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REGOLAMENTO AGCOM LEGITTIMO: LO DECIDE CON UNA RECENTISSIMA SENTENZA IL TAR DELLA REGIONE LAZIO. LO STUDIO LGV AVVOCATI SI ERA GIÀ OCCUPATO DELLA QUESTIONE NEL 25ESIMO QUADERNO DI AIDA “IL REGOLAMENTO AGCOM SUL DIRITTO D’AUTORE”.

4/04/2017

Con sentenza pubblicata il 30 marzo 2017, il TAR del Lazio ha deciso che è legittimo il Regolamento adottato da AGCOM con delibera n. 680/13/CON del 12 dicembre 2013 recante una disciplina per la tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica. La questione ed il Regolamento sono stati commentati dall’Avv. Simona Lavagnini all’indomani della sua emanazione, nel 2014, con alcuni contributi pubblicati nel 25esimo Quaderno di AIDA “Il regolamento Agcom sul diritto d’autore”.


 

AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) è un organo amministrativo di controllo e garanzia preposto allo svolgimento della duplice funzione di monitoraggio della concorrenza nel mercato e della tutela dei diritti fondamentali nei settori delle telecomunicazioni, dei mass media e dell’editoria. Nel dicembre 2013, AGCOM adottava il Regolamento oggetto di recente controversia con il quale introduceva una disciplina per la tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, al fine di assicurare ai titolari dei diritti il beneficio della protezione autorale anche in ambito digitale. In particolare, il Regolamento AGCOM prevede che il titolare del diritto d’autore, qualora ritenga che un’opera digitale sia stata resa disponibile su una pagina internet in violazione della legge sul diritto d’autore (L. n. 633 del 1941), può presentare un’istanza all’Autorità, chiedendone la rimozione. La presentazione dell’istanza da parte del soggetto interessato determina l’instaurarsi di un procedimento istruttorio innanzi all’Autorità stessa che può o concludersi con l’archiviazione disposta dalla Direzione servizi media dell’Autorità o, se ritenuta sussistente una violazione, consentire all’Autorità di disporre la rimozione selettiva delle opere oppure la disabilitazione dell’accesso alle stesse oppure ancora la disabilitazione dell’accesso al sito. La portata innovativa dell’attribuzione di tali poteri all’Autorità ha portato parte della dottrina italiana ad approfondire la tematica attraverso la pubblicazione della citata 25esima edizione dei Quaderni di AIDA interamente dedicata al regolamento AGCOM, per la realizzazione della quale l’Avv. Simona Lavagnini ha portato attivamente il suo contributo.

Successivamente, varie associazioni di categoria e di tutela dei consumatori proponevano ricorso amministrativo contro il Regolamento AGCOM, lamentando che la sua adozione da parte dell’Autorità costituiva una violazione del principio di legalità nonché, più in generale, un esercizio di poteri non conferiti dalla legge alla suddetta Autorità. Con sentenza del 30 marzo 2017, il TAR del Lazio ha rigettato totalmente il ricorso proposto, ritenendone infondati i motivi nel merito.

Innanzitutto, il Giudice amministrativo ha rilevato che, da una lettura sistematica delle norme applicabili in materia, emerge che i prestatori dei servizi di comunicazione elettronica, pur non essendo soggetti a un obbligo generale di sorveglianza o di ricerca di fatti o circostanze illecite sulla loro rete, sono comunque obbligati a collaborare con AGCOM al fine di garantire una tutela efficace del diritto d’autore. Pertanto, ne discende che debba essere riconosciuto necessariamente un potere di vigilanza in capo all’Autorità: “una lettura sistematica delle disposizioni normative sin qui richiamate conferma la sussistenza dei poteri regolamentari esercitati da AGCOM nonché di quello di vigilanza, nei confronti dei prestatori dei servizi, da esercitarsi anche con l’imposizione di misure volte a porre termine alle violazioni della disciplina sul diritto d’autore, attraverso rimedi che si pongono in concorrenza, e non in sostituzione, di quelli già attribuiti all’Autorità giudiziaria”. Così statuendo, il Tribunale amministrativo ha confermato sussistenti in capo ad AGCOM i compiti di regolamentazione e di vigilanza nel settore del diritto d’autore (cui, peraltro, l’Autorità si era attenuta proprio con l’adozione del Regolamento in parola) senza che lo svolgimento di tali funzioni potesse considerarsi un’invasione della giurisdizione del giudice ordinario (c.d. “doppio binario giudiziario-amministrativo”). Inoltre, il TAR non riscontrava alcun profilo di illegittimità costituzionale inerente al Regolamento o alla procedura seguita per la sua adozione, osservando sul punto che: “il potere regolamentare di AGCOM è stato, nella specie, validamente esercitato e la disciplina delle modalità di esercizio delle funzioni di vigilanza dell’Autorità nel settore delle comunicazioni elettroniche, descritta nel regolamento impugnato, non presenta potenziali profili di incostituzionalità che debbano essere sottoposti al Giudice delle leggi”.

Il Tribunale amministrativo ha riconosciuto all’Autorità il potere di emanare provvedimenti inibitori, anche in conformità alla normativa europea. Ha inoltre rigettato il motivo di ricorso proposto dai ricorrenti a mente del quale i costi delle rimozioni sono integralmente a carico degli ISP (internet service provider), mentre i titolari del diritto d’autore, che non incontrano limiti nel numero di segnalazioni che possono avanzare, non contribuiscono in alcun modo al bilancio dell’Autorità. In merito il TAR puntualmente osservava che: “non può farsi discendere dall’assenza del contributo un diniego di tutela, non trattandosi di prestazioni corrispettive”. Infine, il Giudice amministrativo rilevava che lo Schema di Regolamento era stato regolarmente notificato alla Commissione Europea a norma della Direttiva 98/34 (c.d. direttiva trasparenza), le cui osservazioni in merito erano state successivamente integrate dall’Autorità in una seconda versione del testo rispetto al quale la Commissione ha affermato di non avere più alcuna osservazione da proporre. Dunque, nemmeno sotto questo profilo il TAR ha riscontrato alcun fondamento per ordinare l’annullamento del Regolamento AGCOM, e cumulativamente con le ragioni di cui sopra, ha rigettato il ricorso proposto contro lo stesso.


LA COMMISSIONE EUROPEA PRESENTA LA PROPOSTA DI REGOLAMENTO UE SULLA c.d.  “E-PRIVACY”.

28/03/2017

Lo scorso 10 gennaio 2017 la Commissione Europea ha trasmesso al Parlamento Europeo la proposta di regolamento in materia di protezione dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche. Tale proposta, che si innesta nella più ampia “Strategia per il Mercato Unico Digitale” recentemente promossa dalle istituzioni UE al fine di accrescere la fiducia del cittadino nei servizi digitali e la sicurezza degli stessi, costituirà una lex specialis rispetto al Nuovo Regolamento UE n. 679/2016 in materia di privacy ed integrerà la disciplina normativa a protezione delle informazioni contenute nelle comunicazioni elettroniche ed aventi carattere di “dato personale”. Se approvata, la nuova disciplina abrogherà la Direttiva Europea 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.


 

Scopo del regolamento è adeguare l’attuale assetto normativo europeo all’evoluzione registrata nel settore delle comunicazioni elettroniche, in particolare a seguito dell’affermazione sul mercato di nuovi modelli di comunicazione e messaggistica c.d. “over the top”, quali Facebook, Whatsapp e Skype.

Tra le principali novità contenute nella proposta di regolamento si segnalano: i) la previsione di regole più stringenti per il trattamento, da parte del fornitore di comunicazioni elettroniche, dei dati oggetto delle stesse: il fornitore sarà infatti tenuto a cancellare o comunque anonimizzare tali dati dopo che il destinatario della comunicazione ne abbia ricevuto il contenuto (art. 7); ii) la semplificazione delle regole in materia di “cookies”: verrà infatti meno l’obbligo del consenso dell’utente per il salvataggio, tra l’altro, dei cookies necessari a misurare il numero di visitatori di un sito o che siano necessari a garantirne la funzionalità a beneficio dell’utente (es. memorizzazione degli articoli inseriti nel carrello di un sito e-commerce) (art. 8); iii) la previsione di maggiori garanzie per gli utenti dei c.d. servizi di comunicazione interpersonale basati su un numero (es. servizi di telefonia mobile): i fornitori di tali servizi saranno tenuti a mettere a disposizione dell’utente servizi che gli consentano il blocco generalizzato di chiamate in forma anonima o provenienti da specifiche numerazioni (artt. 12 e 14).

In base all’iter legislativo per l’approvazione delle normative europee, la proposta di regolamento, perché acquisti forza di legge e diventi direttamente applicabile in tutti gli Stati Membri, dovrà ora essere approvata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea. L’obiettivo è che il regolamento entri in vigore il 25 maggio 2018, insieme al Regolamento UE in materia di privacy.


LA TASSAZIONE AGEVOLATA PREVISTA DAL DECRETO PATENT BOX SI APPLICA ANCHE AGLI AGGIORNAMENTI SOFTWARE

14/03/2017

Con risoluzione n. 28/E l’Agenzia risponde positivamente al quesito proposto da una società attiva nel settore della produzione di programmi per elaboratori elettronici circa l’applicabilità del regime di tassazione agevolata stabilito dal Decreto Patent Box ai redditi derivanti da attività di concessione in uso del prodotto, qualora consistano in attività di implementazione, aggiornamento, personalizzazione e customizzazione del software, in considerazione dell’obbligatorietà, prevista dalla norma, di svolgere un’attività di ricerca e sviluppo.


 

L’articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (c.d. “legge di stabilità 2015”) prevede un regime opzionale di tassazione agevolata (c.d. “Patent Box”) per i redditi derivanti dall’utilizzo di “software protetto da copyright, da brevetti industriali, da marchi d’impresa, da disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili”, con lo scopo di incentivare gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo.

Tale regime opzionale è stato disciplinato con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico e delle Finanze del 30 luglio 2015 (c.d. “Decreto Patent Box”).

Una società attiva nello sviluppo di software ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate in merito alla corretta individuazione delle attività che potrebbero considerarsi agevolabili; ed in particolare l’istante ha chiesto di conoscere se fosse corretto considerare assoggettabili alla tassazione agevolata le attività di licenza iniziale, canoni di assistenza/manutenzione, realizzazione delle c.d. modifiche del software applicativo dalla stessa sviluppato e registrato presso il Registro Pubblico Speciale Programmi per Elaboratore tenuto dalla SIAE.

L’Agenzia delle Entrate ha in primo luogo chiarito che, tra i beni immateriali che consentono alle imprese di accedere a tale regime opzionale di tassazione, vi è anche il software protetto da copyright – per tale intendendosi tutti i programmi per elaboratore in qualunque forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore. In secondo luogo l’Agenzia ha confermato che l’attività di concessione in uso del diritto all’utilizzo dei beni immateriali è agevolabile; sul punto ha sottolineato, inoltre, che per potere godere del regime di tassazione agevolato la società, in osservanza del principio del c.d. “nexus approach”, deve svolgere attività di sviluppo, mantenimento ed accrescimento del software che si sostanzino in attività di implementazione, aggiornamento, personalizzazione e customizzazione del software. L’Agenzia ha infine specificato che le attività come la formazione del personale, il basic help desk di c.d. “secondo livello”, il supporto telefonico, il canone periodico per l’utilizzo di software applicativi in cloud, ecc. – che configurano una forma puramente strumentale all’utilizzo del software, estranea al perimetro della sua tutela – non costituiscono attività agevolabili in quanto non rappresentano un esercizio esclusivo di una prerogativa autoriale.

RISARCIMENTO DEL DANNO DA ILLECITO ANTITRUST: ENTRA IN VIGORE IL DECRETO LEGISLATIVO N. 3/2017

08/03/2017

In data 3 febbraio 2017 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 3/2017 che, in attuazione della direttiva 2014/104/UE, disciplina le azioni per il risarcimento del danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un’impresa o di una associazione di imprese. Il decreto introduce rilevanti novità in materia di legittimazione ad agire, danno risarcibile, efficacia delle decisioni dell’AGCM e competenza territoriale.


 

Con il decreto n. 3/2017 è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova disciplina che regola, sia sotto il profilo sostanziale che sotto il profilo processuale, la tutela risarcitoria per le violazioni delle disposizioni in materia di diritto della concorrenza.

Con riferimento all’ambito applicativo, innanzitutto, il decreto disciplina “il diritto al risarcimento in favore di chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza”, nel quale rientrano – per espressa disposizione legislativa (art. 2 del decreto) – gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, gli articoli 2, 3 e 4 della Legge n. 287/1990 (in materia di intese e abuso di posizione dominante), ed ogni altra disposizione, nazionale o europea, volta a perseguire le stesse finalità di tali norme.

Potrà agire in giudizio qualunque persona, fisica o giuridica, o ente privo di personalità, che ha subito un danno derivante da una violazione del diritto della concorrenza. Sarà legittimato ad agire, più precisamente, sia l’acquirente diretto sia l’acquirente indiretto dell’autore della violazione. La normativa, quindi, dà applicazione al principio che prevede in materia un’ampia legittimazione ad agire, già riconosciuto dalla giurisprudenza comunitaria.

Per quanto riguarda il danno risarcibile, il decreto chiarisce in primo luogo che esso comprende il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi, con esclusione dei c.d. danni punitivi, previsti negli ordinamenti anglosassoni. La normativa stabilisce inoltre che esso va determinato in base agli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. A questo proposito risultano degne di nota: i) la possibilità per il giudice di chiedere assistenza all’AGCM formulando specifiche richieste sugli orientamenti che riguardano la quantificazione del danno, nonché ii) la presunzione circa “l’esistenza del danno cagionato da una violazione del diritto alla concorrenza consistente in un cartello.

Particolarmente rilevante è inoltre la disciplina relativa all’ordine di esibizione, volta a superare l’asimmetria informativa che si pone quale principale ostacolo per ottenere il risarcimento da parte dei soggetti danneggiati da illeciti antitrust. Il giudice potrà infatti ordinare l’esibizione delle prove che riterrà rilevanti non solo alle parti e ai soggetti terzi – su istanza motivata di parte -, ma anche all’autorità garante della concorrenza (con riferimento alle prove contenute nel fascicolo di un procedimento). Tale ultima possibilità è prevista in via residuale, ovvero quando né le parti né i terzi sono ragionevolmente in grado di fornire la prova, e purché l’esibizione sia valutata come proporzionale.

Un’ulteriore novità fondamentale riguarda, poi, l’efficacia probatoria delle decisioni dell’autorità garante della concorrenza, già oggetto di discussione giurisprudenziale. Ai sensi dell’art. 7 del decreto, infatti, si deve considerare definitivamente accertata, nei confronti dell’autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell’AGCM divenuta definitiva. L’accertamento risulta vincolante per quanto riguarda la natura della violazione e la sua portata, ma risultano esclusi i profili relativi al nesso di causalità e all’esistenza del danno, che dovranno quindi essere provati dall’attore e accertati in giudizio.

I giudizi in questione, infine, già attribuiti alla competenza inderogabile delle Sezioni Specializzate in materia di impresa, saranno trattati esclusivamente dagli uffici giudiziari di Milano, Roma, e Napoli.

IL GIUDICE COMPETENTE IN TEMA DI AZIONE DI RISARCIMENTO DEI DANNI DERIVANTI DALLE VENDITE TRANSFRONTALIERE TRAMITE SITI WEB? PER LA CGE È QUELLO STATO IN CUI SI EFFETTUANO LE CONSEGNE!

02/03/2017

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito che l’articolo 5, punto 3, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio (concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) dev’essere interpretato – al fine di attribuire la competenza giurisdizionale – nel senso che si deve considerare come luogo in cui il danno si è prodotto il territorio dello Stato membro che protegge il divieto di vendita al di fuori di una rete di distribuzione selettiva di prodotti. È irrilevante la circostanza che i siti internet che offrono i beni oggetto della rete di distribuzione selettiva – al di fuori dalla stessa reta – operino in Stati membri diversi da quello del Giudice adito per conoscere dell’azione risarcitoria.


 

La società francese Concurrence concludeva con la Samsung un contratto di distribuzione avente ad oggetto i prodotti di alta gamma del marchio coreano, identificati con la gamma “Elite”. Tale contratto prevedeva un espresso divieto di vendita dei prodotti tramite il canale internet.

In seguito Samsung notificava a Concurrence la fine del loro rapporto contrattuale lamentando la violazione, da parte di quest’ultima, del divieto di vendita online dei prodotti oggetto della rete di distribuzione selettiva. Concurrence, a sua volta, contestava la legittimità di alcune clausole di tale contratto affermando, in particolare, che esse non erano applicate in maniera uniforme a tutti i distributori, taluni dei quali commercializzavano i prodotti in questione su siti internet di Amazon, senza reazione da parte della Samsung.

Seguivano, quindi, tra le parti due gradi giudizi (uno davanti al Tribunale di Parigi e l’altro davanti alla Corte d’Appello di Parigi) in cui le istanze di Concurrence venivano rigettate, sicché quest’ultima adiva la Corte di Cassazione francese. Concurrence rilevava che la sentenza della Corte d’Appello di Parigi aveva dichiarato erroneamente l’incompetenza del giudice francese a conoscere l’azione relativa ai siti Amazon operanti all’esterno del territorio dello Stato membro. In particolare, secondo Concurrence, la Corte d’Appello di Parigi avrebbe omesso illegittimamente di verificare se il sistema di vendita sui siti internet di Amazon consentisse di spedire i prodotti messi in vendita non solo nello Stato membro di origine del sito internet interessato, ma anche negli altri Stati membri, e segnatamente in Francia, il che avrebbe consentito di giustificare la competenza del giudice francese

La Corte di Cassazione francese decideva di sospendere il procedimento e chiedeva alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 al fine di attribuire la competenza giurisdizionale conferita da tale disposizione a conoscere di un’azione risarcitoria promossa per violazione del divieto di vendita al di fuori di una rete di distribuzione selettiva risultante dall’offerta, su siti internet operanti in diversi Stati membri, di prodotti che costituiscono oggetto di tale rete.

Con la decisione in commento la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che nel caso in esame il giudice competente a decidere la controversia è quello dello Stato membro in cui il danno lamentato si concretizza, tenendo conto della riduzione del volume delle vendite subite dal negoziante e della conseguente perdita del suo profitto, essendo irrilevante la circostanza che i siti Internet sui quali appare l’offerta dei prodotti oggetto del diritto di distribuzione selettiva operino in Stati membri diversi da quello cui fa capo il Giudice adito.