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L’ITALIA RATIFICA L’ACCORDO SUL TRIBUNALE UNIFICATO DEI BREVETTI

22/02/2017

In data 10 febbraio 2017, con il deposito della ratifica dell’accordo sul Tribunale unificato dei brevetti (TUB), l’Italia è diventato il dodicesimo Stato Membro a ratificare l’accordo che introduce un nuovo sistema per i Brevetti Europei. Allo stato l’accordo è stato già ratificato da Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia e Finlandia. Affinché il Tribunale possa diventare operativo è necessario che l’accordo venga ratificato da tredici Stati, tra cui Francia, Germania e Regno Unito. Mentre la ratifica da parte della Francia è già avvenuta e quella della Germania sembra essere una mera formalità, più complesse sono le relazioni tra il Regno Unito e il nuovo Tribunale per l’effetto del voto sulla Brexit.


 

Con la legge n. 214 del 3 novembre 2016, che ha autorizzato il Presidente Mattarella alla ratifica dell’accordo, sono state introdotte anche nuove misure di carattere sostanziale nel nostro sistema brevettuale che riguardano il cuore della protezione brevettuale ed in particolare la protezione contro la cosiddetta “violazione indiretta”: il nuovo comma 2bis dell’art. 66 del d. lgs. n. 30/2005 conferisce ora espressamente al titolare del brevetto il diritto “di vietare ai terzi…di fornire o di offrire di fornire a soggetti diversi dagli aventi diritto all’utilizzazione dell’invenzione brevettata i mezzi relativi a un elemento indispensabile di tale invenzione e necessari per la sua attuazione nel territorio di uno Stato in cui la medesima sia protetta, qualora il terzo abbia conoscenza dell’idoneità e della destinazione di detti mezzi ad attuare l’invenzione o sia in grado di averla con l’ordinaria diligenza.”

Va quindi sottolineato che la violazione indiretta non richiede necessariamente la conoscenza positiva della destinazione ma è sufficiente che il terzo “sia in grado di averla con l’ordinaria diligenza.” Non sussistono gli estremi della violazione indiretta “quando i mezzi sono costituiti da prodotti che si trovano correntemente in commercio, a meno che il terzo non induca il soggetto a cui sono forniti a compiere” la violazione del brevetto (cosi come definita dalla norma in parola).

Si noti che la norma non opera alcuna distinzione tra brevetti nazionali e brevetti europei con l’effetto che i principi sopra descritti troveranno applicazione per entrambe le categorie e le modifiche della disciplina sostanziale saranno applicabili anche ai titoli nazionali.

Già nel mese di ottobre dell’anno scorso, il Ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva individuato un palazzo in via San Barnaba 50 a Milano per la sede locale del Tribunale Unificato dei Brevetti. Con la ratifica dell’accordo ora avvenuta è stato fatto un ulteriore importante passo verso il nuovo sistema brevettuale.

IL TRIBUNALE DI ROMA ACCOGLIE IL RICORSO CAUTELARE PRESENTATO DALLA SIAE AVVERSO L’ATTIVITÀ DI “SECONDARY TICKETING”

03/02/2017

La Corte capitolina ha ritenuto di accogliere parzialmente le richieste formulate da parte della SIAE nel ricorso cautelare proposto avverso le società Live Nation 2 S.r.l., Seatwave Lts, Ticketbis Sociedad Limitada e Viagogo AG circa l’illecita rivendita on line di biglietti per i concerti dei Coldplay previsti per il 3-4 luglio 2017 allo stadio San Siro di Milano.


 

Nell’ottobre 2016 SIAE presentava, di fronte al Tribunale di Roma, ricorso cautelare per ottenere i) il sequestro dei siti identificati dai nomi a dominio www.seatwave.it, www.ticketbis.it e www.viagogo.it (nonché degli indirizzi IP associati ai predetti nomi a dominio, attuali e futuri), e/o il sequestro dei biglietti, relativi ai concerti italiani dei Coldplay, proposti in vendita su tali siti a prezzi superiori a quelli offerti, nonché ii) l’inibitoria, ai danni delle società resistenti Live Nation 2 S.r.l., Seatwave Lts, Ticketbis Sociedad Limitada e Viagogo AG, di commercializzare ulteriormente, direttamente o per mezzo di soggetti terzi, i suddetti biglietti – con fissazione della relativa penale in caso di inottemperanza.

L’azione proposta dalla SIAE, sostenuta con intervento adesivo dipendente anche da Federconsumatori, mirava a combattere il fenomeno del “secondary ticketing”, pratica commerciale per cui i biglietti messi in vendita dai rivenditori autorizzati dagli organizzatori degli eventi (cosiddetti rivenditori primari), una volta acquistati tramite il “canale primario”, vengono poi nuovamente commercializzati su piattaforme di commercio elettronico ad un prezzo notevolmente superiore rispetto a quello ufficiale praticato sul mercato primario.

Il Tribunale romano ha dichiarato che la rivendita individuale ed occasionale (c.d. bagarinaggio) sul mercato secondario di biglietti di eventi musicali, non possa ritenersi illecito sotto il profilo del diritto d’autore – neppure se eseguito ad un prezzo notevolmente maggiore di quello originario e per il tramite di piattaforme di commercio elettronico in grado di agevolare le suddette transazioni – non esistendo una norma che riconosca a favore degli artisti il diritto a ricevere un ulteriore compenso per ogni successiva rivendita del titolo di partecipazione ad un evento che riguardi la loro opera. Parimenti, il ruolo di hosting provider svolto dalle società resistenti doveva essere ritenuto, di per sé, lecito in quanto eseguito in conformità alla normativa nazionale e comunitaria.

Ciò premesso, la Corte ha però affermato che l’attività di “secondary ticketing” posta in essere dalle resistenti nel caso di specie deve essere ritenuta illecita nella misura in cui la rivendita dei biglietti veniva svolta in maniera professionale ed organizzata dalle medesime società che organizzavano l’evento e/o che gestivano piattaforme informatiche di commercio elettronico, ponendo in essere una vera e propria attività lucrativa che si interponeva tra i distributori ufficiali e i consumatori, traducendosi in una sostanziale elusione delle disposizioni a tutela del diritto patrimoniale d’autore e quindi in pregiudizio economico sia per gli autori rappresentati dalla SIAE che per i consumatori finali.

Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto di accogliere parzialmente le richieste formulate dalla SIAE, disponendo la sola inibitoria alla vendita diretta o indiretta sul mercato secondario dei biglietti dei concerti dei Coldplay, acquistati sul mercato primario sia on line che off line, escludendo invece la possibilità di disporre il sequestro nei termini in cui lo stesso era stato richiesto. Attesa la liceità dell’attività di hosting provider svolta dai siti, il sequestro dei biglietti è stato ritenuto impossibile da eseguirsi a causa dell’incapacità di distinguere quali biglietti fossero rivenduti per il tramite delle medesime piattaforme tra gli utenti finali (e quindi lecitamente) e quali dalle società titolari delle medesime piattaforme.

LGV CURA LA SEZIONE ITALIANA DELLA RECENTE GUIDA CHAMBERS 2017 SUI MARCHI

31/01/2017

È stata pubblicata la Trade Marks Guide 2017, edita da Chambers&Partners, di cui LGV Avvocati ha curato la sezione italiana. Gli avvocati Simona Lavagnini, Tankred Thiem, Alessandro Bura e Virginia Paparozzi hanno approfondito tutti gli aspetti relativi ai marchi, fornendo un quadro completo di riferimento sia dal punto di vista teorico che pratico.

CORTE DI GIUSTIZIA UE: ANCHE IL FORNITORE DI ACCESSO ALLA RETE WI-FI É SOGGETTO ALL’OBBLIGO DI IMPEDIRE EVENTUALI VIOLAZIONI DEGLI ALTRUI DIRITTI D’AUTORE

25/01/2017

Il fornitore di accesso a una rete di comunicazione che consente al pubblico di connettersi a Internet, sebbene non risponda direttamente delle eventuali violazioni degli altrui diritti d’autore compiute da terzi, può essere destinatario di un provvedimento che gli imponga di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una specifica opera protetta dal diritto d’autore o parti di essa, qualora lo stesso fornitore abbia la possibilità di scegliere le misure tecniche da adottare per conformarsi a detta ingiunzione, anche se tale scelta si riduca alla sola misura consistente nel proteggere la connessione a Internet mediante una password.


 

Con la sentenza del 15 settembre 2016 resa nella causa C‑484/14 la Corte di Giustizia UE ha stabilito, tra gli altri, il principio secondo cui anche un fornitore di accesso a una rete WI-FI può essere destinatario di un provvedimento che gli imponga di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una specifica opera protetta dal diritto d’autore qualora esso possa adottare misure tecniche in grado di conformarsi a tale ingiunzione. La questione assume rilevanza se si pensa che il fornitore di accesso ad una rete WI-FI (nel caso sottoposto alla Corte si trattava del sig. Tobias Mc Fadden) non solo non partecipa direttamente alla violazione dell’altrui diritto d’autore (come potrebbe fare un service provider “attivo” in grado di memorizzare e ritrasmettere le informazioni oggetto della violazione dedotta) ma svolge una funzione di “mero trasporto” di informazioni trasmesse da altri (e quindi pone in essere un processo tecnico tendenzialmente automatico e passivo che intende assicurare esclusivamente l’esecuzione della trasmissione di informazioni richiesta).

Tra le questioni sottoposte all’attenzione della Corte di Giustizia dal Tribunale Regionale I di Monaco di Baviera vi era l’interpretazione della direttiva 2000/31, e più precisamente se questa debba essere intesa nel senso di ostare all’adozione di un’ingiunzione che imponga a un fornitore di accesso a una rete WI-FI gratuita l’obbligo di impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico, attraverso tale connessione a Internet, su una piattaforma Internet di condivisione (peer-to-peer), una specifica opera protetta dal diritto d’autore o parti di essa, qualora il fornitore abbia la possibilità di scegliere le misure tecniche da adottare per conformarsi a tale ingiunzione. Le misure tecniche di protezione suggerite dal Tribunale Regionale tedesco erano quelle della chiusura della connessione internet, quella della protezione dell’accesso mediante password ed infine quella di esaminare tutte le informazioni trasmesse attraverso tale connessione.

In riferimento alle misure tecniche di protezione adottabili dal fornitore di accesso alla rete la Corte ha in prima battuta escluso che possa essere imposta una qualche sorveglianza dell’insieme delle informazioni trasmesse in quanto tale misura contrasterebbe con le previsioni contenute nell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 ai sensi del quale è vietato imporre, in particolare ai fornitori di accesso ad una rete di comunicazione, un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono. Riguardo alla misura consistente nel chiudere completamente la connessione a Internet, la Corte ha ritenuto che la sua attuazione comporterebbe una grave violazione della libertà di impresa del fornitore dell’accesso ad Internet al quale verrebbe ingiustamente vietata la possibilità di proseguire tale attività. La Corte ha tuttavia ritenuto che il fornitore sia tenuto ad adottare misure adeguate, secondo un corretto bilanciamento fra i diritti fondamentali in gioco (diritto all’attività economica, libertà di informazione e diritto d’autore). Le misure tecniche che possono essere imposte al fornitore dei servizi devono essere abbastanza efficaci da impedire o, almeno, da rendere difficilmente realizzabili le eventuali violazioni dei diritti d’autore di terzi sull’opera trasmessa attraverso la rete WI-FI. A tal proposito la misura di proteggere la connessione a Internet mediante una password può dissuadere gli utenti di tale connessione dal violare un diritto d’autore o diritti connessi, nei limiti in cui tali utenti siano obbligati a rivelare la loro identità al fine di ottenere la password richiesta e non possano quindi agire anonimamente.

Per tali ragioni la Corte di Giustizia ha risolto la domanda pregiudiziale nel senso di ritenere che anche il fornitore di accesso alla rete internet WI-FI può essere destinatario di un’ingiunzione che lo obblighi ad adottare misure tecniche di protezione ragionevoli volte ad impedire a terzi di rendere disponibile al pubblico una determinata opera protetta dal diritto d’autore. Tuttavia la Corte ha precisato che le misure tecniche che possono essere imposte al fornitore della connessione internet devono essere valutate caso per caso dal giudice del merito.

LA CASSAZIONE NEGA L’ULTRATTIVITÀ DEL MANDATO ALLE LITI CONFERITO DA UNA SOCIETÀ

18/01/2017

È inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dalla società già cancellata dal registro delle imprese in quanto da considerarsi non più esistente e, pertanto, priva di legittimazione e interesse all’impugnazione ma anche del potere di conferire procura speciale alle liti per il giudizio di legittimità.


 

Con la sentenza n. 6780 del 2016 la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso proposto da una società cancellata dal registro delle imprese. Secondo la Corte, infatti, non può trovare applicazione nel giudizio di legittimità il principio di ultrattività del mandato: è necessario infatti che la procura sia rilasciata da una società che non sia “giuridicamente defunta e non legittimata ad agire in giudizio in virtù del disposto di cui all’art. 2495 c.c.”.

La sentenza in commento segue la pronuncia n. 15295 del 2014 della Suprema Corte in cui si affermava il principio di ultrattività del mandato: la parte colpita dagli eventi di cui all’art. 299 c.p.c. (i.e. morte o perdita della capacità di stare in giudizio) e già costituita a mezzo di un difensore, che non abbia dichiarato o notificato l’evento stesso a norma dell’art. 300 c.p.c., continua ad essere da lui rappresentata. La sua posizione giuridica risulta stabilizzata anche per le successive fasi di quiescenza e di impugnazione, salvo che nel corso del gravame gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella, divenuta incapace, si costituiscano in giudizio, oppure nel caso in cui il difensore rilevi l’evento.

Ciò detto, l’orientamento tornato in auge nel 2014 non risulta sconfessato dalla sentenza in rassegna la quale si preoccupa invece di precisare un diverso principio, ossia che non si ha ultrattività del mandato quando si tratti di proposizione di ricorso per Cassazione.

Per la proposizione di tale ricorso il difensore necessita infatti di una procura speciale ai sensi dell’art. 365 c.p.c., che non può essere rilasciata dalla società estinta nella persona del suo rappresentante legale, avendo questi perso ogni potere rappresentativo, proprio per effetto dell’estinzione dell’ente.