diritto d’autore

LA TASSAZIONE AGEVOLATA PREVISTA DAL DECRETO PATENT BOX SI APPLICA ANCHE AGLI AGGIORNAMENTI SOFTWARE

14/03/2017

Con risoluzione n. 28/E l’Agenzia risponde positivamente al quesito proposto da una società attiva nel settore della produzione di programmi per elaboratori elettronici circa l’applicabilità del regime di tassazione agevolata stabilito dal Decreto Patent Box ai redditi derivanti da attività di concessione in uso del prodotto, qualora consistano in attività di implementazione, aggiornamento, personalizzazione e customizzazione del software, in considerazione dell’obbligatorietà, prevista dalla norma, di svolgere un’attività di ricerca e sviluppo.


 

L’articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (c.d. “legge di stabilità 2015”) prevede un regime opzionale di tassazione agevolata (c.d. “Patent Box”) per i redditi derivanti dall’utilizzo di “software protetto da copyright, da brevetti industriali, da marchi d’impresa, da disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili”, con lo scopo di incentivare gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo.

Tale regime opzionale è stato disciplinato con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico e delle Finanze del 30 luglio 2015 (c.d. “Decreto Patent Box”).

Una società attiva nello sviluppo di software ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate in merito alla corretta individuazione delle attività che potrebbero considerarsi agevolabili; ed in particolare l’istante ha chiesto di conoscere se fosse corretto considerare assoggettabili alla tassazione agevolata le attività di licenza iniziale, canoni di assistenza/manutenzione, realizzazione delle c.d. modifiche del software applicativo dalla stessa sviluppato e registrato presso il Registro Pubblico Speciale Programmi per Elaboratore tenuto dalla SIAE.

L’Agenzia delle Entrate ha in primo luogo chiarito che, tra i beni immateriali che consentono alle imprese di accedere a tale regime opzionale di tassazione, vi è anche il software protetto da copyright – per tale intendendosi tutti i programmi per elaboratore in qualunque forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore. In secondo luogo l’Agenzia ha confermato che l’attività di concessione in uso del diritto all’utilizzo dei beni immateriali è agevolabile; sul punto ha sottolineato, inoltre, che per potere godere del regime di tassazione agevolato la società, in osservanza del principio del c.d. “nexus approach”, deve svolgere attività di sviluppo, mantenimento ed accrescimento del software che si sostanzino in attività di implementazione, aggiornamento, personalizzazione e customizzazione del software. L’Agenzia ha infine specificato che le attività come la formazione del personale, il basic help desk di c.d. “secondo livello”, il supporto telefonico, il canone periodico per l’utilizzo di software applicativi in cloud, ecc. – che configurano una forma puramente strumentale all’utilizzo del software, estranea al perimetro della sua tutela – non costituiscono attività agevolabili in quanto non rappresentano un esercizio esclusivo di una prerogativa autoriale.

IL TRIBUNALE DI ROMA ACCOGLIE IL RICORSO CAUTELARE PRESENTATO DALLA SIAE AVVERSO L’ATTIVITÀ DI “SECONDARY TICKETING”

03/02/2017

La Corte capitolina ha ritenuto di accogliere parzialmente le richieste formulate da parte della SIAE nel ricorso cautelare proposto avverso le società Live Nation 2 S.r.l., Seatwave Lts, Ticketbis Sociedad Limitada e Viagogo AG circa l’illecita rivendita on line di biglietti per i concerti dei Coldplay previsti per il 3-4 luglio 2017 allo stadio San Siro di Milano.


 

Nell’ottobre 2016 SIAE presentava, di fronte al Tribunale di Roma, ricorso cautelare per ottenere i) il sequestro dei siti identificati dai nomi a dominio www.seatwave.it, www.ticketbis.it e www.viagogo.it (nonché degli indirizzi IP associati ai predetti nomi a dominio, attuali e futuri), e/o il sequestro dei biglietti, relativi ai concerti italiani dei Coldplay, proposti in vendita su tali siti a prezzi superiori a quelli offerti, nonché ii) l’inibitoria, ai danni delle società resistenti Live Nation 2 S.r.l., Seatwave Lts, Ticketbis Sociedad Limitada e Viagogo AG, di commercializzare ulteriormente, direttamente o per mezzo di soggetti terzi, i suddetti biglietti – con fissazione della relativa penale in caso di inottemperanza.

L’azione proposta dalla SIAE, sostenuta con intervento adesivo dipendente anche da Federconsumatori, mirava a combattere il fenomeno del “secondary ticketing”, pratica commerciale per cui i biglietti messi in vendita dai rivenditori autorizzati dagli organizzatori degli eventi (cosiddetti rivenditori primari), una volta acquistati tramite il “canale primario”, vengono poi nuovamente commercializzati su piattaforme di commercio elettronico ad un prezzo notevolmente superiore rispetto a quello ufficiale praticato sul mercato primario.

Il Tribunale romano ha dichiarato che la rivendita individuale ed occasionale (c.d. bagarinaggio) sul mercato secondario di biglietti di eventi musicali, non possa ritenersi illecito sotto il profilo del diritto d’autore – neppure se eseguito ad un prezzo notevolmente maggiore di quello originario e per il tramite di piattaforme di commercio elettronico in grado di agevolare le suddette transazioni – non esistendo una norma che riconosca a favore degli artisti il diritto a ricevere un ulteriore compenso per ogni successiva rivendita del titolo di partecipazione ad un evento che riguardi la loro opera. Parimenti, il ruolo di hosting provider svolto dalle società resistenti doveva essere ritenuto, di per sé, lecito in quanto eseguito in conformità alla normativa nazionale e comunitaria.

Ciò premesso, la Corte ha però affermato che l’attività di “secondary ticketing” posta in essere dalle resistenti nel caso di specie deve essere ritenuta illecita nella misura in cui la rivendita dei biglietti veniva svolta in maniera professionale ed organizzata dalle medesime società che organizzavano l’evento e/o che gestivano piattaforme informatiche di commercio elettronico, ponendo in essere una vera e propria attività lucrativa che si interponeva tra i distributori ufficiali e i consumatori, traducendosi in una sostanziale elusione delle disposizioni a tutela del diritto patrimoniale d’autore e quindi in pregiudizio economico sia per gli autori rappresentati dalla SIAE che per i consumatori finali.

Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto di accogliere parzialmente le richieste formulate dalla SIAE, disponendo la sola inibitoria alla vendita diretta o indiretta sul mercato secondario dei biglietti dei concerti dei Coldplay, acquistati sul mercato primario sia on line che off line, escludendo invece la possibilità di disporre il sequestro nei termini in cui lo stesso era stato richiesto. Attesa la liceità dell’attività di hosting provider svolta dai siti, il sequestro dei biglietti è stato ritenuto impossibile da eseguirsi a causa dell’incapacità di distinguere quali biglietti fossero rivenduti per il tramite delle medesime piattaforme tra gli utenti finali (e quindi lecitamente) e quali dalle società titolari delle medesime piattaforme.

CORTE DI GIUSTIZIA UE: ANCHE IL FORNITORE DI ACCESSO ALLA RETE WI-FI É SOGGETTO ALL’OBBLIGO DI IMPEDIRE EVENTUALI VIOLAZIONI DEGLI ALTRUI DIRITTI D’AUTORE

25/01/2017

Il fornitore di accesso a una rete di comunicazione che consente al pubblico di connettersi a Internet, sebbene non risponda direttamente delle eventuali violazioni degli altrui diritti d’autore compiute da terzi, può essere destinatario di un provvedimento che gli imponga di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una specifica opera protetta dal diritto d’autore o parti di essa, qualora lo stesso fornitore abbia la possibilità di scegliere le misure tecniche da adottare per conformarsi a detta ingiunzione, anche se tale scelta si riduca alla sola misura consistente nel proteggere la connessione a Internet mediante una password.


 

Con la sentenza del 15 settembre 2016 resa nella causa C‑484/14 la Corte di Giustizia UE ha stabilito, tra gli altri, il principio secondo cui anche un fornitore di accesso a una rete WI-FI può essere destinatario di un provvedimento che gli imponga di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una specifica opera protetta dal diritto d’autore qualora esso possa adottare misure tecniche in grado di conformarsi a tale ingiunzione. La questione assume rilevanza se si pensa che il fornitore di accesso ad una rete WI-FI (nel caso sottoposto alla Corte si trattava del sig. Tobias Mc Fadden) non solo non partecipa direttamente alla violazione dell’altrui diritto d’autore (come potrebbe fare un service provider “attivo” in grado di memorizzare e ritrasmettere le informazioni oggetto della violazione dedotta) ma svolge una funzione di “mero trasporto” di informazioni trasmesse da altri (e quindi pone in essere un processo tecnico tendenzialmente automatico e passivo che intende assicurare esclusivamente l’esecuzione della trasmissione di informazioni richiesta).

Tra le questioni sottoposte all’attenzione della Corte di Giustizia dal Tribunale Regionale I di Monaco di Baviera vi era l’interpretazione della direttiva 2000/31, e più precisamente se questa debba essere intesa nel senso di ostare all’adozione di un’ingiunzione che imponga a un fornitore di accesso a una rete WI-FI gratuita l’obbligo di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico, attraverso tale connessione a Internet, su una piattaforma Internet di condivisione (peer-to-peer), una specifica opera protetta dal diritto d’autore o parti di essa, qualora il fornitore abbia la possibilità di scegliere le misure tecniche da adottare per conformarsi a tale ingiunzione. Le misure tecniche di protezione suggerite dal Tribunale Regionale tedesco erano quelle della chiusura della connessione internet, quella della protezione dell’accesso mediante password ed infine quella di esaminare tutte le informazioni trasmesse attraverso tale connessione.

In riferimento alle misure tecniche di protezione adottabili dal fornitore di accesso alla rete la Corte ha in prima battuta escluso che possa essere imposta una qualche sorveglianza dell’insieme delle informazioni trasmesse in quanto tale misura contrasterebbe con le previsioni contenute nell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 ai sensi del quale è vietato imporre, in particolare ai fornitori di accesso ad una rete di comunicazione, un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono. Riguardo alla misura consistente nel chiudere completamente la connessione a Internet, la Corte ha ritenuto che la sua attuazione comporterebbe una grave violazione della libertà di impresa del fornitore dell’accesso ad Internet al quale verrebbe ingiustamente vietata la possibilità di proseguire tale attività. La Corte ha tuttavia ritenuto che il fornitore sia tenuto ad adottare misure adeguate, secondo un corretto bilanciamento fra i diritti fondamentali in gioco (diritto all’attività economica, libertà di informazione e diritto d’autore). Le misure tecniche che possono essere imposte al fornitore dei servizi devono essere abbastanza efficaci da impedire o, almeno, da rendere difficilmente realizzabili le eventuali violazioni dei diritti d’autore di terzi sull’opera trasmessa attraverso la rete WI-FI. A tal proposito la misura di proteggere la connessione a Internet mediante una password può dissuadere gli utenti di tale connessione dal violare un diritto d’autore o diritti connessi, nei limiti in cui tali utenti siano obbligati a rivelare la loro identità al fine di ottenere la password richiesta e non possano quindi agire anonimamente.

Per tali ragioni la Corte di Giustizia ha risolto la domanda pregiudiziale nel senso di ritenere che anche il fornitore di accesso alla rete internet WI-FI può essere destinatario di un’ingiunzione che lo obblighi ad adottare misure tecniche di protezione ragionevoli volte ad impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una determinata opera protetta dal diritto d’autore. Tuttavia la Corte ha precisato che le misure tecniche che possono essere imposte al fornitore della connessione internet devono essere valutate caso per caso dal giudice del merito.

VIOLAZIONE DEL DIRITTO D’AUTORE SULLA BANCA DATI E ILLECITO CONCORRENZIALE. IL TRIBUNALE DI MILANO ESAMINA L’APPLICAZIONE DI FACEBOOK “NEARBY”

09/12/2016

Il Tribunale di Milano, con sentenza non definitiva pubblicata in data 1° agosto 2016, ha accolto le domande dell’attrice Business Competence s.r.l., accertando la responsabilità in solido delle convenute Facebook s.r.l., Facebook Inc. e Facebook Ireland Ltd per violazione del diritto d’autore sulla banca dati elettronica rappresentata dall’applicazione “Faround” di titolarità dell’attrice, nonché per atti di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. Il Tribunale ha inoltre disposto l’inibitoria – assistita da penale – con riferimento a ogni ulteriore utilizzo dell’applicazione concorrente “Nearby” di Facebook, e la pubblicazione del dispositivo della sentenza, rimettendo la causa in istruttoria per la quantificazione del danno.


 

Nel caso di specie Business Competence s.r.l., società attiva nel settore dei servizi marketing online, aveva elaborato nel 2012 un’applicazione per telefono mobile che selezionava e organizzava i dati presenti sui profili Facebook degli utenti e che consentiva di visualizzare gli esercizi commerciali più vicini, completi dei dati rilevanti e di eventuali offerte e recensioni, denominata “Faround”. L’applicazione veniva registrata nel Facebook App Center, contenente le applicazioni collaudate e approvate da Facebook, e poi inserita nell’App Store di Facebook. Circa due mesi dopo, tuttavia, Facebook annunciava il lancio di “Nearby”, applicazione concorrente a “Faround” e che di quest’ultima clonava la sostanza, secondo la prospettazione attorea, modificandone solo il layout grafico di visualizzazione.

Il Tribunale di Milano – rigettate le eccezioni di carenza di giurisdizione e di legittimazione passiva formulate dalle convenute – ha accertato la responsabilità di Facebook Inc., Facebook Ireland Ltd e Facebook Italia s.r.l. sia per violazione del diritto d’autore sulle banche dati sia per concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, c.c.

Il Collegio ha anzitutto qualificato “Faround” quale banca dati, implementata in forma di programma per elaboratore, avente carattere creativo – come confermato anche dalla CTU disposta nel corso del giudizio – e precisando che il criterio da applicare per la valutazione del gradiente minimo di creatività concerne unicamente la scelta o la disposizione del materiale.

I giudici hanno quindi ritenuto che “Nearby” di Facebook è una elaborazione del programma “Faround” di Business Competence, resa possibile dall’analisi dello stesso programma da parte delle convenute e nello specifico dalla consegna della copia eseguibile di “Faround” ai fini di collaudo. D’altra parte Facebook non avrebbe provato di aver elaborato in modo autonomo e indipendente la propria applicazione, né – nonostante la richiesta del giudice – ha mai prodotto il relativo codice sorgente, così impedendo l’analisi e il confronto dettagliati con l’applicazione concorrente.

Il Tribunale ha infine confermato la responsabilità delle convenute per violazione dell’art. 2598 n. 3 c.c., in quanto si sarebbero appropriate parassitariamente degli investimenti altrui per la creazione di un’opera di rilevante valore economico, peraltro abusando del rapporto di fiducia e affidamento generato dai contatti e dai rapporti instaurati con lo sviluppatore Business Competence e violando gli obblighi di buona fede, affidamento e correttezza.

A questo proposito, il Tribunale ha precisato che in alcun modo Facebook era autorizzata ad analizzare il programma “Faround” per sviluppare un’applicazione simile e destinata alla medesima utenza. E ciò in quanto l’art. 64ter l.a. consente operazioni di analisi unicamente nei limiti in cui siano finalizzate all’uso e alla destinazione tipica del programma, mentre vieta tali attività per scopi commerciali, a pena di nullità della relativa clausola contrattuale. Pertanto, le clausole inserite nel contratto tra le parti, e che consentivano a Facebook di “analizzare le applicazioni, i contenuti e i dati per qualsiasi scopo, anche commerciale”, devono ritenersi nulle.

 


I PROGRAMMI PER COMPUTER E LA (RI) VENDITA DI COPIE TRAMITE SUPPORTE NON ORIGINALI

14/10/2016

La Corte di Giustizia con la recente decisione del 12 ottobre 2016 si è nuovamente occupata dell’esaurimento del diritto di distribuzione per la vendita di copie usate di programmi per elaboratore. La questione è giunta alla corte europea a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte Regionale di Riga, Collegio speciale degli affari penali, Lettonia, nel procedimento penale a carico dei signori Aleksandrs Ranks e Jurijs Vasiļevičs per aver venduto on-line diverse copie di software editi da Microsoft e tutelati dal diritto d’autore.


 

Il giudice del rinvio ha dunque chiesto alla Corte se gli articoli 4, lettere a) e c), e 5, paragrafi 1 e 2, della direttiva 91/250/CEE del Consiglio, debbano essere interpretati nel senso che l’acquirente di una copia “usata” di un programma per elaboratore, registrata su un supporto fisico non originale, possa, in applicazione della regola dell’esaurimento del diritto di distribuzione del titolare del diritto, vendere a terzi tale copia qualora (i) il supporto fisico originale di tale programma, consegnato al primo acquirente, sia stato deteriorato e (ii) quest’ultimo abbia cancellato la copia del software installata sul proprio PC o abbia cessato di utilizzarlo.

La Corte in prima battura ha precisato che è noto il principio per cui il diritto di distribuzione di una copia di un programma per elaboratore si considera esaurito qualora il titolare del diritto abbia (i) autorizzato la prima vendita della copia stessa e (ii), a fronte di un corrispettivo economico, ne abbia conferito il diritto di utilizzo senza limitazioni di durata (come affermato dalla stessa Corte di Giustizia nella nota sentenza UsedSoft./.Oracle del 3 luglio 2012, causa C-128/11).

La citata regola dell’esaurimento del diritto di distribuzione si applica alle copie del software licenziato sia che queste siano registrate su un supporto analogico che siano state scaricate tramite download dal sito internet del titolare del diritto in quanto, sempre secondo la Corte, la direttiva non opera alcuna distinzione tra la forma tangibile o intangibile della copia stessa. Tuttavia il primo acquirente, se intende rivendere la copia del software acquistata, deve renderla inutilizzabile ovvero rimuoverla dal proprio PC.

Il caso in esame concerne proprio la rivendita a terzi da parte dei signori Aleksandrs Ranks e Jurijs Vasiļevičs di copie dei software Microsoft registrate su supporti non originali in quanto, a detta di quest’ultimi, il supporto originale si sarebbe deteriorato o distrutto. Nel procedimento non vi erano evidenze idonee a dimostrare che le copie dei software Microsoft oggetto di rivendita fossero state legittimamente acquisite da parte dei signori Aleksandrs Ranks e Jurijs Vasiļevičs.

A fronte di tali argomentazioni la Corte ha escluso che la copia di riserva di un programma per elaboratore, sebbene legittima ai sensi dell’art. 5, paragrafo 2 della citata direttiva, possa essere oggetto di vendita a terzi senza il consenso del titolare del diritto. Tuttavia la Corte ha precisato che l’acquirente legittimo di una licenza d’uso illimitata di una copia del programma per elaboratore deve essere in grado, qualora il supporto su cui originariamente la copia licenziata è andato distrutto o deteriorato, di scaricare nuovamente la suddetta copia tramite il sito internet del titolare del diritto per il proprio esclusivo uso.

In conclusione la Corte ha chiarito che l’acquirente iniziale di una licenza d’uso illimitata di un software ha il diritto a rivendere a terzi la copia installata sul proprio PC non potendo, tuttavia, questi cedere la copia di riserva di tale software qualora il supporto originale su cui tale copia era stata registrata si sia deteriorato e/o distrutto. In ogni caso è onere di chi invoca l’applicazione del principio dell’esaurimento del diritto di distribuzione dimostrare, con ogni mezzo di prova, di aver legittimamente acquisito una licenza d’uso illimitata della singola copia rivenduta (oltre che di aver reso inutilizzabile/cancellato la copia originariamente installata sul proprio PC).