha riscontrato alcun fondamento per ordinare l’annullamento del Regolamento AGCOM, e cumulativamente con le ragioni di cui sopra, ha rigettato il ricorso proposto contro lo stesso.


IL GIUDICE COMPETENTE IN TEMA DI AZIONE DI RISARCIMENTO DEI DANNI DERIVANTI DALLE VENDITE TRANSFRONTALIERE TRAMITE SITI WEB? PER LA CGE È QUELLO STATO IN CUI SI EFFETTUANO LE CONSEGNE!

02/03/2017

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito che l’articolo 5, punto 3, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio (concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) dev’essere interpretato – al fine di attribuire la competenza giurisdizionale – nel senso che si deve considerare come luogo in cui il danno si è prodotto il territorio dello Stato membro che protegge il divieto di vendita al di fuori di una rete di distribuzione selettiva di prodotti. È irrilevante la circostanza che i siti internet che offrono i beni oggetto della rete di distribuzione selettiva – al di fuori dalla stessa reta – operino in Stati membri diversi da quello del Giudice adito per conoscere dell’azione risarcitoria.


 

La società francese Concurrence concludeva con la Samsung un contratto di distribuzione avente ad oggetto i prodotti di alta gamma del marchio coreano, identificati con la gamma “Elite”. Tale contratto prevedeva un espresso divieto di vendita dei prodotti tramite il canale internet.

In seguito Samsung notificava a Concurrence la fine del loro rapporto contrattuale lamentando la violazione, da parte di quest’ultima, del divieto di vendita online dei prodotti oggetto della rete di distribuzione selettiva. Concurrence, a sua volta, contestava la legittimità di alcune clausole di tale contratto affermando, in particolare, che esse non erano applicate in maniera uniforme a tutti i distributori, taluni dei quali commercializzavano i prodotti in questione su siti internet di Amazon, senza reazione da parte della Samsung.

Seguivano, quindi, tra le parti due gradi giudizi (uno davanti al Tribunale di Parigi e l’altro davanti alla Corte d’Appello di Parigi) in cui le istanze di Concurrence venivano rigettate, sicché quest’ultima adiva la Corte di Cassazione francese. Concurrence rilevava che la sentenza della Corte d’Appello di Parigi aveva dichiarato erroneamente l’incompetenza del giudice francese a conoscere l’azione relativa ai siti Amazon operanti all’esterno del territorio dello Stato membro. In particolare, secondo Concurrence, la Corte d’Appello di Parigi avrebbe omesso illegittimamente di verificare se il sistema di vendita sui siti internet di Amazon consentisse di spedire i prodotti messi in vendita non solo nello Stato membro di origine del sito internet interessato, ma anche negli altri Stati membri, e segnatamente in Francia, il che avrebbe consentito di giustificare la competenza del giudice francese

La Corte di Cassazione francese decideva di sospendere il procedimento e chiedeva alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 al fine di attribuire la competenza giurisdizionale conferita da tale disposizione a conoscere di un’azione risarcitoria promossa per violazione del divieto di vendita al di fuori di una rete di distribuzione selettiva risultante dall’offerta, su siti internet operanti in diversi Stati membri, di prodotti che costituiscono oggetto di tale rete.

Con la decisione in commento la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che nel caso in esame il giudice competente a decidere la controversia è quello dello Stato membro in cui il danno lamentato si concretizza, tenendo conto della riduzione del volume delle vendite subite dal negoziante e della conseguente perdita del suo profitto, essendo irrilevante la circostanza che i siti Internet sui quali appare l’offerta dei prodotti oggetto del diritto di distribuzione selettiva operino in Stati membri diversi da quello cui fa capo il Giudice adito.

IL TRIBUNALE DI ROMA ACCOGLIE IL RICORSO CAUTELARE PRESENTATO DALLA SIAE AVVERSO L’ATTIVITÀ DI “SECONDARY TICKETING”

03/02/2017

La Corte capitolina ha ritenuto di accogliere parzialmente le richieste formulate da parte della SIAE nel ricorso cautelare proposto avverso le società Live Nation 2 S.r.l., Seatwave Lts, Ticketbis Sociedad Limitada e Viagogo AG circa l’illecita rivendita on line di biglietti per i concerti dei Coldplay previsti per il 3-4 luglio 2017 allo stadio San Siro di Milano.


 

Nell’ottobre 2016 SIAE presentava, di fronte al Tribunale di Roma, ricorso cautelare per ottenere i) il sequestro dei siti identificati dai nomi a dominio www.seatwave.it, www.ticketbis.it e www.viagogo.it (nonché degli indirizzi IP associati ai predetti nomi a dominio, attuali e futuri), e/o il sequestro dei biglietti, relativi ai concerti italiani dei Coldplay, proposti in vendita su tali siti a prezzi superiori a quelli offerti, nonché ii) l’inibitoria, ai danni delle società resistenti Live Nation 2 S.r.l., Seatwave Lts, Ticketbis Sociedad Limitada e Viagogo AG, di commercializzare ulteriormente, direttamente o per mezzo di soggetti terzi, i suddetti biglietti – con fissazione della relativa penale in caso di inottemperanza.

L’azione proposta dalla SIAE, sostenuta con intervento adesivo dipendente anche da Federconsumatori, mirava a combattere il fenomeno del “secondary ticketing”, pratica commerciale per cui i biglietti messi in vendita dai rivenditori autorizzati dagli organizzatori degli eventi (cosiddetti rivenditori primari), una volta acquistati tramite il “canale primario”, vengono poi nuovamente commercializzati su piattaforme di commercio elettronico ad un prezzo notevolmente superiore rispetto a quello ufficiale praticato sul mercato primario.

Il Tribunale romano ha dichiarato che la rivendita individuale ed occasionale (c.d. bagarinaggio) sul mercato secondario di biglietti di eventi musicali, non possa ritenersi illecito sotto il profilo del diritto d’autore – neppure se eseguito ad un prezzo notevolmente maggiore di quello originario e per il tramite di piattaforme di commercio elettronico in grado di agevolare le suddette transazioni – non esistendo una norma che riconosca a favore degli artisti il diritto a ricevere un ulteriore compenso per ogni successiva rivendita del titolo di partecipazione ad un evento che riguardi la loro opera. Parimenti, il ruolo di hosting provider svolto dalle società resistenti doveva essere ritenuto, di per sé, lecito in quanto eseguito in conformità alla normativa nazionale e comunitaria.

Ciò premesso, la Corte ha però affermato che l’attività di “secondary ticketing” posta in essere dalle resistenti nel caso di specie deve essere ritenuta illecita nella misura in cui la rivendita dei biglietti veniva svolta in maniera professionale ed organizzata dalle medesime società che organizzavano l’evento e/o che gestivano piattaforme informatiche di commercio elettronico, ponendo in essere una vera e propria attività lucrativa che si interponeva tra i distributori ufficiali e i consumatori, traducendosi in una sostanziale elusione delle disposizioni a tutela del diritto patrimoniale d’autore e quindi in pregiudizio economico sia per gli autori rappresentati dalla SIAE che per i consumatori finali.

Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto di accogliere parzialmente le richieste formulate dalla SIAE, disponendo la sola inibitoria alla vendita diretta o indiretta sul mercato secondario dei biglietti dei concerti dei Coldplay, acquistati sul mercato primario sia on line che off line, escludendo invece la possibilità di disporre il sequestro nei termini in cui lo stesso era stato richiesto. Attesa la liceità dell’attività di hosting provider svolta dai siti, il sequestro dei biglietti è stato ritenuto impossibile da eseguirsi a causa dell’incapacità di distinguere quali biglietti fossero rivenduti per il tramite delle medesime piattaforme tra gli utenti finali (e quindi lecitamente) e quali dalle società titolari delle medesime piattaforme.

CORTE DI GIUSTIZIA UE: ANCHE IL FORNITORE DI ACCESSO ALLA RETE WI-FI É SOGGETTO ALL’OBBLIGO DI IMPEDIRE EVENTUALI VIOLAZIONI DEGLI ALTRUI DIRITTI D’AUTORE

25/01/2017

Il fornitore di accesso a una rete di comunicazione che consente al pubblico di connettersi a Internet, sebbene non risponda direttamente delle eventuali violazioni degli altrui diritti d’autore compiute da terzi, può essere destinatario di un provvedimento che gli imponga di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una specifica opera protetta dal diritto d’autore o parti di essa, qualora lo stesso fornitore abbia la possibilità di scegliere le misure tecniche da adottare per conformarsi a detta ingiunzione, anche se tale scelta si riduca alla sola misura consistente nel proteggere la connessione a Internet mediante una password.


 

Con la sentenza del 15 settembre 2016 resa nella causa C‑484/14 la Corte di Giustizia UE ha stabilito, tra gli altri, il principio secondo cui anche un fornitore di accesso a una rete WI-FI può essere destinatario di un provvedimento che gli imponga di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una specifica opera protetta dal diritto d’autore qualora esso possa adottare misure tecniche in grado di conformarsi a tale ingiunzione. La questione assume rilevanza se si pensa che il fornitore di accesso ad una rete WI-FI (nel caso sottoposto alla Corte si trattava del sig. Tobias Mc Fadden) non solo non partecipa direttamente alla violazione dell’altrui diritto d’autore (come potrebbe fare un service provider “attivo” in grado di memorizzare e ritrasmettere le informazioni oggetto della violazione dedotta) ma svolge una funzione di “mero trasporto” di informazioni trasmesse da altri (e quindi pone in essere un processo tecnico tendenzialmente automatico e passivo che intende assicurare esclusivamente l’esecuzione della trasmissione di informazioni richiesta).

Tra le questioni sottoposte all’attenzione della Corte di Giustizia dal Tribunale Regionale I di Monaco di Baviera vi era l’interpretazione della direttiva 2000/31, e più precisamente se questa debba essere intesa nel senso di ostare all’adozione di un’ingiunzione che imponga a un fornitore di accesso a una rete WI-FI gratuita l’obbligo di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico, attraverso tale connessione a Internet, su una piattaforma Internet di condivisione (peer-to-peer), una specifica opera protetta dal diritto d’autore o parti di essa, qualora il fornitore abbia la possibilità di scegliere le misure tecniche da adottare per conformarsi a tale ingiunzione. Le misure tecniche di protezione suggerite dal Tribunale Regionale tedesco erano quelle della chiusura della connessione internet, quella della protezione dell’accesso mediante password ed infine quella di esaminare tutte le informazioni trasmesse attraverso tale connessione.

In riferimento alle misure tecniche di protezione adottabili dal fornitore di accesso alla rete la Corte ha in prima battuta escluso che possa essere imposta una qualche sorveglianza dell’insieme delle informazioni trasmesse in quanto tale misura contrasterebbe con le previsioni contenute nell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 ai sensi del quale è vietato imporre, in particolare ai fornitori di accesso ad una rete di comunicazione, un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono. Riguardo alla misura consistente nel chiudere completamente la connessione a Internet, la Corte ha ritenuto che la sua attuazione comporterebbe una grave violazione della libertà di impresa del fornitore dell’accesso ad Internet al quale verrebbe ingiustamente vietata la possibilità di proseguire tale attività. La Corte ha tuttavia ritenuto che il fornitore sia tenuto ad adottare misure adeguate, secondo un corretto bilanciamento fra i diritti fondamentali in gioco (diritto all’attività economica, libertà di informazione e diritto d’autore). Le misure tecniche che possono essere imposte al fornitore dei servizi devono essere abbastanza efficaci da impedire o, almeno, da rendere difficilmente realizzabili le eventuali violazioni dei diritti d’autore di terzi sull’opera trasmessa attraverso la rete WI-FI. A tal proposito la misura di proteggere la connessione a Internet mediante una password può dissuadere gli utenti di tale connessione dal violare un diritto d’autore o diritti connessi, nei limiti in cui tali utenti siano obbligati a rivelare la loro identità al fine di ottenere la password richiesta e non possano quindi agire anonimamente.

Per tali ragioni la Corte di Giustizia ha risolto la domanda pregiudiziale nel senso di ritenere che anche il fornitore di accesso alla rete internet WI-FI può essere destinatario di un’ingiunzione che lo obblighi ad adottare misure tecniche di protezione ragionevoli volte ad impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una determinata opera protetta dal diritto d’autore. Tuttavia la Corte ha precisato che le misure tecniche che possono essere imposte al fornitore della connessione internet devono essere valutate caso per caso dal giudice del merito.